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Notiziario Marketpress di
Martedì 08 Aprile 2003 |
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PRODUZIONE DI VINO IN ITALIA E NEL MONDO LA VITIVINICOLTURA MONDIALE HA DA TEMPO FATTO PROPRIO UN ASSIOMA: "PIÙ QUALITÀ E MENO QUANTITÀ".
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Verona, 8 aprile 2003 - La produzione globale di vino è di 267 milioni di ettolitri, secondo i dati del Office International de la Vigne et du Vin riferiti alla media delle produzioni 1997/1999 (all´inizio degli anni Ottanta raggiungeva i 330 milioni). Di questi, 172 milioni di ettolitri (64% del totale) provengono dalla Unione Europea, che si conferma il primo produttore al mondo. Seguono gli Stati Uniti con 22 milioni di ettolitri (circa l´8% del totale) e l´Argentina (10 milioni di ettolitri, poco più del 4% della produzione mondiale). Il 21% della produzione mondiale ed il 33% di quella comunitaria ha l´etichetta italiana. E´ proprio guardando alla quantità prodotta negli ultimi vent´anni in Italia e nell´ Unione Europea (seppure con minor evidenza), ed allo sviluppo della vitivinicoltura nei paesi emergenti quali Cile ed Australia (i quali esportano molto pur a fronte di una limitata produzione), che si evince chiaramente come sia consolidato l´atteggiamento di vinificare sempre meno ma sempre meglio. I dati dell´Assoenologi ed Enotecnici Italiani, che raggruppa e rappresenta oltre il 90% dei tecnici vitivinicoli attivamente impegnati nel settore, evidenziano con chiarezza tale tendenza. Tendenza dovuta anche al fatto che il vino, un tempo considerato "alimento", è poi divenuto "bene voluttuario" ed oggi è visto come prodotto di "grande fascino" secondo le parole di Giuseppe Martelli, direttore di Assoenologi e presidente dell´Union International des Oenologues (il terzo presidente italiano dall´anno della fondazione della federazione mondiale degli enologi, avvenuta nel 1965, che conta oggi 25 mila professionisti attivi in tutto il mondo). "Diminuisce la quantità e aumenta la qualità, l´immagine ed il valore aggiunto", spiega Martelli. "A partire dagli anni ´80 le cantine italiane sono state ampiamente rinnovate, nella tecnologia e nella struttura, divenendo complessi di prestigio e non luoghi di ammasso come erano intese. Ai vigneti vecchi e malandati si stanno sostituendo impianti razionali, i filari vengono tracciati con il laser, la meccanizzazione sta sempre più prendendo piede". La curva degli ettolitri vinificati negli ultimi vent´anni è costantemente in discesa, a dimostrazione che la direzione presa è ormai consolidata ed al massimo ci dovrà essere un livellamento di quota, funzionale alle esigenze produttive del settore. E´ sufficiente un dato. Nel decennio 1982/1991 l´Italia produceva una media di 67.800.000 ettolitri/anno, mentre dal 1992/2001 la quantità media è diminuita di 10 milioni di ettolitri (57.800.000) e, se si prende in esame solo l´ultimo, si decurta di ulteriori 3 milioni (54.400.000 ettolitri/anno). A questo, si aggiunga che la vendemmia del 2002 sarà ricordata, con poco più di 42 milioni di ettolitri, come una delle più scarse degli ultimi cinquant´anni (solo nel 1950 fu peggiore, con 41.049.000 di ettolitri). Nel 2002 l´andamento climatico ha inciso in modo sostanziale. Nell´ultimo ventennio è stata la progressiva diminuzione della superficie vitata a determinare un tale decremento, che è passata da 1.230.000 ettari del 1980 a poco meno di 700mila attuali. Un sguardo sulle ultime annate vendemmiali dei Paesi dell´Ue mostra nel complesso una diminuzione degli ettolitri: Italia, Francia, Spagna, Germania, Portogallo, Grecia, Austria, Lussemburgo, Regno Unito e Belgio ne produrranno 155 milioni nel 2002 contro i 165 del 2001 ed i 182 del 2000. Valutati singolarmente, gli unici a mettere un segno positivo davanti alla vendemmia 2002 sono Germania e Spagna, mentre la Francia si consola riprendendosi la "maglia gialla" di primo produttore europeo in quantità, con poco più di 52 milioni di ettolitri. L´italia però non piange sul "vino versato" e supera di una ruota abbondante i cugini d´Oltralpe nell´indice di gradimento dei consumatori esteri. Nel 2001 le esportazioni di vino italiano in bottiglia, per la prima volta nella storia, hanno superato infatti quelle di vino sfuso e negli Stati Uniti d´America, sia in quantità che in valore, hanno surclassato proprio i vini francesi: una tendenza confermata anche nel 2002. Tutto oro quel che luccica? A guardare le cifre del settore vinicolo in Italia sembrerebbe di si. Le 770 mila aziende sviluppano un giro d´affari di 9 miliardi di euro, di cui quasi 3 derivanti dall´export e in grado di generare un saldo positivo della bilancia commerciale del settore di quasi 2,4 miliardi di euro. "I dati del 2002 mostrano chiaramente quale direzione abbia intrapreso l´esportazione vinicola italiana e il suo potenziale sviluppo nel breve periodo", afferma Stefano Raimondi, responsabile dell´Ufficio Linea Vini, Alcolici e Bevande dell´Istituto per il commercio con l´Estero (Ice). "La crescita della qualità dei vini italiani nel suo complesso risulta essere pari al 5,45% (in valore) corrispondenti ad un controvalore di 2,7 miliardi di Euro, valore storico più alto raggiunto. I volumi, globalmente, registrano una lieve flessione del 1,4%, passando da 15, 8 a 15,6 milioni di ettolitri, effetto da ascriversi alla progressiva riduzione del vino sfuso che vede diminuire nel solo 2002 le consegne estere di circa 700.000 ettolitri. Il dato evidenzia la progressiva trasformazione del prodotto da commodity a prodotto ad alto valore aggiunto e quindi sempre più utilizzato dagli operatori per essere trasformato in bene prezioso, perdendo le caratteristiche indistinte di prodotto generico". "Il 2001", prosegue Raimondi, "è stato caratterizzato dal superamento dei volumi esportati in bottiglia rispetto allo sfuso. Il 2002 è l´anno del primato dei vini all´interno del settore alimentare, avendo conquistato la posizione leader per i valori esportati. Per ogni 100 euro esportati dal comparto alimentare 16,7 provengono dai vini. Alla luce dei dati ufficiali il 2002 è foriero di novità: il mercato statunitense (718 milioni di euro) se proseguirà la tendenza in atto diverrà nei prossimi mesi il primo mercato in valore per le nostre esportazioni vinicole, superando la posizione storica della Germania (736 milioni di euro), da sempre partner preferenziale italiano. Il divario dei tassi di crescita segnano tendenze diametralmente opposte: + 17,5% negli Usa e 3,4% per la Germania". "Sul versante dei volumi", continua, "si registrano in entrambi i mercati dinamiche e velocità asincrone. Sostanziale tenuta del mercato tedesco +0,4% mentre negli Stati Uniti l´incremento è stato del 12,1%. Ne consegue che il valore medio, termometro qualitativo dei prodotti esportati, polarizza in modo chiaro le tendenze in atto dei due mercati. I valori dei due mercati risultano essere 1,32 €/litro per la Germania contro 3,59 €/litro per gli Usa". L´effetto della crisi internazionale, che ha modificato la tipologia del consumo statunitense, ma non solo, è profondamente cambiata: da "fuori casa" si è passati all´intimità delle mura domestiche; dai ristoranti di qualità affollati alle serate in casa con gli amici. "Questa nuova tendenza", sottolinea Raimondi, "pone in difficoltà la ristorazione italiana di qualità che sta vivendo un momento difficile, e nel breve periodo non sembrano esserci delle prospettive di cambiamento in positivo. La diversa tipologia della domanda sembra ridare spazio ai vini bianchi (+ 16,2% in valore), che registrano proprio sul mercato statunitense una ripresa dei consumi, dando un ulteriore soffio di speranza di recupero alla tendenza già registrata nel primo semestre del 2002". E nuove aree si affacciano per le esportazioni vinicole. "Senza trascurare i mercati più importanti", indica il direttore dell´Ufficio Linea Vini, Alcolici e Bevande dell´Ice, "è necessario, per sviluppare e sostenere le esportazioni, incrementare la presenza nei mercati asiatici, dove risultano essere maturate le condizioni per una presenza più significativa del vino italiano. E´ il caso di molti mercati "emergenti": Corea del Sud, Taiwan, Singapore, India per citarne alcuni". Dormire sugli allori è proverbialmente sconsigliabile. Nel caso specifico, sia per motivazioni strutturali del settore vitivinicolo italiano sia a causa di segnali contraddittori lanciati dal mercato europeo ed internazionale. Guardiamo i secondi per poi parlare delle prime. L´unione Europea (che rappresenta la principale area di vendita per i vini italiani), ha registrato una sensibile riduzione degli scambi riferiti al prodotto vino fra i Paesi che ne fanno parte (dai 34 milioni di ettolitri del 1999 ai 29,5 del 2001), a favore delle importazioni da Paesi terzi, che nel 2001 hanno raggiunto i 9 milioni di ettolitri con un incremento del 50% riferito al 1999. Tra questi, al primo posto si trova l´Australia con 2,2 milioni di ettolitri (+60% sul ´99 e +119% in valore), seguita dal Cile con 1,4 milioni di ettolitri (+46% sul ´99 e +128% in valore) e dagli Stati Uniti d´America con 1,3 milioni di ettolitri (+41% sempre sul ´99). Anche i consumi comunitari sono in calo. Se nel 1996 si attestavano a 34,7 litri pro capite, nel 2001 sono scesi a 33,4. Sullo scenario europeo, poi, il tema dell´allargamento dell´Unione è quanto mai attuale. Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia, rappresentano complessivamente 14,6 milioni di ettolitri di vino prodotto, oltre 1,9 milioni di ettolitri di import (di cui 570 mila dalla Ue), più di 2,1 milioni di ettolitri esportati (di cui 263mila verso la Ue), un consumo interno di 9,8 milioni di ettolitri di vino. Cifre che hanno un loro significato e che rappresentano un settore, sia nell´ottica delle aziende produttrici sia di quello dei consumatori, che è chiamato ormai a confrontarsi con le regole del mercato, comunitario e del commercio mondiale. Tornando ai Paesi emergenti (Cile, Australia, Nuova Zelanda e Sud Africa) nello scacchiere vitivinicolo internazionale, essi hanno perseguito l´idea del gusto internazionale, proponendosi con politiche commerciali innovative e produzioni di alta qualità, riferite in particolare a tipologie di vino ed a vitigni che sono diventati il punto di riferimento: cabernet, chardonnay, sauvingon. Dove il rapporto qualità/prezzo ha spiazzato molti produttori di consolidata tradizione, tra cui la Francia, che sui vini internazionali ha sempre puntato molto. Come? L´australia ha raddoppiato in un decennio la superficie vitata e dei 10 milioni di ettolitri che produce ne esporta il 60%, con sole quattro aziende che fanno il 70% dell´imbottigliato; mentre il Cile, che produce 7 milioni di ettolitri, è a quota 60% e ne esporterà il 75% entro il 2005. I livelli di concentrazione dell´offerta sono tali, dunque, da poter agire in modo determinante sulla leva prezzo. In tale contesto, le motivazioni strutturali del settore italiano che ne evidenziano i rischi sono evidenti: 771 mila ettari di vigneto (che sale a 820mila se si considerano quelli destinati alla produzione di uva da tavola) per 770 mila aziende evidenziano una superficie media per singola azienda molto bassa, vicina alla proporzione "un´azienda, un ettaro" ed uno sbilanciamento del numero dei produttori maggiormente presenti nelle aree dove è meno sviluppata la produzione di vini di qualità. A tale situazione di rischio si contrappone la vivacità dell´associazionismo di settore in Italia che, considerando unicamente gli aderenti a Confcooperative (che rappresenta l´80% della cooperazione in vitivinicoltura), si traduce in 500 cantine sociali, 30.000 soci, una produzione di circa 30 milioni di ettolitri e un fatturato che nel 2001 è stato di 5 miliardi di euro. Dati che rappresentano una prima risposta ai pericoli della frammentazione. Al quadro, si deve aggiungere però la comparazione tra i risultati positivi dell´export (in aumento costante da dieci anni) e quelli negativi della quantità prodotta (marcatamente negli ultimi tre anni). Diviene allora evidente come il prezzo medio del vino in bottiglia tende ad aumentare costantemente, senz´altro anche grazie alla migliore qualità. In un sistema dove l´ottimizzazione del rapporto azienda-superficie coltivata non è molto sviluppata, però, i rischi di essere posti "fuori dal mercato" sono concreti. Il decremento progressivo della vendemmia potrebbe comportare una mancanza di prodotto di pregio nei prossimi anni. Gli attuali 5,5 milioni di ettolitri di vino sfuso esportati, secondo i dati Ice (Istituto Internazionale per il commercio con l´estero), quasi tutti provenienti dalle regioni del Sud potrebbero tradursi in 600 milioni di bottiglie che, oltre a rappresentare un´importante occasione di sviluppo per le economie delle regioni interessate, potrebbero rimpinguare le disponibilità di vino destinato ai mercati esteri sui quali il settore fonda buona parte della sua fortuna. Una recente indagine Eurisko ha evidenziato, infatti, come la disponibilità a spendere in vino (la tipologia presa in esame è il vino rosso di qualità) da parte del consumatore italiano sia molto limitata e come il fattore prezzo sia il primo ostacolo per l´acquisto. Solo il 14% degli italiani sceglie bottiglie che costano almeno cinque euro; mentre è diffusa la convinzione che per trovare un vino di qualità non sia necessario investire in grandi cifre. Solo per occasioni speciali e per un vino eccellente si è disposti a pagare un prezzo massimo di 30 euro. Indubbiamente, l´Italia del vino sta riscoprendo vitigni e vini autoctoni ed ha una carta che molte altre nazioni produttrici non potranno mai giocare. E se ad essi si aggiunge il fascino che il Bel Paese esercita sugli enoturisti (in media 3 milioni l´anno) con tutto quello che ciò comporta in termini di immagine, reddito, posti di lavoro che si riversano sulle economie locali di un territorio vinicolo ed olivicolo ben definito, le potenzialità di innescare un circolo virtuoso sono evidenti. Da qui, la domanda che echeggia da qualche anno tra le cantine della penisola come l´amletico dubbio tra le mura di Elsinore: il gusto internazionale durerà all´infinito? Puntare sui gusti internazionali o su quelli tradizionali, autoctoni? "La risposta è difficile. Un cosa è certa: Cabernet e Chardonnay li producono tutte le zone vitivinicole del mondo, e in certi casi anche molto bene, pertanto il confronto su questo segmento sarà inesorabile", suggerisce Giuseppe Martelli, "mentre un vino di alto lignaggio, ottenuto da vitigni autoctoni, legato quindi ad un ben definito territorio, alla sua cultura ed alle sue tradizioni, sempre ovviamente con caratteristiche richieste dal mercato, resta un patrimonio esclusivo che difficilmente potrà essere usurpato. Con una precisazione. Se fino ad oggi è stato il produttore a sceglie quale tipologia di vino produrre, sia esso internazionale od autoctono, nei prossimi anni sarà solo il mercato, con le sue inevitabili regole". |
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