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Notiziario Marketpress di Lunedì 18 Aprile 2011
 
   
  QUELLO STRANO RAPPORTO TRA SALARI MATERNI E FECONDITA´ LE DONNE CHE GUADAGNANO DI PIÙ HANNO MENO PROBABILITÀ DI CONCEPIRE UN FIGLIO PRIMA DEI 30 ANNI, MA NEL DECENNIO SUCCESSIVO PARTORISCONO PIÙ DELLE ALTRE.

 
   
   Milano, 18 aprile 2011 - Il binomio famiglia-lavoro è di difficile conciliazione in Italia. Secondo lo studio Women’s Wages and Childbearing Decisions: Evidence from Italy, di Concetta Rondinelli (Banca d’Italia), Arnstein Aassve e Francesco Billari (Centro Dondena), la relazione tra occupazione femminile e fecondità in Italia riflette il maggior numero di ore che le donne italiane dedicano al lavoro domestico, le minori opportunità di lavoro part-time (la quota di occupate part-time ammontava al 28% nel 2008, 48% in Germania) e la scarsa disponibilità di asili nido (in Italia solo il 6% dei bambini tra 0 e 3 anni va all’asilo contro il 40% in Francia). Sul nostro paese gravano ulteriori difficoltà: il reddito disponibile delle famiglie ristagna da oltre un decennio; le politiche pubbliche di sostegno alle famiglie, soprattutto quelle con figli, sono state modeste negli importi, frammentarie e non sistematiche. Sebbene cresciuta negli ultimi anni, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro rimane bassa in Italia (47% nel 2008; 58% nel complesso dei paesi Ue), ancora distante dall’obiettivo dell’agenda di Lisbona, che fissava un tasso di occupazione femminile intorno al 60% nel 2010. Inoltre, soprattutto a partire dagli anni ’90, il tasso di fecondità nel nostro paese ha mostrato un andamento fortemente decrescente, fino a 1,2 figli per donna nel 1995, con una lieve risalita a 1,4 figli nel 2008, un valore che resta comunque il più basso tra le maggiori economie europee. Al riguardo, il declino della fecondità italiana è totalmente ascrivibile alla riduzione del numero di figli successivi al primo. Il lavoro mostra che il ruolo svolto dai fattori economici nella transizione al primo, secondo e terzo figlio è a priori ambiguo. Se da un lato per le famiglie più benestanti è più agevole accedere ai servizi di assistenza ai bambini disponibili sul mercato, dall’altro, confrontando i costi e i benefici di rimandare la nascita di un figlio, le stesse famiglie tendono a scegliere il momento in cui l’allontanamento della madre dal mercato del lavoro è meno oneroso, sia in termini di deprezzamento del capitale umano sia, soprattutto, riguardo alle prospettive di carriera. Tuttavia, il ritardo della maternità non è privo di conseguenze per ordini di nascita superiori al primo: l’orologio biologico potrebbe indurre le donne che hanno posticipato la nascita del primo figlio ad accelerare quella del secondo o, per contro, a non avere più figli. L’effetto dei salari femminili sulla propensione a diventare madri per la prima volta è non lineare: la maggiore disponibilità di risorse economiche riduce tale propensione fino a verso i 30 anni, accrescendola successivamente. L’andamento risulta tuttavia eterogeneo tra donne e dipende dai livelli salariali: le donne meno facoltose tendono ad anticipare la maternità tra 27-28 anni, quelle più abbienti a posporla fino a 33-34 anni. Queste ultime investono di più in istruzione, trascorrendo più tempo nel mercato del lavoro prima di diventare madri; con alti salari diventa più oneroso sottrarre tempo al lavoro per dedicarsi alla cura dei figli. A 40 anni, tuttavia, i due gruppi si stabilizzano su livelli di fecondità molto simili. I ricercatori sottolineano che le risorse economiche hanno un effetto più trascurabile nella transizione al secondo figlio: le maggiori disponibilità incrementerebbero la probabilità di concepire un secondo figlio solo nei 3-4 anni successivi alla nascita del primo. Esse avrebbero invece un ruolo trascurabile sulle decisioni di avere tre figli. La scelta di avere più di un figlio risulta invece fortemente dipendente dal contesto istituzionale e culturale. Vi è infatti un netto divario tra le macro-aree italiane: le donne del Nord sono più prolifere, in considerazione anche della quantità e qualità dei servizi sociali disponibili per conciliare esigenze famigliari e lavorative. Lo studio conclude che le disponibilità economiche, che definiscono il momento della nascita del primo figlio, svolgono invece un ruolo marginale per le nascite successive; per queste una funzione non trascurabile è svolta dall’accessibilità ai servizi di mercato, pubblici e privati.  
   
 

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