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Notiziario Marketpress di Venerdì 28 Marzo 2003
 
   
  LA RELAZIONE DI ROMANO PRODI PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA SUL CONSIGLIO EUROPEO DI PRIMAVERA

 
   
  Bruxelles, 28 marzo 2003 - Di seguito la relazione del presidente delal Commissione europea Romano Prodi sul Consiglio Europeo di Primavera; "Signor Presidente, Onorevoli deputati, Il dibattito che ci riunisce oggi (26 marzo) ha come oggetto il recente Consiglio Europeo. Un Consiglio che si è tenuto in un momento di grave crisi internazionale e che ha, proprio per questo, richiesto un grande impegno alla Presidenza greca. È, dunque, con particolare calore che voglio ringraziare il primo ministro Simitis e il Ministro degli esteri Papandreu per l´abilità e la saggezza con le quali hanno condotto il vertice. I Consigli Europei di primavera costituiscono, nel calendario dei lavori dell´Unione, l´appuntamento tradizionalmente dedicato ai temi economici. Tuttavia, il Consiglio che si è tenuto nei giorni scorsi a Bruxelles si è svolto per intero all´ombra della crisi irachena. È di qui che inizierò il mio intervento di oggi. Mentre vi parlo, una guerra è in corso e nessuno può sapere quanto ancora essa sia destinata a durare. Una guerra nella quale alcuni Stati membri hanno proprie truppe impegnate sul terreno. Una guerra che ha creato divisioni al nostro interno. Una guerra contrastata da una stragrande maggioranza dei cittadini europei e da moltissimi altri in tutto il mondo. Una guerra che--anche se porta alla caduta di un dittatore--porta con sé come tutte le guerre morte e dolore. A nome della Commissione e mio personale voglio, come prima cosa, esprimere partecipazione al lutto delle famiglie dei caduti e alle sofferenze di tutti coloro che dalla guerra sono toccati. E voglio insistere sulla necessità che, anche tra belligeranti, si rispetti la dignità umana. Dobbiamo anche riflettere su un altro dato: i fondi aggiuntivi richiesti per quest´operazione, pari a 74,7 miliardi di dollari, sono molto superiori alla somma totale dell´aiuto che il mondo destina ogni anno ai paesi più poveri, che è poco più di 50 miliardi di euro. Il comunicato che abbiamo approvato al termine dei lavori del Consiglio elenca con precisione i numerosi e importanti punti sui quali c´è unanime consenso all´interno dell´Unione. Tra questi emerge: il ruolo centrale dell´Omu, durante e dopo la crisi; la lotta contro il terrorismo e la proliferazione delle armi di distruzione di massa; il rispetto dell´integrità territoriale dell´Iraq; la necessità di una azione urgente sul piano degli aiuti umanitari; l´impegno per una gestione multilaterale della politica mondiale la priorità strategica rivestita, oggi come sempre, dall´alleanza atlantica. I punti sui quali ci troviamo tutti d´accordo, dunque, sono molti e fondamentali. Ed è bene ricordarlo dopo tutto quello che nei giorni e nelle settimane scorse si è detto e scritto sulle nostre divisioni. Ma non dobbiamo neppure nascondere che queste divisioni esistono. Non dobbiamo mentire né a noi stessi né ai nostri cittadini. L´unione Europea vive un momento molto delicato della sua esistenza. Mi riferisco cioè al ruolo che l´Europa non sta svolgendo e che invece dovrebbe svolgere. Gli eventi internazionali ripropongono infatti con estrema durezza la questione della politica estera e della politica di difesa dell´Unione allargata. Dobbiamo cioè chiederci quale ruolo vogliamo svolgere sulla scena internazionale. Ho detto ´vogliamo´, perché sono convinto che l´Unione abbia gli strumenti per diventare--nel tempo--un soggetto politico internazionale attivo e influente. Non solo dal punto di vista economico ma anche dal punto di vista della sicurezza, partendo dai valori su cui la stessa Europa si fonda. Cominciamo con la questione della sicurezza. I cittadini europei hanno già scelto. È infatti impressionante la volontà di pace, di multilateralismo e di Europa--di un´Europa portatrice di pace ma anche di sicurezza--che è emersa negli ultimi tempi. Non è un sussulto legato all´emozione del momento, all´ansia e alla preoccupazione che comunque, e naturalmente, la guerra evoca. È qualcosa di molto più profondo, che sarebbe imperdonabile ignorare e sul quale dobbiamo ritrovare unità di intenti. I Trattati infatti già impongono agli Stati membri di "sostenere attivamente e senza riserve la politica estera e di sicurezza dell´Unione in uno spirito di lealtà e di solidarietà reciproca". Essi sono tenuti a operare congiuntamente "per rafforzare e sviluppare la loro reciproca solidarietà politica". Debbono astenersi da "qualsiasi azione contraria agli interessi dell´Unione o tale da nuocere alla sua efficacia come elemento di coesione nelle relazioni internazionali". È sotto gli occhi di noi tutti quanto poco nel recente passato la lettera e lo spirito di queste parti del Trattato siano stati rispettati. E questo proprio mentre, riuniti nella Convenzione, i rappresentanti di tutti i governi, le istituzioni e i Parlamenti d´Europa sono impegnati a dar vita alla nuova carta costituzionale dell´Unione. E mentre l´ormai prossimo allargamento dell´Unione ci offre e ci impone nuove opportunità e nuove responsabilità. Voglio a questo proposito salutare, dopo quello di Malta, il positivo risultato del referendum sull´adesione in Slovenia. Onorevoli deputati, Il cammino che abbiamo percorso negli ultimi sessant´anni per costruire l´Europa unita non è stato facile. Molti sono stati i momenti di difficoltà. Ma è stato proprio dalle crisi più profonde che l´Europa ha saputo trarre la spinta e il coraggio per compiere i progressi più importanti. Fu dopo il fallimento della Ced, del progetto di dare vita a un´Europa della difesa, che fu trovato lo slancio che portò ai Trattati di Roma. Fu la decisione americana di porre fine alla convertibilità del dollaro e, con essa, all´intero sistema creato con gli accordi di Bretton Woods, che spinse l´Europa a gettare i primi semi della propria unione monetaria. E furono, più tardi, la crisi petrolifera degli anni Settanta e la crisi valutaria dell´estate del ´92 che ci diedero la forza per dare vita, prima, al Sistema monetario europeo e per scrivere, poi, nel Trattato di Maastricht, le regole dell´Unione economica e monetaria. Oggi la storia si ripete. L´europa si trova di fronte a una crisi dalla quale dipende il suo avvenire. Potremmo puntare su un sistema di relazioni internazionali basate sull´equilibrio dei poteri e affidarci alle sovranità e agli interessi nazionali dei singoli Stati europei. Ma sarebbe come scegliere (come ha detto il Commissario Patten) di rispondere alle sfide del ventunesimo secolo con gli strumenti e le politiche del diciannovesimo secolo. Sarebbe, inoltre, una scelta contraria alla natura stessa della nostra Unione, basata sul dialogo, sulla solidarietà, sul multilateralismo e su una nobilitante ´confusione´ tra etica e politica. Oppure possiamo decidere di completare l´unificazione dell´Europa e darle le istituzioni, gli strumenti e i meccanismi di decisione capaci di trasformarla in un´autentica Unione politica: questa è la strada che i cittadini ci chiedono di percorrere. Una Unione capace di esprimere una politica unitaria nei campi dell´economia, delle relazioni internazionali e della difesa. Proprio nel campo della difesa è stata avviata, nei giorni scorsi, un´iniziativa che potrebbe portare lontano. Belgio, Francia, Germania e Lussemburgo hanno deciso di avviare colloqui per esaminare i modi possibili per procedere a una più stretta integrazione. Questa iniziativa, che è stata giustamente dichiarata aperta a tutti gli altri paesi membri (poiché non deve dividere ma riunire) non nasce dal nulla. E non mi riferisco solo alle esperienze ormai da tempo consolidate di integrazione delle forze armate europee in corpi multinazionali quali Eurocorps, Eurofor e Euromarfor. Ritorniamo insieme al dicembre del ´98, a Saint-malo. Allora prese il via un processo che nel volgere di sei mesi ha portato alla Politica Europea di Sicurezza e di Difesa e che ci permette oggi di contare su strumenti come il Comitato Politico e di Sicurezza, il Comitato Militare e lo Stato Maggiore dell´Unione. I paesi promotori di quell´azione sono stati la Francia e la Gran Bretagna ed è per merito di quell´accordo che possiamo ormai considerare a portata di mano l´obiettivo di una forza di reazione rapida di 60.000 uomini. Essa è l´embrione di quanto la gente per la prima volta nella storia ci chiede: la nostra Difesa comune. La Convenzione europea ha creato un gruppo di lavoro sulle questioni della difesa. Esso, nelle sue conclusioni, ha sottolineato la necessità di sviluppare le capacità europee di difesa e di potenziarne le basi industriali e tecnologiche. Due settimane fa, la Commissione ha approvato una comunicazione che affronta le questioni industriali e di mercato della difesa, con l´obiettivo di facilitare e promuovere un più efficace coordinamento della politica europea in materia di attrezzature militari. Il 18 marzo scorso, infine, il Consiglio ha deciso di lanciare la prima operazione militare nella storia dell´Unione per rilevare, alla fine di questo mese, le forze Nato operanti nella ex Repubblica Iugoslava di Macedonia. Onorevoli deputati, Noi Europei non veniamo da Venere, come vuol far credere qualcuno. Noi vecchi Europei abbiamo vissuto su questa terra una storia lunga e dolorosa. Una storia che ci ha indotto a basare sul diritto la nostra Unione e che ci ha insegnato a operare per un ordine internazionale esso stesso fondato sul diritto e non sulla forza. Ma sappiamo bene che le politiche umanitarie da sole non bastano. Come non basta essere di gran lunga i principali protagonisti delle politiche di aiuto allo sviluppo. Siamo coscienti che il mondo non ci prenderà in considerazione fino a quando continueremo a presentarci divisi. Fino a quando continueremo ad affidarci all´Unione per promuovere lo sviluppo economico e agli Stati Uniti per garantirci la sicurezza. E non vi è alcun sentimento anti-americano in questa mia osservazione. Anche perché le cooperazioni fra gli Stati Uniti e l´Europa si sono moltiplicate anche nei campi più delicati. Guardiamo allo straordinario coordinamento tra la Federal Reserve e la Banca Centrale Europea dopo l´11 settembre o al continuo dialogo tra il rappresentante per le questioni commerciali del governo americano Robert Zoellick e il nostro il commissario per il commercio Pascal Lamy. L´esperienza dimostra che l´unione dell´Europa è condizione e garanzia di un´efficace collaborazione transatlantica. La mia osservazione nasce solo dalla profonda convinzione che gli interessi europei possano essere definiti solo in Europa e solo dagli europei. La storia oggi ci pone di fronte a una crisi. La storia, però, ha le sue astuzie e, fa coincidere quella che può essere una sfida decisiva per l´Europa con il periodo di vita della Convenzione. Mi rivolgo perciò a questa assemblea e a tutte le istituzioni rappresentate nella Convenzione e mi rivolgo direttamente a tutti i membri della Convenzione e dico: non perdiamo questa occasione! Oggi come non mai possiamo aspirare a essere artefici del nostro destino. A patto di saper trarre le giuste lezioni dalle esperienze del passato. A Maastricht l´Europa pose contemporaneamente le basi per l´Unione Economica e Monetaria e per la Politica Estera e di Sicurezza Comune. Se la prima si è sviluppata sino a portare l´euro nelle tasche dei nostri cittadini, l´altra è tutt´ora in uno stadio infantile. Diverse sono state le istituzioni, gli strumenti e i meccanismi di decisione messi a servizio delle due politiche e diversi sono i risultati. Quale che sia il tempo necessario per dare piena attuazione ai nostri progetti, il momento della verità per l´Europa della politica estera e della difesa è, dunque, questo. La scelta richiede molta lungimiranza e molto coraggio politico, ma in è una scelta chiara: vogliamo essere esclusi--tutti quanti--dalla gestione degli affari internazionali o vogliamo partecipare--con pari dignità con i nostri alleati--alla costruzione di un nuovo assetto internazionale? Onorevoli deputati, Come ho ricordato all´inizio del mio intervento, il Consiglio Europeo di primavera è il principale appuntamento annuale per la nostra economia. Un appuntamento che quest´anno ci permette di sottolineare alcuni elementi incoraggianti. E fra gli eventi più recenti non possiamo dimenticare il grande progresso dell´apertura dei mercati. Le aperture quasi compiute come le telecomunicazioni. Quelle in via di realizzazione come l´energia. I decisivi passi in avanti sulla mobilità e in molti campi della sicurezza sociale. L´accordo, dopo anni di lavoro, sul brevetto comunitario. Ma anche qui, dobbiamo essere sinceri con noi stessi. I progressi che stiamo realizzando nel dare attuazione alla strategia di riforma adottata tre anni fa a Lisbona sono troppo lenti. Non mi limito solo a segnalare il diffuso disappunto sulla tassazione del risparmio. Il tasso di crescita delle nostre economie resta preoccupantemente al di sotto di quel livello necessario per creare i posti di lavoro che ci mancano e per sostenere il processo di convergenza delle economie dei paesi che nell´Unione si preparano a entrare. Per questo ho detto venerdì scorso di fronte al Consiglio Europeo e voglio ripetere oggi di fronte a voi, che è il momento di inviare un segnale forte e visibile del nostro impegno a favore della crescita. Due sono i settori sui quali è possibile e doverosa un´azione immediata: * nel campo delle grandi reti transeuropee; * nel campo della ricerca e dello sviluppo. Le priorità per le reti transeuropee sono state individuate da tempo ma hanno, sinora, portato a ben poco. Persino i quattordici progetti prioritari indicati nel 1994 dal Consiglio Europeo di Essen sono in grave ritardo. Tutto questo mentre per sfruttare le opportunità offerte dall´allargamento dell´Unione sono necessari nuovi corridoi di collegamento, mentre scoppia il traffico sulle nostre strade e nei tunnel che attraversano le nostre montagne. L´investimento nelle reti transeuropee ammonta attualmente a meno di 20 miliardi di euro l´anno. A questo ritmo, per completarle tutte, ci vorranno vent´anni. Altrettanto deprimente è lo stato dei grandi programmi per la ricerca e lo sviluppo. Al punto che, nonostante le somme messe a disposizione nel bilancio dell´Unione e i prestiti concessi dalla Banca europea per gli investimenti, la spesa pubblica per questi capitoli è addirittura diminuita nell´ultimo anno a fronte di investimenti privati che restano anch´essi al di sotto della soglia necessaria. È giunto, quindi, il momento di lanciare una grande iniziativa per aumentare in modo decisivo il finanziamento tanto delle reti transeuropee quanto dei grandi progetti di ricerca e sviluppo. Per questo ho chiesto al presidente della Banca europea per gli investimenti Philippe Maystadt di collaborare con me per cercare nuove fonti di finanziamento, esaminando tutte le possibili opzioni, dalla concessione di garanzie a carico dell´Unione sino all´istituzione di speciali strumenti di prestito. Queste sono le premesse per rilanciare l´obiettivo di Lisbona, di portare avanti le frontiere della nostra conoscenza. Lo sforzo comune di ricerca, le reti di eccellenza, la mobilità degli studenti e dei ricercatori, i grandi programmi sulla scienza della vita, sull´energia rinnovabile e sull´ambiente sono fondamentali. So benissimo che quello del finanziamento non è l´unico ostacolo che ci impedisce di dare rapida attuazione a questi grandi progetti. E so altrettanto bene che si tratta di opere che richiedono molti anni per essere realizzate. Proprio per questo non c´è tempo da perdere".  
   
 

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