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Notiziario Marketpress di
Lunedě 28 Marzo 2011 |
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DEBUTTA A MILANO LA NUOVA PRODUZIONE DEL TEATRO CARCANO LA BOTTEGA DEL CAFFE’
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Milano, 28 marzo 2011 - Perché mettere in scena un classico, perché proprio “questo” classico”? Le risposte possibili sono quasi sempre vaghe, ma, nel nostro caso, a chi ci ha posto queste domande, abbiamo risposto in maniera tutt’altro che generica. In primo luogo La bottega del caffč rimane, come la maggior parte del teatro di Goldoni, un’eccezionale banco di prova per attori, registi, scenografi e costumisti e vale a dire per tutta la parte artistica. In secondo luogo: come tutti i piů grandi autori, Goldoni descrive, indaga e mostra allo spettatore, in forma imperfettibile l’agire degli esseri umani in un determinato contesto storico e in un continuum culturale che ancora oggi ci appartiene. Invidia, amore, odio, brama di denaro, di potere, lotta per il benessere, per il cibo, sono forse cambiati, nella loro sostanza, da quando Goldoni ha scritto i suoi capolavori? No. Perň Goldoni, che fa parte di quella ristrettissima cerchia di autori che hanno scritto sul palcoscenico e per il palcoscenico, secondo regole che sono ancora oggi insuperate poiché rappresentano un perfetto equilibrio fra la parola e l’azione scenica, li descrive in maniera ineguagliata. In terzo luogo vi č una motivazione di carattere affettivo. Questa meravigliosa commedia venne allestita con Giulio Bosetti nel 1989 al Teatro Romano di Verona. La regia era di uno dei maggiori registi italiani: Gianfranco De Bosio. I bellissimi costumi erano di Santuzza Calě e le scene di Emanuele Luzzati, forse il piů grande scenografo teatrale del dopoguerra. Scene che, per inciso, hanno ispirato quelle che oggi Guido Fiorato, suo allievo prediletto, ha disegnato per il nuovo allestimento. Ci sembra che questo giustifichi la voglia di cimentarsi nuovamente con il nostro grande, eterno contemporaneo Carlo Goldoni. Note di regia Protagonista della commedia č l’occhialetto, diabolico strumento, col quale don Marzio, seduto al caffč, spia indiscretamente tutto e tutti, sforzandosi di vedere anche quello che effettivamente non č: “il mio occhialetto non isbaglia “ … Ciň che caratterizza questo capolavoro goldoniano č l’estrema concretezza con cui sono fuse l’evocazione dello sfondo ambientale, il dipanarsi dell’intreccio imperniato su pettegolezzi, manie, stravaganze, imbrogli e finzioni, e il disegno geniale d’un carattere, quello di don Marzio: “Eh! Io so tutto. Sono informato di tutto. So quando si va, quando esce. So quel che spende. Quel che mangia, so tutto.” Don Marzio č il prototipo di quei frequentatori di caffč che sanno di questo e di quello, che raccolgono notizie dalla voce degli altri e dalle gazzette per farsene portavoce, senza la cura di controllarle e di verificarne la fondatezza, mescolando veritŕ e invenzione. Nella Bottega del caffč si nasconde una vena scientifico-filosofica caratteristica del diciottesimo secolo e non manca quel doppio livello di lettura, quell’aspetto metateatrale che piů volte si ritrova nel Goldoni. Agli spettatori del Teatro Sant’angelo, sul finire dell’autunno 1750, questa commedia, che ha come scena fissa una piazzetta veneziana en plein air, doveva apparire come un prolungamento della cittŕ lagunare, proprio mentre si popola con le prime maschere e con l’arrivo degli immancabili forestieri, attratti dal clima carnevalesco. La scena č uno spazio quotidiano che ruota attorno ad un centro fortemente simbolico, rappresentato dalla bottega del caffč, un luogo dove si mescolano il consueto e l’imprevedibile: il punto ideale per osservare e giudicare il “Mondo”. Non doveva essere difficile per gli stessi spettatori riconoscere le figure che si agitavano nel cerchio della finzione. Ancora una volta la quotidianitŕ s’intreccia dentro le pareti del Teatro, assecondando un sapiente intreccio d’invenzione comica e di veritŕ. La realtŕ della Bottega del caffč č trascolorante: i limiti fra veritŕ ed apparenza tendono a scomparire: Leandro non č che un finto conte; la pellegrina si scopre una moglie in cerca del marito nascosto sotto falso nome; Vittoria, per non essere riconosciuta, passeggia in maschera; nella bisca di Pandolfo si giuoca con le carte segnate e la casa della ballerina ha forse una porta di dietro. “Flusso e riflusso, per porta di dietro”: ecco l’insinuante ritornello di don Marzio, spione che “ha saputo tutto” ma che in realtŕ non sa nulla. La geniale costruzione drammaturgia della commedia lascia allo spettatore la sensazione di osservare i casi dell’esistenza attraverso l’occhialetto diabolico di un Maldicente che non tace mai e pretende sempre d’aver ragione. Don Marzio, puntiglioso e insinuante, č sempre pronto a inforcare il suo occhialetto e puntarlo sui casi del “Mondo”. Nella sua mente si rincorrono ipotesi che le parole traducono frettolosamente in certezze. Ogni notizia si tramuta in maldicenza. Il suo sistema di giudizio, ne quale si intersecano personaggi e avvenimenti differenti, finisce per imporsi come una coscienza scomoda dell’esistenza. Le sue ultime battute celano a malapena l’amarezza e la malinconia per un’utopia che gli eventi vanificano. “Andrň via di questa cittŕ; partirň a mio dispetto, e per causa della mia trista lingua, mi priverň del paese, in cui tutti vivono bene, tutti godono la libertŕ, la pace, il divertimento, quando sanno essere prudenti, cauti ed onorati”. |
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