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Notiziario Marketpress di Martedì 05 Aprile 2011
 
   
  DEMOCRAZIA E CITTADINANZA MEDITERRANEA: IL DOPO RIVOLUZIONE NEL NORD AFRICA: I “GELSOMINI” TEMONO I “FONDAMENTALISTI”

 
   
   Firenze, 5 aprile 2011 – “La nostra è una rivoluzione laica: siamo preoccupati per le correnti islamiche estremiste. Non neghiamo il diritto degli islamici ad avere partiti politici, ma questo deve restare in un ambito democratico. Vogliamo un Paese laico”. A parlare è Asmaa Aly Mohamed Zaki, una giovane egiziana che con il suo blog (“We are all Khaled Said“) ha contribuito a lanciare la rivoluzione nel suo Paese. Ieri, nella sala Luca Giordano i riflettori si sono appena spenti, dopo l’intervento del presidente di Regione Toscana Enrico Rossi: il convegno organizzato da Regione Toscana e da Provincia di Firenze in Palazzo Medici Riccardi (“Democrazia e cittadinanza mediterranea”) si sta concludendo quando, dal pubblico, una domanda (“Perchè tutta questa paura per gli islamici?”) fa di nuovo intervenire i tre testimoni stranieri invitati. E un segnale, univoco, di timore per il futuro delle rispettive rivoluzioni “dei gelsomini” arriva non solo dalla blogger egiziana ma pure dal sindacalista tunisino e dalla fondatrice della “associazione tunisina donne democratiche” nonchè animatrice del “club dei giovani tunisini”. Abid Briki, segretario dell’Unione Generale Tunisina del Lavoro, premesso che nessuna fra le 800 imprese italiane presenti in Tunisia è ad oggi fuggita da un Paese in così forte transizione, ha convenuto che il movimento dei ribelli “non teme gli islamisti, ma crede nella libertà di culto” e dunque “non vuole un governo che imponga una data religione o un dato modo di vestire”. In Tunisia – ha proseguito – “non siamo tranquilli perchè ci sono già verificati vari tentativi di aggirare la rivoluzione. Noi – ha concluso – non chiediamo aiuto finanziario, ma sostegno morale per le nostre battaglie di libertà”. E anche l’altra donna tunisina presente al tavolo – Halima Jouìnì, nella sua veste di insegnante ed esponente della Lega tunisina per i Diritti Umani oltre che fondatrice dell’associazione “donne democratiche” - ha usato parole esplicite. “Non ci siamo ribellati per un motivo religioso: siamo preoccupati per la corrente salafita e per i rischi di un domani assai complicato” visto che certi movimenti religiosi islamici “non vogliono governare in modo democratico ma gettare le basi di un regime totalitario”. Nel primo giro di interventi, riferendosi alle rivolte, il sindacalista Abid Briki ha tenuto a sottolineare che “chiamarle rivoluzioni del gelsomino significa abbellirle” mentre in realtà andrebbero definite “rivoluzioni della dignità e per l’equità sociale di un popolo privato della libertà da 50 anni”. Per Briki la rivoluzione in Tunisia “è un prodotto della globalizzazione ed è partita su motivazioni sociali con la rivendicazione del diritto al lavoro” (su un totale di 500 mila disoccupati, quelli laureati sono 150 mila) cui si sono poi aggiunte le rivolte dei ceti medi per il livello di corruzione di un potere che alternava “il sistema del prete con quello del boia” (buonismo e paternalismo con terrore e torture per chi dissentiva). Prossima tappa, in Tunisia, le elezioni del 24 luglio per una assemblea costituente. Halima Jouìnì ha sintetizzato il senso della rivoluzione tunisina con la parola (“dégage“) sulla bocca dei rivoltosi che stavano cacciando il presidente Ben Ali. “Vuol dire vattene via, basta con l’inganno e non è certo un termine elegante o politicamente corretto, ma rende bene”. Per Halima, che si è molto soffermata sui diritti della donna, “i primi a essere solidali con i ribelli sono state le società civili ed è da queste che è possibile partire per costruire un mondo nuovo mentre troppo spesso i governi hanno sostenuto regimi corrotti e criminali”. Un appello alle società civili, egiziane e internazionali, anche dalla blogger Aasma Saki (“La nostra rivoluzione non è terminata, è ancora in corso: occorre che le varie forze della società civile si alleino per evitare che al potere arrivino le forze islamiche. La nostra intifada è il sollevamento civile dell’intera società”.  
   
 

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