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Notiziario Marketpress di Mercoledì 08 Giugno 2011
 
   
  UNA TAVOLA ROTONDA SUI NUOVI MODELLI PROFESSIONALI: UN NUOVO LAVORO CI SALVERÀ DAL FUTURO

 
   
  Trento, 8 giugno 2011 - La crisi ha ridisegnato i confini della libertà economica ed ai giovani è richiesta la capacità di affrontare le opportunità e le sfide del mercato del lavoro. Come? Ad esempio, guardando alle nuove professioni, grazie alla capacità di cogliere tendenze e visioni. Ne hanno parlato, il 4 giugno Paolo Collini, preside della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Trento; Francesco Lamanda, chairman Mercer Italia, azienda specializzata nelle consulenze sulle risorse umane; e Marcello Messori, insegnante di Economia all’Università di Roma Tor Vergata; con Enrico Franco, direttore del "Corriere del Trentino" e del "Corriere dell´Alto Adige" nella veste di coordinatore. Vita, anzi, futuro davvero incerto per i giovani italiani. E’ questo il quadro che emerge dall’incontro a tre tra un preside di facoltà (Paolo Collini), l’amministratore delegato di un’azienda che aiuta le imprese a gestire le risorse umane (Francesco Lamanda) e lo studioso giramondo (Marcello Messori). Il ricercatore. E’ quest’ultimo a tracciare un quadro italiano tanto deprimente quanto reale: siamo una paese che non cresce dalla metà degli anni ’90, ovvero siamo in stagnazione, con un tasso di invecchiamento tra i più alti al mondo, e la fascia di popolazione in età lavorativa scarsamente occupata e chi non lavora cerca poco lavoro. “In Italia - spiega Marcello Missori - esiste un elevato tasso di dipendenza della persona dall’azienda”. Rispetto a molti paesi avanzati ed emergenti, l’Italia è però rimasta ai margini dello sviluppo tecnologico in atto da 15 anni, con i più bassi investimenti in Ict. Nel Nord Europa il 25 per cento degli investimenti va in Ict, in Italia a mala pena raggiungiamo il 10 per cento. “A questo si aggiunge - continua Messori - che siamo il paese con il più basso tasso di laureati e con il cammino universitario più lento. Nonostante questo i nostri laureati fanno più fatica che altrove a trovare occupazione e con una retribuzione più bassa che altrove”. Quali opportunità esistono allora per un’Italia così piegata su se stessa. “Ad esempio, nei servizi alle persone - ipotizza l’economista - considerato che stiamo invecchiando, oppure sfruttando lo straordinario sviluppo tecnologico che registriamo da tempo”. Il preside. Il quadro migliora con Paolo Collini, presidente della Facoltà di Economia di Trento: “Noi siamo un piccolo paese in un piccolo continente. In prospettiva prevedo un alto tasso di studenti che vanno fuori a studiare. La struttura di studi universitari su due cicli permettere di configurare un numero molto maggiore di formazione professionale. E proprio questa varietà di competenze eterogenee permetterà a molti di cogliere le opportunità del mercato del lavoro e le esigenze delle imprese”. In sintesi, le professioni del futuro vanno individuate nei trend emergenti (energia, ambiente, servizi, molta tecnologia) anche se il mercato viene poi dettato dalle richieste. E qui Collini riporta un dato negativo: “I canali di reclutamento privilegiato dalle imprese italiane è la conoscenza personale. Questo significa che le imprese credono poco nella conoscenza e formazione. Il paese dovrà darsi una scossa perché abbiamo 10 anni di immobilismo ma soprattutto sta ai singoli investire nella capacità e nella motivazione personale”. Il manager. L’esperienza nella gestione delle risorse umane impone a Francesco Lamanda di guardare allo scenario “con molta attenzione”. In Italia esistono aree in linea con il resto d’Europa ed aziende che sono cresciute moltissimo dopo durante la crisi. “Negli ultimi anni - sostiene Lamanda - è aumentata l’offerta del lavoro: donne, precari e neolaureati. Un milione e mezzo di persone lavorano fuori dall’Italia per aziende italiane. Questo capitale è andato all’estero, a seguito della delocalizzazione, ed è un capitale che non tornerà”. Esiste un nuovo modello di formazione da parte dei giovani che vanno all’estero e che solo in parte torneranno. Questo implicherà - secondo Lamanda - una internazionalizzazione della formazione che permetterà alle future generazione di svincolarsi dalle aziende. Il vero problema è che quando un giovane italiano esce dall’università trova un mercato formato al 90 per cento da aziende al di sotto dei 10 dipendenti e con poche aziende che detengono la totalità del capitale di borsa. Questo modello aziendale non chiede particolari figure e quindi tutto quello che abbiamo detto rischia di essere cancellato”.  
   
 

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