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Notiziario Marketpress di Giovedì 16 Gennaio 2003
 
   
  PERCHÉ QUESTO CORSO: COSA SI SCRIVE E SI DICE SUGLI PSICOFARMACI

 
   
  Milano, 16 gennaio 2003 - Possiamo anche facilmente renderci conto che le problematiche dei pazienti (e a volte nostre e dei giornalisti) riguardo gli psicofarmaci nascano da due ordini di situazioni individuali: culturali e/o psicologiche. A) Come comprendere le situazioni culturali. Troviamo "in circolazione" idee che vanno dall´estremo di chi vede nei progressi della psicofarmacologia la soluzione di tutti i problemi umani all´estremo di chi vede negli psicofarmaci invece la più grande minaccia per la libertà e lo sviluppo della individualità umana. Per esempio, leggendo il notissimo "Il male oscuro" non si può non notare che mentre molti sostengono l´uso degli psicofarmaci come chiave materialista, altri lo contrastano proprio per "controbattere" il materialismo. Unamuno diceva che l´etimologia è l´anima della poesia: per ora noi potremmo accontentarci che sia l´anima della chiarezza. Il concetto di psiche (Psyché) è legato a quello di ´respiro´ e ancora nell´Iliade rappresenta non qualcosa di distinguibile dal corpo, ma un tutt´uno con esso quando è vivo: psicosomatico per Omero non avrebbe avuto senso, indicando soma solo il cadavere... La grande confusione nasce quando un po´ alla volta la parola psiche, assieme a quelle phren (che innanzitutto significò ´diaframma´, il muscolo che movimenta il fiato), thymòs (legata al concetto di ´agitarsi´), noos (o nous, legata al concetto di ´vedere/osservare´) cominciano a mescolarsi e confondersi nell´uso comune e di vari autori. Parole che ora ritroviamo in molte salse: phren in schizofrenico, in frenologia, in frenetico, ma anche in nervo frenico (con ritorno al significato etimologicamente originale); Thymòs ce lo ritroviamo in timolettico ["che deprime l´umore"], distimico ["d´umore perturbato": ansioso/sovreccitato/depresso], ciclotimico ["ciclicamente euforico o malinconicamente depresso"] et cetera; noos/nous lo ritroviamo nel noumeno kantiano ("la cosa pensata") e nel prodotto ´nootropil´. Se uno quindi affrontando il problema culturale e psicologico dei farmaci dell´umore/mente/psiche/animo/"anima" si sente confuso, vuol dire che è solo in contatto con la realtà culturale e storica. A causa di questa confusione sull´ "anima", come dicevamo, i nostri pazienti sono confusi e si presentano a noi con le più disparate richieste, esigenze, paure, aspettative riguardo agli psicofarmaci. Si tratta quindi di vedere l´essere umano come un tutto unico e inscindibile in cui vi è la possibilità di varie polarizzazioni o funzioni ma sempre come espressione di una profonda unità. Non dobbiamo dire quindi che abbiamo un corpo ma che siamo un corpo, un corpo animato peraltro, mica un cadavere. Che poi l´anima possa o non possa avere una vita sua dopo la morte, a questo livello non ci riguarda. La cosa determinante, per i nostri fini di chiarezza coi pazienti, è l´attuale unità dell´individuo. Non accetteremo quindi di parlare di "farmaci per l´anima" ma diremo che l´essere umano è formato da una peculiare organizzazione della materia e che l´anima è l´aspetto più profondo di questa organizzazione: se poi l´anima sia la causa o l´effetto di questa organizzazione lo lasciamo ad altro livello di discussione e di verità. Chiameremo invece psiche l´insieme delle possibili reazioni che noi esseri umani percepiamo di fronte a mutazioni nell´ambiente attorno a noi o nel nostro "ambiente interno", quindi il nostro essere in quanto soggettivo. Nella psiche includeremo quindi tutti i possibili aspetti soggettivi del nostro essere: pensiero, fantasia, emozioni, sensazioni, capacità di essere condizionati capacità di essere suggestionati. Se ci troviamo di fronte a un materialista, per esempio, gli sarà facile anzi ovvio accettare che gli psicofarmaci influenzino grandemente il suo comportamento, ma insieme gli potrà parere che questa influenza possa essere eccessiva o addirittura snaturante, come se riducessimo una tigre a un peluche attraverso una intensa sedazione. Se il nostro materialista fosse un depresso, gli parrà invece che con gli antidepressivi lo si voglia allontanare dalla realtà, alienandolo e magari togliendogli i suoi meccanismi psichici di reazione alle situazioni negative. Il materialista rivoluzionario poi dovrà accettare che stando meglio potrà fare meglio anche la rivoluzione, se è ragionevole farla. Vi sono altre obiezioni culturali allo psicofarmaco, ma queste tre sono le più comuni e comunque il metodo per affrontarle deve essere analogo: entrare nella cultura del paziente e aiutarlo a trovare in quella convenienti idee per farsi curare. B) Come comprendere le situazioni psicologiche. Le più comuni sono: 1)proiezione sul farmaco di un eccessivo bisogno di sicurezza. La persona insicura che non sa gestire le situazioni, che è superansiosa, che non sopporta la patologia psichica in sé o nell´altro cerca spontaneamente di appoggiarsi a qualcosa, allora vuole il farmaco (per sé o per altri) lo vuole più efficace, lo vuole più forte, non vuol tener conto degli eventuali effetti collaterali, in realtà ha un vero e proprio transfert positivo verso lo psicofarmaco. (Questa situazione non va confusa con chi ha una vera e propria passione scientista per gli psicofarmaci).  
   
 

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