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Notiziario Marketpress di Giovedì 05 Maggio 2011
 
   
  UE: CORRISPONDENTI DI GUERRA: "SAPPIAMO CHE POTREMMO NON TORNARE"

 
   
  Bruxelles, 5 maggio 2011 - Diciotto giornalisti hanno perso la vita solo nel 2011 come inviati di guerra e più di 151 sono ancora in prigione, in ogni parte del mondo, semplicemente perché cercavano di fare il proprio lavoro. In occasione della "Giornata mondiale per la libertà di stampa" del 3 maggio, la commissione Affari esteri e quella sui diritti dell´uomo hanno organizzato un´audizione parlamentare per discutere, con i diretti interessati, dei mezzi legali per proteggere i giornalisti e di cosa si può ancora fare. "Avere media liberi è la condizione preliminare per qualsiasi società democratica. Al cuore della democrazia devono esserci cittadini attivi e ben informati, che hanno accesso a notizie basate sui fatti e a analisi indipendenti" ha detto il presidente Jerzy Buzek in occasione della Giornata mondiale per la libertà di stampa. Ma l´informazione a volte ha un costo troppo alto. La recente uccisione di due fotoreporter che coprivano gli eventi di Misurata, in Libia, ci ricorda che i giornalisti non di rado pagano con la propria vita il diritto dei cittadini ad essere informati su ciò che accade nei conflitti mondiali. Gli attacchi contro gli inviati sono diventati sempre più frequenti negli ultimi decenni, essendo cambiata la natura del giornalismo e dei conflitti stessi. Secondo "Reporter senza frontiere", ad esempio, durante la guerra in Iraq sono stati uccisi più giornalisti che nei 20 anni del conflitto in Vietnam. Giornalisti di guerra, non assetati di pericolo - La free-lance francese, inviata dall´Afganistan e dalla Cecenia Anne Nivat ha spiegato che l´adrenalina non è certo la ragione per cui i giornalisti mettono a rischio la propria vita. "Sappiamo che potremmo non tornare, ma dobbiamo raccogliere le storie sul campo, altrimenti tutto quello che raccontiamo farebbe affidamento sui comunicati stampa ufficiali delle organizzazioni e dei governi coinvolti", ha detto all´audizione. La Nivat ha aggiunto che i "reportage di guerra devono essere un tentativo di spiegare alla gente cosa sta davvero succedendo" e non la trasmissione di una "guerra virtuale", in onda ogni sera sulle loro tv. Un racconto di guerra che valga davvero deve far vedere cosa c´è dietro ai fatti, cosa ha spinto un giovane di 25 a diventare un supporter di Gheddafi e un altro, un ribelle ... In che modo due persone così diverse vedono il mondo? In cosa sperano? "Il giornalismo di guerra deve aiutare a dare una risposta a questi interrogativi" ha conluso la Nivat. D´altra parte i reportage degli inviati sono diventati un forte elemento d´ influenza dell´opinione pubblica. Jean-paul Marthoz del Comitato per la protezione dei giornalisti ha messo in luce come i corrispondenti siano diventati un obiettivo sensibile nelle guerre. Ad essere a rischio non sono solo gli inviati internazionali, ma anche i giornalisti locali. Un mestiere insostituibile - La deputata tedesca dei Verdi Barbara Lochbihler ha ricordato che "la verità è la prima vittima di ogni guerra e per questo c´è bisogno di persone sul posto che raccontino i crimini di entrambe le parti". Per la belga socialista Véronique De Keyser "il lavoro dei corrispondenti e dei giornalisti locali è insostituibile. Di fronte a una guerra, ci sentiremmo sprovveduti senza il loro aiuto". L´olandese liberale Marietje Schaake ha posto l´accento sul legame tra libertà di stampa e libertà nel web: "in alcuni paesi i blogger pagano il loro attivismo con il carcere. L´ue deve difendere e promuovere la libertà di parola e di accesso alle informazioni su internet". A difesa degli inviati di guerra - m Diverse organizzazioni come "Reporter senza frontiere" stanno cercando di garantire la sicurezza dei giornalisti nelle zone di guerra, offrendo polizze assicurative a copertura dei rischi e formazione ai corrispondenti in partenza. L´onu ha adottato una risoluzione nel dicembre 2006 sulla protezione dei civili nei conflitti armati, includendo i giornalisti in tale categoria. Anche l´Unesco si è mossa con la Dichiarazione di Medellin del maggio 2007, che esortata i paesi membri a investigare sugli atti di violenze contro il personale dei media. L´ue e la libertà di stampa - Il Servizio europeo di Azione Esterna (Seae) ha in cantiere più di 40 progetti sulla libertà di espressione. Sta cercando ad esempio di favorire la trasformazione democratica in Egitto e Tunisia, promuovendo la libertà di stampa a livello locale. Jean-paul Marthoz del Comitato per la protezione dei giornalisti ha ricordato però che "sebbene l´Ue abbia sviluppato strumenti di collaborazione con i paesi terzi (come le clausole sui diritti umani negli accordi) spesso questi non vengono attuati". "La politica Ue sul tema deve farsi più incisiva" ha concluso.  
   
 

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