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Notiziario Marketpress di Lunedì 23 Maggio 2011
 
   
  IO E IL MARMO DI CARRARA

 
   
   Carrara, 23 maggio 2011 - “E’ un’emozione che toglie il fiato. E’ la scultura per definizione, la più avvincente delle avventure artistiche”. Rabarama, alias Paola Epifani, e il marmo di Carrara. Bianco, puro, accecante, solenne, eterno. Dopo argilla e bronzo, i primi amori, l’artista ha incontrato nel più nobile dei materiali un nuovo, straordinario elemento espressivo per le sue monumentali opere dai tatuaggi primordiali. La grande personale Anticonforme in programma dal 10 giugno a Firenze con 40 opere nel complesso del Giardino di Boboli/le Pagliere ne presenta anche otto inedite, attualmente in fase di rifinitura nei laboratori della costa toscana. Una nona scultura andrà invece alla Biennale di Venezia, dove Rabarama è stata invitata da Vittorio Sgarbi. Quest´ultima fa parte delle sei affidatte allo Studio Scultura di Massimo Galleni (Pietrasanta - Lucca). I titoli: Abbandono (destinata a Venezia), Alveoli, Tadashii, In-cinta, Particelle estinte, Ri-volto. Tre sono invece affidate allo Studio d’arte Telara (Avenza - Massa): Lettere implose, Tran-sito, Sapere). Le misure, variabili, sono in media di 2,20 metri di larghezza, 2 di profondità e 1,70 di altezza, con punte di 2,50x2,44x270. Misure da giganti. “Quello col marmo”, racconta Rabarama, “è un rapporto nato negli ultimi anni. La Galleria Vecchiato, con cui collaboro, aveva aperto a Forte dei Marmi una nuova sede che ha portato qui anche me. Allora lavoravo molto con l’argilla, la mia vera passione, ma a forza di frequentare marmisti e cavatori ho voluto provare con il marmo. La grande differenza con l’argilla è che lì si deve aggiungere e plasmare, mentre col marmo si deve togliere. Lì la forma va costruita, nel marmo è invece prigioniera nel blocco e lo scultore non deve altro che liberarla dal superfluo”. Detto così pare facilissimo. In effetti anche Donatello, Michelangelo o Canova non avevano che da affrancare i loro capolavori scultorei dalla zavorra che li opprimeva. “Esatto. E usavano appunto il marmo di Carrara. Stando in questi luoghi dove il marmo è la materia regina non potevo certo sottrarmi, così come nessun vero scultore potrebbe. E come Michelangelo e Canova, ma anche tanti artisti a noi contemporanei, mi appoggio ai laboratori locali, alla loro conoscenza del marmo, alla loro fantastica perizia. Mi avvalgo degli stessi cavatori e scalpellini ed è un’emozione davvero senza pari lavorare questa materia che ti impolvera, che lascia sugli abiti e sulla pelle una patina bianca quasi soffocante, ma che alla fine emerge in tutta la sua purezza e solennità. Una purezza, direi, altamente spirituale”. Altamente, come alte sono le cave che dominano le Alpi Apuane e questa larga fascia di Tirreno. “Le cave offrono lo scenario più affascinante. Sono autentiche cattedrali, incutono rispetto per la materia e la montagna. Quassù capisci il valore del marmo, senti il peso della terra che te lo dona, ma anche quello della fatica dell’uomo che scava. E allora avverti anche la profonda responsabilità di fare un lavoro perfetto, nel modo giusto, nei punti giusti”.  
   
 

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