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Notiziario Marketpress di Giovedì 15 Settembre 2011
 
   
  PRESIDENTE MARINI AD ASSEMBLEA CONFINDUSTRIA: “NON RINUNCEREMO ALLE RIFORME NECESSARIE PER L’UMBRIA, SUPERANDO OGNI RESISTENZA”

 
   
  Perugia, 15 settembre 2011 - Questo il testo dell’intervento effettuato dalla Presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini, all’Assemblea generale di Confindustria che si è tenuta, mercoledì 14 settembre, a Perugia. “Gentile Presidente Campanile, Gentile Presidente Marcegaglia, Dott. Cazzullo, Autorità, Carissimi Imprenditori e Imprenditrici Nel rivolgervi il mio più cordiale saluto, rivolgo un benvenuto particolare alla Presidente Marcegaglia per la sua presenza che consideriamo ancora più significativa per l’Umbria, in questo momento particolarmente complesso per la vita del nostro Paese e per la sua tenuta istituzionale, finanziaria, economica ed occupazionale; così come mi fa molto piacere rivolgere un caloroso benvenuto al dott. Cazzullo, ringraziandolo anche per il contributo autorevole che ci ha regalato in questo anno di ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia invitandoci ad essere orgogliosi della nostra nazione. Come ha ricordato il Presidente Campanile, questa vostra Assemblea si tiene in un periodo di grande preoccupazione per tutti noi, in giorni difficilissimi che l’Italia non ha mai conosciuto negli ultimi decenni. Quello che fino ad un mese fa veniva forse un po’ troppo enfaticamente presentato come “ciclo di ripresa” a livello globale, mostra già la corda , con quasi tutti gli indicatori e gli indici anticipatori che si rivolgono all’ingiù, in particolare nei Paesi del mondo più ricco. E’ evidente dunque il ritorno in recessione rafforzato dalle tendenze alla riduzione del sostegno pubblico all’economia che vanno intensificandosi in gran parte del mondo occidentale. Dovremmo trarre una lezione da qualche semplice osservazione: quel poco di ripresa che si è verificato in alcuni Paesi dell’Occidente è stato infatti in gran parte alimentato dalla spesa pubblica e ciò in parte è vero anche per la Germania dove, senza nulla togliere alla brillante crescita dell’export, hanno avuto un ruolo rilevante nel sostegno dei consumi interni i generosi programmi di incentivazione all’acquisto di automobili. Ma davvero si vuole credere che in Italia possa ad esempio ripartire in maniera significativa il ciclo dell’edilizia che muove una lunga filiera produttiva ed occupazionale che ha subito contraccolpi strutturali più profondi a causa della crisi senza un piano significativo di investimenti finanziato con risorse pubbliche in grado di sostenere non solo un piano delle grandi infrastrutture, che peraltro richiedono tempi molto lunghi di cantierabilità, ma soprattutto di medie opere pubbliche diffuse sul territorio nazionale? Siamo certamente consapevoli dello stato della finanza pubblica italiana e soprattutto della dimensione del nostro debito pubblico così come della crisi del debito sovrano in molti Paesi dell’Eurozona, aggravato anche dalla mancanza di quel processo di integrazione economica e politica dell’Unione Europea che sarebbe stata necessaria dopo l’istituzione della moneta unica: ma le frettolose invocazioni al restringimento dell’area di intervento e di spesa pubblica, rischiano quindi di fare più male che bene. Le politiche di austerità rigidamente imposte dalla Commissione Europea e dalla Bce anziché contribuire al risanamento dei nostri conti pubblici rischiano di compromettere le condizioni minime per sostenere la ripresa e dunque la crescita. Ad esempio sarebbe molto positivo dare corso alla proposta degli Europarlamentari di promuovere gli Eurobond per gli investimenti. Le Regioni italiane, attraverso una posizione unanime e condivisa, hanno posto al Governo la propria disponibilità a contribuire alla definizione di misure idonee alla correzione dei conti pubblici e al tempo stesso a costruire alcune politiche pubbliche per la crescita. Siamo stupiti che in una situazione drammatica come quella attuale non ci sia stata nessuna disponibilità a raccogliere le proposte delle Regioni e degli Enti locali, quasi che il Governo intenda considerare i livelli dl governo istituzionale territoriale del paese delle controparti anziché elementi essenziali e parti della Repubblica, fondamentali per rendere efficaci le misure finanziarie adottate ma anche per individuare percorsi idonei alla ripresa, cercando di portare fuori il Paese dalla recessione. Forse dovremmo riflettere anche sulle ragioni per le quali in soli 12 mesi il Governo ha approvato, oltre alla legge di stabilità 2011, ben 3 provvedimenti di correzione dei conti pubblici, evidenziando che la qualità e l’efficacia di questi provvedimenti è stata del tutto inadeguata alla situazione del Paese e non incisiva proprio sulla correzione degli stessi conti pubblici. E proprio perché non ci sentiamo né controparti del Governo né tantomeno controparti dei cittadini e delle nostre comunità, anzi abbiamo antenne ben dritte sulla situazione locale perché in questi due anni che la crisi ha mostrato il volto più acuto dei suoi effetti sulle imprese, sul tessuto economico e produttivo dei nostri territori, sui lavoratori e sulle loro famiglie aumentando in maniera considerevole disoccupazione e cassa integrazione, sui giovani ricacciati in un precariato sempre più incerto, troppe volte ci siamo trovati soli ed in prima linea a fronteggiare l’incertezza e il disagio crescente nelle nostre comunità. Noi rappresentanti delle Istituzioni regionali e locali alla protesta abbiamo preferito la proposta avanzando ipotesi molto concrete. Riteniamo, come Regioni, che questa quarta manovra in corso di approvazione dal Parlamento sia marcatamente depressiva perché si scarica eccessivamente sul reddito reale delle famiglie, deprimendo ulteriormente la già poco brillante domanda dei consumi delle famiglie. Ma soprattutto riteniamo sbagliato ed iniquo che i tagli alla spesa pubblica si concentrino per oltre il 50% sui bilanci delle Regioni le quali pesano in realtà sulla spesa pubblica complessiva del Paese per appena il 20%, consapevoli peraltro che questi tagli non colpiscono la spesa improduttiva ma incidono essenzialmente sui servizi e sulle politiche locali e dunque su cittadini ed imprese. Giovedì prossimo noi Presidenti di Regione, in assenza di risposte dal governo, riconsegneremo i contratti stipulati con le società del trasporto pubblico locale. Questo del Tpl sarà una vera emergenza per il 2012 che riguarderà i cittadini da un lato ma anche le molte imprese fornitrici ed appaltanti di servizi connessi alla Tpl: il fabbisogno finanziario per il 2010 è stato a livello nazionale di 1,9 miliardi. La previsione contenuta nella manovra in corso di approvazione è inferiore ai 500 milioni: davvero c’è qualcuno anche in platee così autorevoli e competenti che può credere che si possa assicurare il mantenimento dei servizi di Tpl con una riduzione del 75% delle risorse necessarie? E davvero qualcuno pensa in Italia che questi servizi possano avere una sostenibilità di mercato senza ricorrere alla spesa pubblica? Beh noi Presidenti, di diverso orientamento politico, non ne siamo capaci e visto che il trasporto ferroviario lo svolgiamo per conto dello stato riconsegneremo l’insieme dei contratti di trasporto al governo. Abbiamo indicato delle proposte concrete che potrebbero servire a modificare la qualità della manovra, pur salvaguardando i saldi, e dare un contributo nella direzione molto auspicata da tutti della crescita: - Modificare le regole del patto di stabilità interno che attualmente imprigionano risorse significative di Regioni, Province e Comuni nelle disponibilità di cassa a causa dei tetti inflessibili ai pagamenti: per la sola Regione Umbria fanno circa 50 milioni di euro che sommati a quelli delle annualità precedenti per un totale di 200 milioni di euro non sono messi in circolazione all’interno della regione sottoforma di servizi ed opere; - Far ripartire gli investimenti in particolare nelle medie opere pubbliche, assegnando da subito le risorse già disponibili alle Regioni dei Fas e del Fondo per l’edilizia sanitaria: in Umbria sarebbero circa 300 milioni di euro per finanziare infrastrutture e riqualificare o completare il patrimonio edilizio sanitario, considerando che vi è stato un crollo dei cantieri e degli appalti pubblici nel primo trimestre 2011; - evitare che la manovra rappresenti la pietra tombale del federalismo, con la mancata fiscalizzazione di alcune entrate alternative ai trasferimenti, con più responsabilità nelle entrate e nelle spese delle autonomie locali, ed il contemporaneo invece innalzamento dell’imposizione fiscale locale. In questo quadro non particolarmente tranquillizzante si muove, dentro la crisi strutturale del Paese Italia, anche l’Umbria: anche per noi le ombre tendono a prevalere sulle luci. Perdita di prodotto, segnali non incoraggianti dal mondo della produzione, ore di cassa integrazione, una tendenziale stagnazione dell’occupazione con alcune grandi crisi industriali, rilevanti e tuttora irrisolte come la Merloni di Nocera ed il polo chimico di Terni che si aggiungono alle difficoltà di molte medie e piccole imprese. Per questo più che dire quello che altri devono fare (e forse in una fase come questa sia le Istituzioni sia le forze economiche sociali dovrebbero, ciascuno per la propria parte e competenza, dire ciò che possono fare per l’Umbria) intendo invece dire quello che stiamo facendo e possiamo subito fare. La Regione intende fare tutto il possibile per dare il proprio contributo positivo a creare condizioni favorevoli alla crescita anche a livello locale e contribuire al processo di innovazione di cui il Paese ha bisogno. L’intero sistema amministrativo pubblico della Regione deve essere adattato alle nuove esigenze e sfide: si tratta di ridurne i costi, sfoltire poltrone e relative sovrastrutture amministrative. Senza raccontare però bugie ai cittadini o fare demagogia: questo lo dobbiamo fare perché serve all’Umbria e al suo sviluppo ma non si pensi che la razionalizzazione e l’efficienza della spesa determini un ammontare in grado di compensare le centinaia di milioni di euro di riduzione che le manovre aggiuntive fin qui approvate produrranno sul bilancio regionale. Per questo la Giunta regionale, unitamente alla maggioranza di governo, ha deciso di accelerare sulla strada delle riforme amministrative. Dopo l’approvazione della legge sulla semplificazione amministrativa avvenuta con voto unanime del Consiglio regionale, e grazie anche alla spinta propulsiva e propositiva delle associazioni di impresa e delle organizzazioni sindacali a cominciare dalla stessa Confindustria, che in maniera organica completa innova e semplifica il rapporto tra cittadino imprese e Pa regionale in molti ambiti edilizi, urbanistici, ambientali, commerciali oltre che ridurre gli oneri burocratici complessivi a carico del cittadino e dell’impresa, due altri provvedimenti sono già all’attenzione del Consiglio regionale tra i quali l’abolizione dell’Arusia e la legge di riforma per l’abolizione delle Comunità Montane assegnando le funzioni ed il personale ai Comuni e ad un’unica agenzia regionale di diretta emanazione controllo della Regione con blocco del turn over di personale e controllo della relativa spesa e riduzione sostanziale nel medio periodo delle dotazioni organiche. Nello stesso provvedimento presenteremo la proposta di abolizione degli Ato di acqua e rifiuti, cancellando l’autonomia gestionale ed amministrativa e riportando queste funzioni nei Comuni in forma associata. La riforma dell’Agenzia per lo sviluppo, pensando ad una nuova missione favorendo una forma integrata della strumentazione per lo sviluppo sia sul versante dell’impresa industriale sia della promozione integrata (superando gli attuali assetti e mission di Sviluppumbria e Apt). Vogliamo favorire unitamente ai Comuni che ne sono i proprietari un percorso di trasformazione delle società dei servizi pubblici locali, in particolare quelle di acqua e rifiuti, facendo assumere una scala regionale alle stesse aziende che a cominciare da quelle miste vedano un protagonismo ed un nuovo rapporto tra pubblico ed imprenditoria privata. Così come, senza rinunciare al confronto con il Governo sul fondo sanitario che prevede una riduzione fino addirittura ad 88 milioni di euro per il 2014, intendiamo proporre al Consiglio regionale e alla società regionale un percorso di riordino ed integrazione della rete dei servizi sanitari regionali ed un assetto gestionale ed amministrativo ridotto anche nel numero delle Aziende sanitarie. Così come grazie anche al contributo che è arrivato dalla vostra Associazione unitamente alle altre forze economiche e sociali della regione, abbiamo approvato i due Piani per le politiche industriali e per il lavoro, consapevoli che ad oggi le uniche risorse disponibili per sostenere politiche di sviluppo, di innovazione e del lavoro nella regione sono quelle derivanti dalla programmazione fondi comunitari 2007-2013, definendo il totale ammontare delle risorse per circa 230 milioni di euro, finanziando molte linee di intervento su innovazione e ricerca, offerta di servizi finanziari per accesso al credito, supporto all’internazionalizzazione, crescita dimensionale delle imprese, processi di creazione di impresa, formazione professionale e politiche attive per il lavoro. Nel solo 2010 abbiamo supportato 900 pmi della regione, per un importo complessivo di circa 150 milioni di euro di investimento di cui 1/3 con risorse regionali. In questo primo anno di legislatura è diventato pienamente operativo il Centro Estero ed hanno preso avvio i quattro Poli di innovazione, nei quali siamo chiamati insieme a raccogliere sfide importanti per le imprese umbre e realizzando concretamente elementi di sussidiarietà ed una nuova forma di collaborazione tra Istituzioni pubbliche, imprese, Università e centri di ricerca. In una fase come questa la Giunta regionale ritiene che la riqualificazione della spesa pubblica sia un obiettivo strategico, liberando tutte le risorse possibili per i servizi e per le politiche di sviluppo. Dobbiamo sapere che sarebbe intollerabile lo spreco di risorse pubbliche per apparati amministrativi ridondanti, ma sarebbe altresì sbagliato avere erogazioni “inutili” alle imprese che non siano finalizzate alla crescita e allo sviluppo delle stesse imprese. E allora anche quando parliamo della spesa pubblica usiamo messaggi appropriati: dobbiamo essere certi dell’efficienza e dell’appropriatezza non della sua riduzione. La spesa sanitaria che rappresenta l’80% del bilancio regionale solo per 1/3 è spesa per il personale, per due terzi sono forniture, medicinali, manutenzioni, tecnologie, informatica, servizi, insomma sono parte di quelle piccole medie e grandi imprese del nostro tessuto economico regionale e nazionale. Per questo rispetto alle sfide che abbiamo difronte come Umbria che ci impongono di fare i conti con questi tempi difficili ed incerti, non rinunceremo in nessun modo ad intraprendere la strada di quelle riforme strutturali di cui abbiamo bisogno: lo sappiamo bene che troveremo resistenze ed opposizioni al cambiamento non solo dentro le Istituzioni e nella stessa politica ma anche in qualche settore della società regionale. Sono altresì convinta che troveremo però anche molti alleati e sostenitori tra i cittadini ed anche tra voi. Di molti di voi conosco la qualità imprenditoriale, il coraggio, il talento, di chi continua ad osare anche in un momento così difficile e complesso per l’Umbria e l’Italia, e di questo abbiamo molto bisogno come Umbria. E so che molti tra voi pensano come alcuni di noi che oggi il governo regionale debba essere più progetto, visione, programmazione che gestione del potere. Ed il progetto non si costruisce dall’alto, in maniera dirigista nelle stanze delle istituzioni. Ha bisogno di saperi, Università, ricerca, innovazione, creatività, visione che solo imprese e lavoratori possono fornire, elementi indispensabili per le concrete azioni di governo. Insomma qualche tavolo in meno, molte idee e progetti imprenditoriali in più. Per questo non mi sento né ci sentiamo come Istituzioni territoriali la vostra controparte bensì al servizio di questa comunità regionale, raccogliendo con responsabilità e coraggio la sfida del nostro tempo, di un progetto di governo che rimetta al centro il binomio impresa e lavoro, economia reale, produzione ed occupazione. Forse almeno la crisi ha cancellato l’illusione che fosse concretamente possibile far crescere un Paese senza lavoro e senza imprese produttive. Ieri il giornale del dott. Cazzullo ha pubblicato una significativa ed interessante riflessione di Edoardo Nesi, ex imprenditore di successo di una di quelle aziende familiari del tessile pratese poi chiuse ed oggi scrittore di un bel libro “storia della mia gente” che potrebbe ben replicare la storia delle nostre imprese, e prendo a prestito una sua riflessione contenuta nell’articolo “abbiamo bisogno di nuovi politici che sostituiscano la gran falange di avvocati e commercialisti che ci governa oggi. Abbiamo bisogno di nuovi imprenditori che si aggiungano a quelli che già ci sono. E bisogna andare a cercarli con il lanternino tra quelle ragazze e quei ragazzi meritevoli che nemmeno le nostre povere scuole sono riuscite a fiaccare. Non solo nelle case patrizie, dove sono però molti giovani costretti a mordere il freno, ma ovunque, anche e forse soprattutto tra le figlie ed i figli dei disoccupati, dei cassintegrati, degli immigrati. Bisogna andare a cercare le migliori ed i migliori di quella generazione dimenticata, alla quale oramai tanti anni fa era stato promesso un nuovo miracolo italiano. Perché abbiamo bisogno di nuove aziende”. Soprattutto pensando a quella che Nesi chiama la generazione dimenticata che non vogliamo lasciare nulla di intentato, reagendo al rischio evidente di declino facendo la nostra parte nella ripartenza. Per questo Presidente Marcegaglia la ringrazio anche per il coraggio e l’insistenza, doti molto femminili, con la quale ha posto anche in queste ultime settimane il tema della crescita come priorità per il Paese e spero che Lei sappia raccogliere le preoccupazioni del mondo del lavoro, che in un momento così difficile e di disagio sociale fatto di disoccupazione, mobilità, assenza di lavoro, vive con molta più rabbia la modifica delle regole del mercato del lavoro, che rischia di ingenerare ulteriore sfiducia nei confronti dei cittadini e dei lavoratori. Al di là di come la pensiamo anche sulla necessità di modificare le regole, questo non può avvenire senza condivisione e confronto con il Paese e con le parti sociali. Le Regioni ci saranno in questa sfida, siamo pronti a raccoglierla, a fare la nostra parte perché la vostra preoccupazione è anche la nostra".  
   
 

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