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Notiziario Marketpress di
Giovedì 06 Ottobre 2011 |
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GIORGIO FEDON ELOGIO DEL “MIGNON”
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Non è raro che un oggetto, animato da un sano desiderio di autonomia e da un altrettanto sano spirito trasgressivo, si emancipi dalla funzione per la quale è stato concepito per candidarsi ad assolverne altre, generalmente non ipotizzate e sovente non ipotizzabili. Quando ciò si verifica, non è difficile arguire ed è doveroso riconoscere che l´oggetto possieda delle sue intrinseche peculiarità che gli consentono di allargare il suo campo prestazionale, a volte fino al punto da fargli completamente dimenticare il suo primitivo compito. E´ indubbiamente ciò che è accaduto ad un piccolo astuccio, concepito per contenere e proteggere dei delicati occhiali pieghevoli. E fin qui rimaniamo nel campo delle constatazioni, estensibili d´altronde a molti altri contenitori, dalla bottiglia al museo, ovvero a qualsiasi scala, che, nati per contenere, travalicano il contenuto assumendo il non programmato ruolo di protagonisti. La circostanza può verificarsi per la concomitante presenza di due condizioni: il cycle of life del contenuto è inferiore a quello del contenente; quest´ultimo può contare su un livello di flessibilità funzionale e/o qualità formali atte a garantirgli l´autonomia dalla primitiva funzione. Per il nostro astuccio la prima condizione è programmaticamente largamente rispettata: non si spiegherebbe altrimenti la scelta della scocca in lamiera, scelta che privilegia durata e sicurezza nei confronti di peso e costi. Dai grandi numeri della produzione è poi facile desumere che è rispettata anche la seconda condizione. E´ però più difficile comprenderne le motivazioni. Non tanto in termini funzionali: il successo commerciale è già di per sé garanzia che l´oggetto è andato ad occupare uno spazio d´uso in larga misura scoperto; evidentemente maneggevolezza, capienza, dimensioni hanno giocato a suo favore. Last but not least, resta dunque aperto il quesito fondamentale: perché piace? Prima di tentare una non facile risposta, è indispensabile una premessa : notoriamente la percezione di un oggetto si esplica attraverso i cinque sensi ; nel nostro caso possiamo trascurare gusto e olfatto e limitarci agli altri tre. Non si è tralasciato l´udito in quanto ci sono validi motivi per ritenere che, per qualità e intensità, il suono che accompagna la chiusura dell´astuccio rivesta un ruolo tutt´altro che trascurabile. La britannica identificazione, snap case, onomatopeicamente meglio si presta a definire il rassicurante suono che accompagna la chiusura dell´astuccio, dandoci ampie garanzie circa l´affidabilità del soggetto scelto per custodire i nostri beni: sono senz´altro in buone mani. E veniamo ad una sintetica analisi visiva, quella che è generalmente di gran lunga la più significativa. Di primo acchito potremmo definirla deludente: trattasi di un parallelepipedo a base rettangolare con spigoli smussati e due facce convesse. Una osservazione più attenta ci consente però la lettura di alcune specificità apparentemente trascurabili: le due facce che assolvono la funzione di fondo e coperchio sono identiche ed essendo anche identicamente bombate non definiscono una base di appoggio stabile, consentendo invece all´oggetto la non consueta prerogativa di ruotare ed oscillare in piena libertà; a dispetto di ogni ortodossia funzionale, nessun tipo di riferimento individua il lato di apertura o si presta ad agevolarla; la cerniera si mantiene a filo dell´involucro, riducendo la sua visibilità ai minimi consentiti dalla funzione. Di conseguenza l´oggetto presenta tre piani di simmetria, coincidenti con i tre piani ortogonali della terna cartesiana. In mancanza di orientamenti grafici non c´è quindi un sopra e non c´è un sotto, non c´è una destra e non c´è una sinistra. Sono osservazioni che possono apparite banali se non si traducessero in circostanze tutt´altro che banali, anzi dirimenti, in quanti probabilmente alla base del successo dell´oggetto in questione: la scatola è pressappoco della lunghezza del palmo della mano; occupa un volume che permette alle dita di chiudersi agevolmente sulla stessa, consentendo la più fisiologica delle impugnature; non presenta asperità o anomalie di sorta che possano creare disturbo o direzionare la presa. Da tutto ciò è facile realizzare che siamo entrati nell´ambito del terzo dei sensi ritenuti utili alla lettura: il tatto. Ebbene, ci sono buoni motivi per dedurre che molto più da fattori tattili piuttosto che funzionali o ottici derivi la fortunata esperienza del nostro astuccio. A suffragio della ipotesi vale ricordare che, nella specifica circostanza, la percezione tattile avviene integralmente con il tramite della mano, e la mano è “...Azione: afferra, crea, a volte si direbbe che pensi.” La citazione é tratta dal saggio di Henry Focillon, “Elogio della mano”, pubblicato nel 1943 con il precedente noto testo “Vita delle forme” del 1934. Si può quindi concludere con Focillon ricordando ancora che la mano “...Non é un utensile senza anima, un attrezzo abbandonato sul tavolo, o lasciato ricadere lungo il corpo (....) tra la mente e la mano, (...) le relazioni non sono quelle semplici, tra un padrone ubbidito e un docile servitore. La mente fa la mano, la mano fa la mente.(...) La mano sottrae l´atto di toccare alla sua passività ricettiva, lo organizza per l´esperienza e per l´azione. Insegna all´uomo a dominare l´estensione, il peso, la densità, il numero.(...) Si misura con la materia che sottopone a metamorfosi, con la forma che trasfigura. Educatrice dell´uomo, lo moltiplica nello spazio e nel tempo” |
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