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Notiziario Marketpress di Mercoledì 13 Dicembre 2006
 
   
  IL PRECARIATO NEL LAVORO SCIENTIFICO IL 10,2% HA AVUTO UN CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO E IL 9,7% UN ASSEGNO DI RICERCA; I ‘CO.CO.CO.’ E LE ALTRE FORME DI COLLABORAZIONE SONO IL 35,8%, MENTRE I BORSISTI DI VARIO GENERE SONO 37,4%.

 
   
  Roma, 13 dicembre 2006 - Un dato di fondo relativo al ‘mercato’ del lavoro scientifico che desta preoccupazione è l’elevata età media dei ricercatori, dovuta anche al blocco delle assunzioni a tempo indeterminato negli enti pubblici di ricerca. Un altro dato, ad esso correlato, è che in Italia anche il precariato ha un’alta età media, tant’è che non è possibile parlare di questi studiosi come di ‘giovani in formazione’. Ai ricercatori precari è dedicata l’indagine svolta dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Consiglio nazionale delle ricerche, pubblicata nel volume “Portati dal vento. Il nuovo mercato del lavoro scientifico” di Maria Carolina Brandi dell’Irpps-cnr. Il libro verrà presentato a Roma, domani, 13 dicembre, alle ore 10. 30, nella sede centrale dell’Ente, in piazzale Aldo Moro, 7. All’indagine hanno risposto, tramite questionario informatico pubblicato on-line sul sito dell’Irpps, 798 ricercatori con contratto a termine di alcune Università e dei maggiori Enti pubblici di ricerca italiani. “Dall’esame dell’età si rileva innanzitutto che il 5,2% ha più di quarant’anni, il 20,6% è tra i 35 e i 39 anni, mentre il 43,4% è tra i 30 ed i 34 e solo il 30,7% ha 29 anni o meno” spiega Carolina Brandi. Un effetto questo, dei tempi di attesa: “Anche 5 anni prima che un ricercatore possa vedere stabilizzata la propria collaborazione. Al momento dell’intervista il 60% dei casi aveva rapporti di lavoro in atto di durata intermedia (2-3 anni), ma il 32,3% usufruiva di contratti brevi (di un anno o meno), mentre pochissimi (7,7%) avevano contratti di durata superiore ai tre anni”. Ma come incide nella vita privata il perdurare di questa instabilità? “Per il 97,4% soprattutto all’approssimarsi della scadenza del contratto, è causa di stress emotivo che il 59,3% dichiara ‘forte’. Più dei tre quarti del campione (78,2%) è in cerca di un altro lavoro e circa il 60% crede che questa situazione influisca negativamente sul proprio lavoro. Praticamente, tutti gli intervistati (96,6%) denunciano effetti negativi: il 71,6% sul rapporto di coppia, l’89,7% su quello di paternità o maternità, l’89,3% sulla scelta dell’abitazione, il 91,7% sul bilancio familiare, l’87,2% sulla capacità di affrontare gli imprevisti e quasi tutti (95,6%) anche su altri aspetti della vita privata”. La produttività scientifica, invece, sembra non risentire dell’incertezza. “L’output scientifico del campione è elevato e nella media” aggiunge l’autrice “a conferma del fatto che esso dipende dalle capacità e dalla validità del gruppo e non dalla stabilità del rapporto di lavoro”. In totale gli intervistati hanno prodotto 272 monografie italiane, 70 monografie straniere, 389 saggi collettanei italiani, 127 saggi collettanei stranieri, 1. 362 articoli su rivista nazionale, 6. 329 articoli su rivista internazionale. Quali sono le tipologie contrattuali più frequenti? Il 10,2% ha avuto un contratto a tempo determinato e il 9,7% un assegno di ricerca; i ‘Co. Co. Co. ’ e le altre forme di collaborazione sono il 35,8%, mentre i borsisti (inclusi i dottorandi) ammontano al 37,4%. Tra i fattori che incidono più di tutti sul rinnovo del contratto, per il 78,3% è determinante l’appoggio del coordinatore del gruppo, mentre molto meno contano i titoli scientifici (15,8%). Nonostante le numerose difficoltà, emerge che la ricerca è una vera e propria scelta di vita per gli intervistati, una vocazione che di fatto scoraggia il passaggio ad altre professioni nelle quali, pure, l’85,9% ritiene di avere possibilità di inserimento e l’ 68,5% anche con un salario più alto. “L’indagine” conclude l’autrice “mostra che il rapporto di lavoro a termine non è una libera scelta, ma viene subìto come una necessità. Solo una percentuale minima (4,5%) ritiene debba essere la nuova forma contrattuale da utilizzare in ambiente accademico, anche se la larga maggioranza (68,8%) pensa che il contratto a tempo determinato sia accettabile nel mondo scientifico solo come periodo di formazione e selezione, limitato nel tempo”. .  
   
 

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