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Notiziario Marketpress di Giovedì 11 Gennaio 2007
 
   
  I BANCHIERI DEL MONDO SONO 184 I PAESI AZIONISTI DELLA WORLD BANK, L´ORGANISMO DI CREDITO IL CUI OBIETTIVO È ELIMINARE LA POVERTÀ DAL PIANETA. DIVISI TRA WASHINGTON E 100 COUNTRY OFFICIES, LAVORANO 10MILA ECONOMISTI

 
   
   Milano, 11 dicembre 2007 - È il più grande istituto creditizio del mondo. I suoi azionisti non sono aziende o persone fisiche, ma 184 paesi di ogni continente, il cui potere all’interno è direttamente proporzionale alla quantità di azioni possedute. La sede, bellissima e moderna, è a Washington, stretta tra la Casa bianca e il Fondo monetario internazionale, una concentrazione di potere difficilmente riscontrabile in altre parti del pianeta. Stiamo parlando della Banca mondiale (www. Worldbank. Org), l’organismo internazionale la cui missione è combattere la povertà concedendo prestiti a tassi favorevoli e promuovendo l’investimento di capitali a scopi produttivi soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Nata nel 1945 a seguito dell’entrata in vigore degli accordi di Bretton Woods del 1944, finalizzati alla ricostruzione dei paesi distrutti dalla guerra, la Banca mondiale è cresciuta a tal punto da contare oggi su oltre 100 country officies nel mondo e circa 10 mila dipendenti ed eroga prestiti annuali nell’ordine dei 12-15 miliardi di dollari. Il presidente, attualmente Paul Wolfowitz, è per convenzione un cittadino statunitense (quello del Fondo monetario internazionale è invece europeo). L’ambiente di lavoro, come è facile immaginare, è fortemente internazionale, perché ogni paese membro vi è rappresentato. Compresa l’Italia, la cui bandiera sventola insieme alle altre all’ingresso del palazzo. “Un giorno ero a tavola con due miei colleghi, uno giapponese, l’altro del Burkina Faso. Ci ho pensato su e mi è venuto da ridere, perché la scena era un po’ buffa: in quale altro posto trovi tre colleghi così diversi tra loro?”. Gaia Narciso, 30 anni, laureata in Bocconi e attualmente Phd in Economics presso l’ateneo milanese, ha lavorato alla Banca mondiale in due distinti periodi, da maggio ad agosto del 2005 e da gennaio a maggio del 2006. “A Washington si respira l’aria del potere. Ci si rende perfettamente conto di essere nel luogo in cui si prendono decisioni importanti a livello mondiale, ma nello stesso tempo è città di contrasti e di contraddizioni, un po’ lo specchio di quanto accade nel resto degli Stati Uniti”. Contrasti che sfiorano anche la Banca: molti, infatti, soprattutto dal mondo delle organizzazioni non governative e del volontariato, l’accusano di fare gli interessi più dei paesi maggiori azionisti, il cosiddetto mondo occidentale, che di chi ha bisogno. Ma chi ci lavora, pur non ignorando le polemiche, ha la concreta sensazione di fare qualcosa di utile. La Banca è un mondo a parte, rispetto al resto della città. Gaia la racconta così: “Già prendere l’ascensore è un’esperienza, puoi trovare la collega indiana vestita con i suoi abiti tradizionali oppure colleghi parlare nelle lingue più sconosciute. L’ambiente è nel complesso giovane e informale, con una larga presenza femminile, e i vari gruppi nazionali tendono per un po’ a mantenere la propria identità, che poi fatalmente si perde e si diventa tutti più internazionali”. Per quanto riguarda il lavoro, i giovani economisti del dipartimento in cui era impegnata Gaia Narciso, il development economics research group, forniscono supporto nella ricerca scientifica e scrivono e pubblicano articoli. Il vantaggio, rispetto a un normale dipartimento di ricerca, è che quello che si fa ha anche un impatto pratico a breve termine. “La Banca mondiale si occupa di progetti specifici più che di politiche macro”, spiega la ricercatrice della Bocconi, “non si cura esplicitamente di dare indicazioni in termini di politica monetaria o politiche fiscali. Io per esempio mi occupavo dell’Africa subsahariana e ricordo in particolare uno studio sullo Zambia. Il progetto si occupava di individuare possibili settori da sviluppare per poter differenziare l’economia, altrimenti basata completamente sull’estrazione del rame. Il tutto con uno scopo immediato, visto che il mio ufficio stava preparando una missione in quel paese”. Realtà dure, prima conosciute solo superficialmente, diventano materia di lavoro quotidiana e toccano nel profondo, fanno sentire piccoli ma nello stesso tempo spingono a continuare. Solo negli ultimi giorni di dicembre del 2006 la Banca mondiale ha finanziato progetti tesi ad aiutare lo sviluppo di piccole comunità locali alle Comore e in Giordania, progetti di assistenza sanitaria in Perù, lo sviluppo delle infrastrutture dell’energia elettrica in Macedonia e molti altri ancora in ogni parte del mondo. “Vorrei tornare qui a lavorare stabilmente, quando avrò finito il dottorato”, confessa Gaia, “ma so che le selezioni sono durissime. È un ambiente tipicamente americano, informale e competitivo, non bisogna mai tirarsi indietro. Le gerarchie? Sono meno sentite rispetto all’Europa, però ricordo che il mio capo dal suo ufficio aveva una vista bellissima, noi giovani non avevamo neanche la finestra. ”. .  
   
 

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