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Notiziario Marketpress di Venerdì 16 Settembre 2011
 
   
  MILANO (TEATRO MANZONI) : GENEROSA, ANZI GENEROSISSIMA DI PROPOSTE LA STAGIONE CHE ANCHE QUEST’ANNO E’ IN CANTIERE

 
   
  Ricca e garantita com’è di forti e belle presenze attorali, di registi di alta caratura, di titoli importanti. Una stagione che premia ancora una volta i gusti e i desideri del pubblico costruita, si può vedere, su tre bei fili conduttori che sapientemente s’intersecano fra loro. Filone il primo che è quello del teatro cosiddetto di intrattenimento, capace di allietare il nostro spirito. Il secondo quello dei classici, con due autentici capolavori l’uno dell’inossidabile Eduardo, il secondo di colei che è la più grande scrittrice inglese del Novecento, Virginia Woolf. Accanto ad essi poi ad aprirsi una piccola, ma interessante vetrina sulla drammaturgia contemporanea più recente che ci parla del nostro oggi. Ma prima, per cominciare , ecco un lever de rideau, un alzarsi del sipario del tutto singolare e perché no? necessario. Si festeggiano i 150 anni dell’Unità d’Italia e il teatro non poteva non parteciparvi. Magari in un modo libero e sorridente (o scanzonato addirittura) come avviene con “Sorelle d’Italia, avanspettacolo fondamentalista” firmato con penna sagace da Roberto Buffagni dove le sorelle del titolo sono due attrici di vitalissima presenza della nostra scena, Isa Danieli e Veronica Pivetti. Due attrici sintomaticamente agli antipodi, per radici, età e formazione artistica che si accostano alla nostra storia con ironia intelligente e quanto mai arguta. Le due, dirette con maestria da Cristina Pezzoli, a portare avanti una sorta di dicotomia fra Nord e Sud, o viceversa. Pronte a calarsi, la prima con la sua divampante, effervescente napoletaneità, la seconda con la sua esuberanza lombarda, in due teatranti di vita stenta che nel continuo andirivieni dal proscenio al camerino, si lanciano frecciate velenose e colpi bassi di consolidata rivalità fra comprimarie. E intanto, tra rosse camicie garibaldine e scintillanti marsine da cabaret in un profluvio di canzoni, snodano un profetico excursus di storia patria destinato ad approdare nel 2061 ai trilli tirolesi di una napoletana secessionista e alle vesti di odalisca di una milanese fuggita da padanarabe realtà. Determinante al successo anche l’accompagnamento musicale dal vivo dei musicisti diretti da Alessandro Nidi. Con il secondo appuntamento torna invece sulla ribalta il vecchio re di Broadway, Neil Simon, con uno dei suoi titoli più noti “Stanno suonando la nostra canzone”. E’ la storia romantica e buffa di una coppia, lui Vernon compositore, lei Sonia paroliera, che scrive le più fortunate canzoni d’amore, ma non riesce a far funzionare la vita privata come le loro composizioni. Quando apparve a Broadway nel 1979 la brillantissima “comedy music”, collezionò un record di repliche: 1082. Due anni dopo Gigi Proietti insieme a Loretta Goggi la fece trionfare anche in Italia e vent’anni dopo big Gigi ritenterà l’avventura, questa volta in veste di regista, affidando i ruoli principali a Gianluca Guidi e a Maria Laura Baccarini. Adesso, altro passaggio di testimone, è lo stesso Guidi che la rilancia lasciando che siano Giampiero Ingrassia e Simona Samarelli a far rivivere la scanzonata e ironica vicenda e a sgranare quel bouquet di felici canzoni regalateci da Marvin Hamlisch. A seguire una “novità” tutta italiana di un autore che in passato già si è imposto anche al Manzoni: “Tante belle cose” di Edoardo Erba. Una commedia fresca, intelligente, pulsante di energia e comicità che si avvale dell’interpretazione della spiritosa e frizzante Maria Amelia Monti e del bravo Gianfelice Imparato, affiancati dagli ottimi Valerio Santoro e Carlina Torta. La protagonista femminile fa l’infermiera a domicilio. Ma soprattutto è una “hoarder”, cioè una di quelle persone che non riescono a separarsi dalle cose, grandi o piccole siano, e accumulano oggetto dietro oggetto finché questi non li sommergono. Lui è l’amministratore ricattabile che dovrebbe sfrattarla. Missione quasi impossibile visto che in campo entrano complicazioni sentimentali. Due tempi gustosissimi che Edoardo Erba giostra assai bene sul doppio piano della commedia brillante e del dramma psicologico per parlarci di un fenomeno sociale che si sta diffondendo anche in Italia. Uno spettacolo che Alessandro D’alatri, da esperto regista, fa volar via come una fiaba del nostro tempo. Una commedia che sicuramente non è da perdere è anche “Due di noi” di Michael Frayn, l’autore, tanto per non dimenticare, di “Rumori fuori scena”. Un maestro dell’ironia e del nonsense, sempre capace di coinvolgerci nei suoi meccanismi a orologeria che non danno tregua. E a provarlo anche “Due di noi” che fu la sua commedia d’esordio (1970). Un titolo che racchiude tre atti unici studiati alla perfezione perché siano recitati da un’unica coppia d’attori, costretti continuamente a mutar di ruolo e a dar vita, soprattutto nell’ultimo atto, a un vorticoso crescendo di equivoci fino al paradosso finale. Da noi già venne interpretata da Marina Confalone e Gianpiero Bianchi, dalla coppia Marchesini-solenghi e, più recentemente da Milvia Marigliano e Antonio Catania per la regia di Massimo Navone. Sulla scena questa volta un’altra coppia di grido formata dai popolarissimi e televisivi, ma soprattutto bravi, Lunetta Savino e Emilio Solfrizzi. Valore aggiunto dello spettacolo la regia di Leo Muscato. Un altro atteso appuntamento con il teatro di mero intrattenimento è con quel dirompente, simpaticissimo e poliedrico attore, da sempre beniamino del nostro teatro, che si chiama Gianfranco Jannuzzo. Abbandonati i suoi impagabili one-ma- show, diretto da un veterano della scena, Giancarlo Zanetti, il vulcanico attore agrigentino vira questa volta verso la pochade di marca americana. Ed eccolo, in “Cercasi tenore” di Ken Ludwig, entrare con disinvoltura nei panni del segretario di un impresario teatrale che sfoga la sua passione per la lirica sostituendo il protagonista che ha dato forfait alla vigilia di un atteso “Otello” di Verdi. Nessuno meglio di Jannuzzo, circondato da un cast di prima qualità, si dimostra capace di dar vita alla girandola di equivoci che scaturiscono dalla vicenda. Anche se, con la regia di Pietro Garinei, ventidue anni fa e proprio sulla scena del Manzoni, già s’era provato anche Enrico Montesano. E arriviamo allo spettacolo che è forse la punta di diamante della stagione. E perché la protagonista è una giovane attrice lanciatissima nel firmamento teatrale e cinematografico, Isabella Ragonese, e perché esso nasce da uno dei romanzi più singolari della letteratura inglese, diventato subito un classico. Siamo a “La commedia di Orlando” liberamente tratta dal capolavoro di Virginia Woolf (1928). Un racconto fascinoso e un romanzo-puzzle “Orlando”. Ne venne tratto anche un film con Tilda Swinton (1992). Qui Orlando, un personaggio enigmatico in cui si cela una presenza ora femminile e ora maschile, che trapassa quattro secoli di passioni travolgenti e cupe delusioni alla ricerca di una possibile felicità, ha il volto invece di Isabella Ragonese pronta alla grande sfida guidata dalla mano sicura di Emanuela Giordano (che firmò due anni fa “Dona Flor e i suoi due mariti”). Uno spettacolo, nel cast anche Erika Blanc, dove non mancano le sollecitazioni visive, emozionanti come il racconto. A prendere subito dopo il posto agli incantesimi cui va incontro Orlando saranno i “fantasmi” del grande Eduardo. E a farli risorgere è quello straordinario attore che è Carlo Giuffrè. Lavoro di arguta moralità (è da mettere sicuramente fra i capolavori del drammaturgo napoletano), “Questi fantasmi!” (1945) fu anche la sua prima commedia a essere rappresentata all’estero, a Parigi. Nel 1967 Leonardo Castellani ne trasse anche un film, con la Loren e Gassman. La commedia vive tutta di delicata poesia e di grandi sfumature psicologiche e sulle nostre scene, con successo, ebbero a riprenderla anche Enrico Maria Salerno e il figlio Luca. Ora ce la riconsegna, e in modo magistrale, Carlo Giuffrè. Nel personaggio di Pasquale Lojacono, “anima in pena” che dopo mille mestieri ha accettato per sbarcare il lunario di occupare un palazzo notoriamente abitato da fantasmi allo scopo di dimostrarne l’abitabilità, a calarsi con una verità straordinaria, oseremmo dire rabbrividente. Stupendo l’evergreen Carlo Giuffrè nella scena in cui fa l’elogio della “tazzulella ‘o cafè”. E siamo all’ultimo appuntamento con una commedia che è un invito a liberarci dalle nostre preoccupazioni. E’ sufficiente il titolo per capirlo: “La cena dei cretini”. La pièce è del francese Francis Veber, uno che conosce bene le regole e i trucchi per farci divertire, ma divertire con finezza. Un gruppo di amici, ricchi e annoiati, ogni mercoledì sera organizza per tradizione la cosiddetta “cena dei cretini” alla quale ogni partecipante deve portare un personaggio giudicato stupido, per poi riderne sadicamente per tutta la serata. Una commedia umana comicissima, ma al tempo stesso estremamente crudele. Già la conoscevamo anche per il film (1998) che lo stesso Veber ne aveva tratto, e per averla vista con Enrico Beruschi e Giuseppe Pambieri. Ora è la “premiata ditta” Zuzzurro & Gaspare, alias Andrea Brambilla (anche regista) e Nino Formicola, che la rilanciano portando in dote quel talento multiforme e quell’intelligenza ironica che ne fanno dei campioni del nostro teatro leggero. Una stagione variegata e stuzzicante, nel segno della brillantezza e della serietà, da sempre caratteristiche del nostro modo di far teatro  
   
 

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