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Notiziario Marketpress di Giovedì 16 Gennaio 2003
 
   
  PAURA DEL FARMACO COME DESTABILIZZANTE DI UNA SITUAZIONE MAGARI NEGATIVA, MA PERSONALMENTE SENTITA INVECE COME ´SICURA´.

 
   
  Milano, 16 gennaio 2003 - La persona sostanzialmente rigida, con una sua struttura psichica ben determinata e in qualche modo con un ideale di autosufficienza emotiva tende anche nelle situazioni peggiori a non voler essere aiutata e tantomeno ad essere aiutata da un farmaco. Queste persone hanno evidentemente una scarsa consapevolezza non solo di chi sono loro ma anche genericamente di cosa è un essere umano: ne hanno un idea volontarista, dura, aggressiva. A volte sono persone di gran pregio da un punto di vista sociale e professionale, infatti il non perdere tempo a chiedersi tanti perché è spesso un vantaggio pratico notevole, in persone intuitive ed energiche; questo però diventa un grave danno quando viene applicato a situazioni in cui invece l´introspezione e l´attenzione alla complessità è essenziale al problem solving. Queste persone vanno convinte parlando loro con decisione dell´efficacia dello psicofarmaco, della velocità dei suoi effetti, della praticità del suo uso: essendo il loro mito la efficienza, una visione pratica del problema è l´unica che sono disposti ad accettare. Ancor più efficace è per loro l´immagine che il farmaco, bene usato dia comunque "una marcia in più". Questa "marcia in più" va intesa in modi diversi a seconda delle patologie: - per le patologie psicotiche va chiaramente intesa come aiuto a tenere la mente sgombra da pensieri inutili e nocivi, dal sovraffollarsi di immagini solo apparentemente importanti ma distraenti dalla e distorcenti la realtà - per la depressione va intesa come spinta ad agire e insieme come chiarificazione dell´ideazione che viene così liberata da pensieri paralizzanti e inconcludenti. A questi pazienti non bisogna dire (né per loro né per persone a loro vicine) che lo psicofarmaco può attenuare il dolore perché ritengono che "il dolore va sopportato" e la motivazione di tale sollievo sarebbe quindi per loro pessima. La cosa più difficile per il paziente è accettare se stesso con dolcezza e comprensione. Proiezione sul farmaco di una paura generalizzata e confusa. In questo caso ci troviamo di fronte a persone spaventate o gravemente ansiose. Da un loro punto di vista cercano aiuto ma in realtà non sono in grado di accettarlo. Essendo in una situazione di dolorosa confusione ogni cosa appare loro minacciosa o almeno piena di incertezza e di terribili pericoli. Non riescono in alcun modo a superare la loro patologia ma neppure riescono ad accettare senza angoscia un aiuto oscuro e "misterioso" come lo psicofarmaco. Non è comunque facile trattare simili persone ma bisogna per prima cosa parlare loro a voce bassa, non aumentare la loro paura, evitare perfino movimenti bruschi. Rassicurarle prima di tutto col nostro comportamento extraverbale, è inutile con loro minacciarle, specie se sgridando "Se continuerà così non potrà che peggiorare" o simili parole. Tutto ciò non potrà che aumentare le loro sensazioni negative e render loro più difficile l´uso dello psicofarmaco. Andrà poi loro dolcemente spiegato che la loro confusione è certo forte, che lo psicofarmaco però potrà essere un elemento di rassicurazione e di chiarezza se usato convenientemente. La cosa difficile per questo paziente è uscire dal terrore e dalla confusione fino al punto da non essere spaventato da qualsiasi cosa che gli si avvicini, anche per aiutarlo . Proiezione sul farmaco di un vero delirio. Non è raro anche in pazienti non gravemente psicotici ed è frequente in quelli francamente psicotici che sul farmaco vi siano veri e propri deliri. Il più comune è quello di ´veneficio´: il farmaco viene visto come un veleno, a volte senza collegamenti con altre idee a volte come parte di un piano complesso contro il paziente. Meno frequente ma non rarissimo è invece il delirio di sottrazione del farmaco: il paziente si sente in qualche modo spinto verso la follia da persone vicine (parenti, infermieri) che non vogliono ottemperare, per malignità, alle disposizioni del medico e lo privano delle terapie necessarie o le modificano in modo distruttivo. In ambedue i casi è necessario capire il meccanismo vero del delirio (ricordiamoci sempre che il delirio è falso ma il dolore è vero) e in qualche modo accoglierlo per portare, se possibile, il paziente ad una accettazione equilibrata dello psicofarmaco dapprima all´interno della sua ideazione alterata. Questi quattro esempi di situazioni psicologiche sono appunto solo esempi che potranno poi essere ampliati nella discussione: sono però da tenere presenti come schemi utili per avvicinarsi alla realtà del complesso rapporto medico-paziente-famiglia-psicofarmaco. La malattia psichiatrica da un punto di vista culturale ed emotivo. Fra le cose che dobbiamo chiarire molto bene a noi stessi per essere aperti a comprendere la malattia psichiatrica, il malato psichiatrico e lo psicofarmaco (tre cose ben concatenate ma molto diverse fra loro) c´è prima di tutto il nostro atteggiamento sia psicologico che culturale verso questi aspetti della psichiatria. Per esempio basta lavorare un po´ nelle scuole come psicologi per sentirsi dire un sacco di volte, ad ogni minimo approccio psicologico: "ma non sono mica matto!" come se un invito a conoscere se stessi fosse una accusa (accusa?) di follia. Questa posizione prelude quanto meno ad una totale incapacità di comprensione per la malattia psichiatrica e per il disagio psichico degli altri, pronti a bollarli come qualcosa di inaccettabile, sminuente e vergognoso. Nella multiforme varietà degli esseri umani vi sono però anche posizioni culturali ed emotive totalmente diverse, anche se sempre mitizzanti. Alcuni per esempio amano la malattia psichiatrica perché vedono in essa una espressione di critica totale, una specie di atteggiamento culturalmente ribelle ad ogni pastoia culturale e sociale, a volte come una specie di espressione di libertà totale (un po´ come il matto di re Lear). E´ vero che non di rado la follia è così: spesso il malato o il disagiato psichico hanno intuizioni o osservazioni critiche personali o sociali di eccezionale acutezza e profondità, a volte da far invidia a un esperto, ma ciò non toglie che lei o lui stiano male davvero. Così forse solo un bambino può dire che il re è nudo ma poi non si può affidare ad un bimbo il governo dell´impero.  
   
 

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