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Notiziario Marketpress di Martedì 14 Gennaio 2003
 
   
  GIOVANI DESIGNER ITALIANI

 
   
  Milano, 14 gennaio 2003 - Accade una cosa strana oggi in Italia. I giovani designer sembrano una categoria in via d´estinzione, come i giovani seminaristi e i giovani artigiani. Ma se per le ultime due categorie esistono ragioni sociali ed economiche che ne giustificano la parziale assenza, per la prima il fenomeno appare inspiegabile. L´italia è il paese del design. Le aziende che producono arredamento e oggettistica, per non parlare della tecnologia e dell´automobile, sono fra i più importanti motori dell´economia italiana, le scuole di specializzazione in progetto industriale italiane sono considerate fra le migliori del mondo. Il design italiano è apprezzato pressoché ovunque all´estero. Eppure i designer nati fra il 1970 e il 1960 sembrano latitanti. In realtà, posso dirlo per averne conosciuti alcuni personalmente, i giovani designer esistono. Se ne parla poco, lavorano in sordina, lottano per farsi ascoltare dai grandi marchi, a volte ce la fanno. Ma il dato essenziale è che esistono e operano su di un terreno a dir poco ostile, e fare del design oggi in Italia sembra un segno imprescindibile di masochismo latente. Ironia a parte, la passione per un mestiere che sembra essere inserito nel dna italiano un po´ come quella del santo e del navigatore, persiste ed è la spinta primaria alla scelta di questa carriera. Il problema è stato lo spezzarsi di un fiducioso equilibrio fra progettisti e aziende, che hanno preferito rivolgersi all´estero, un po´ per moda, un po´ per importare uno sguardo innovativo e disincantato che solo chi non è nato all´ombra di Castiglioni, Zanuso e Mari può avere. Inoltre le basi per così dire etiche, gli interessi dei giovani del 2000 sono profondamente diversi da quelli dei giovani degli anni ´50. Esiste sempre una forte spinta alla democraticizzazione del prodotto di consumo, ma vista in quell´ottica di sviluppo sostenibile che è uno dei temi principali del design contemporaneo. Questo, unito a un sentire comune a questa generazione che riguarda la proliferazione irrazionale di oggetti, porta i neoprofessionisti verso una tendenza alla riduzione, all´intervento minimale e leggero, quando non addirittura poetico. La multifunzionalità in questo caso va di pari passo con l´ecologia, ed esprime quel bisogno di sintesi produttiva che evita l´introduzione sul mercato di oggetti inutili. Ma rimane un dato di fatto: i grandi marchi italiani sono restii a tornare a lavorare con gli italiani. Ecco quindi che l´oggetto piccolo, in un certo senso alternativo alla produzione più riconosciuta, diventa un´ancora di salvezza, un territorio non ancora del tutto saturo. Un discorso analogo vale per i nuovi ambiti del progetto, come quello dell´interaction design. I nuovi media sono ancora un´isola vergine, teorizzata dai grandi pensatori come Maldonàdo e Branzi, ma messa in pratica solo da chi, come i trentenni di oggi, ha la capacità di interagire spontaneamente con i mezzi digitali, se non altro per la fortuna di essere cresciuti con e in mezzo a essi. Infine è il caso di recitare un mea culpa da parte dei divulgatori del design italiano: critici, giornalisti e teorici. Molti dei giovani stranieri che oggi lavorano in Italia sono stati "scoperti" e promossi proprio da critici che ne hanno saputo comprendere il valore per poi promuoverlo attraverso articoli e mostre. A volte anche con una certa audacia e coraggio critico. Cosa che in Italia raramente accade, tranne rare iniziative come quelle portate avanti da Virginio Briatore o dalla fondazione Opos. Per questo motivo, a partire da questa settimana, Design-italia crea una collaborazione con il portale Aedo-to.com, presentando a cadenza regolare un giovane al pubblico specializzato del nostro portale.  
   
 

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