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Notiziario Marketpress di Mercoledì 08 Giugno 2011
 
   
  LA BIG SOCIETY: UNA CHIMERA, ALMENO PER IL MOMENTO

 
   
  Trento, 8 giugno 2011 - Sebbene nel complesso l´idea di Big Society lanciata da Cameron nel 2009 (devoluzione delle responsabilità, apertura dei servizi pubblici alle associazioni no profit, promozione del volontariato) sia auspicabile, non si vede come il volontariato (che nel Regno Unito corrisponde al 4 per cento del Pil, mentre in Italia è l´1 per cento) possa riuscire da solo a colmare le necessità sociali che si apriranno con i prossimi drastici tagli alla spesa pubblica. È questo il dubbio con il quale, il 4 giugno, ci lascia Sarah Smith, professore di economia presso l´università di Bristol nonché ricercatrice ed esperta del terzo settore, a conclusione della sua relazione dal titolo "A cosa serve la Big Society?". L´introduzione di Stefano Feltri, giornalista del "Fatto Quotidiano", ha messo in luce quanto il difficile rapporto tra welfare state e tagli alla spesa pubblica sia attuale anche in Italia: la prossima manovra di austerity di circa 40 miliardi andrà infatti ad impattare profondamente sulle finanze dello Stato, rendendo indispensabile trovare altre fonti di finanziamento per uscire dalla crisi fiscale. Le premesse della Big Society, quindi, (incoraggiare l´affidamento locale delle responsabilità, aprire i servizi pubblici alle associazioni no profit, promuovere il volontariato) sarebbero auspicabili anche da noi e ricordano in parte quelle forme di sussidiarietà cattolica che in fondo abbiamo già conosciuto nel passato. La professoressa Smith ha iniziato riportando le parole di Cameron, il quale affermava nel 2009 che “una società forte risolverà i nostri problemi più efficacemente di un governo forte. Vogliamo che lo stato sia uno strumento per aiutare la società”. Questa presa di posizione ha posto il governo conservatore di Cameron sotto accusa anche per la profonda rottura con il pensiero di una “madre fondatrice” dello stesso partito, Margaret Thatcher, la quale nel lontano 1987 affermava “...A troppe persone è stato fatto credere che se hanno un problema è dovere del governo occuparsene. In questo modo scaricano il problema sulla società. E voi sapete che la società non esiste”. L´idea di Cameron e dei sostenitori della cosiddetta Big society sarebbe quella di incentivare il terzo settore, aprendo inoltre ad organizzazioni no profit la gestione dei servizi pubblici. A supporto di quest´idea, la professoressa Smith ha portato numerosi studi che mostrano le peculiarità di tale modello economico: si è visto così come le organizzazioni no profit possano infatti offrire più qualità all´utente rispetto al pubblico ed al privato, benché a volte i costi complessivi aumentino, forse per la mancanza del fattore “profitto” nell´equazione dell´azienda; inoltre, il settore no profit risulterebbe destinatario più credibile delle donazioni pubbliche, per la fiducia accordatagli dalla gente; infine, i lavoratori del terzo settore dimostrerebbero un impegno maggiore verso “gli altri” rispetto ai lavoratori di aziende private, anche se non maggiore dei dipendenti pubblici. Altri nodi difficili da sciogliere sono il conciliare offerta di volontariato e localizzazione della domanda, nonché vita lavorativa a tempo pieno e dedizione alla collettività. In aggiunta a ciò, le proposte di reinvestimento ed aiuto concrete al terzo settore da parte dello Stato rimangono per il momento risibili, se paragonate ai futuri tagli che si aggireranno attorno ai cinque miliardi di sterline. Conclude così Sarah Smith: “A tutti piacciono la mamma e la torta di mele, ma al momento la poca chiarezza teorica ed empirica del concetto di Big Society porta a ritenerla più uno slogan che una proposta realizzabile per uscire dalla crisi fiscale del debito senza distruggere il welfare state”.  
   
 

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