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Notiziario Marketpress di Lunedì 24 Ottobre 2011
 
   
  IL “DOSSIER FARMACO-ECONOMICO” A CURA DEL CREMS

 
   
   Milano, 24 ottobre 2011 Obiettivo dell’indagine condotta e del dossier predisposto è quello di creare un supporto al processo decisionale di scelta tra le possibili alternative terapeutiche di cui dotarsi a livello regionale per il trattamento della infezione da Hiv, avvalendosi, come sussidio, delle migliori evidenze esistenti (normative, scientifiche ed empiriche). A questo riguardo, con l’obiettivo di garantire un fattivo miglioramento del percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale dei pazienti Hiv positivi e, allo stesso tempo, offrire l’opportunità per i pazienti Hiv positivi di usufruire di una maggiore disponibilità terapeutica per una malattia cronica che assorbe molte delle risorse dei Servizi Sanitari Regionali, si è pensato di discutere, all’interno di questo dossier, di innovazione tecnologica e di scenari innovativi, attraverso tre strumenti di governo propri delle Regioni: la normativa, la ricerca e la valutazione delle tecnologie tramite applicazione dell’Impact Assessment. “In un contesto pubblico all’interno del quale la razionalizzazione della spesa diviene sempre più l’imperativo dominante” sostiene Davide Croce, Direttore del Crems – Centro di Ricerca in Economia e Management in Sanità e nel Sociale dell’Università Carlo Cattaneo – Liuc di Castellanza “è importante concentrare gli sforzi al fine di valutare nuove tecnologie e nuove alternative che siano di sicura efficacia, ma al tempo stesso che non generino un eccessivo consumo delle risorse del sistema. In molte specialità mediche accade che le molecole innovative generano un elevato impatto economico, non giustificato dal livello di incremento in termini di efficacia aggiuntiva o maggiore sicurezza per i pazienti trattati. Per assicurare invece che siano investiti sforzi e denaro solo per farmaci realmente innovativi diviene sempre più necessario valutare in modo scrupoloso e metodologicamente corretto le alternative terapeutiche che sono fornite dal mercato, al fine di prendere delle decisioni basate sulle evidenze scientifiche. In questo quadro d’insieme non dobbiamo dimenticare come l’evoluzione dell’Hiv da malattia acuta e cronica, abbia segnato un netto miglioramento in termini di presa in carico e di outcome per i pazienti, ma abbia anche richiesto al sistema sanitario un maggior sforzo in termini di assistenza e di finanziamento, nel tempo, per questa patologia.” Cosa poter fare, dunque, per trovare delle soluzioni all’interno di questo quadro, che pare essere schizofrenico? Per quanto attiene il settore specifico dei pazienti Hiv positivi, con questa indagine pilota e con il dossier elaborato, si è cercato di proporre un contributo che potesse coniugare proprio le istanze di due mondi apparentemente differenti e che non seguono la stessa direzione. Ciò è stato fatto applicando una metodica, chiamata Impact Assessment, tecnica di tipo previsionale, che è tipicamente utilizzata e implementata a livello politico all’interno della Ue per valutare gli impatti delle politiche e leggi europee emanate, al fine di stimarne i possibili risultati futuri. In maniera analoga all’interno della presente ricerca si è proceduto a valutare il possibile impatto della implementazione di monoterapia all’interno del contesto di Regione Lombardia, per valutarne le possibili conseguenze in termini di efficacia e di impatto sul budget del sistema sanitario regionale. “Partendo dalla coorte dei 23.700 pazienti Hiv positivi in trattamento presso Regione Lombardia” dice Emanuela Foglia, ricercatrice Crems, “considerando le Linee Guida Ministeriali 2010 e i criteri di inclusione per lo studio Molo, ai fini di creare adeguati criteri di eleggibilità, è stato prodotto un modello previsionale statico (orizzonte temporale di 1 anno) e dinamico (orizzonte di 5 anni), in grado di studiare l’evoluzione della patologia (in termini di controllo virologico e non, evoluzione della patologia in Aids, nonché morte), valutando tutti i possibili pazienti eleggibili a monoterapia e conseguentemente correlando gli sviluppi clinici con i costi totali della coorte regionale. L’indagine ha voluto valutare una situazione real life per comprendere ciò che può avvenire nella realtà quotidiana dei pazienti Hiv positivi presi in carico dal nostro sistema sanitario regionale. Il risultato sicuramente più importante e di peso è legato al fatto che attraverso le sperimentazioni sui regimi monoterapici e l’implementazione degli stessi nel contesto clinico si garantisce l’ampliamento della gamma di terapie a disposizione, al tempo stesso garantendo un risparmio consistente al sistema nel suo complesso. La ricerca ha infatti stimato come i vantaggi di natura economica all’inserimento di tale alternativa si possono aggirare nell’ordine dei 10 milioni di euro e arrivare fino a 22,6 milioni di euro, con un risparmio percentuale che va quindi dal 4% all’8% circa. Ciò significa sostenibilità economica ed equità nei confronti dei pazienti trattati.” È indispensabile però non farsi trascinare dagli entusiasmi e valutare molto attentamente le effettive conseguenze in termini di efficacia generata. “Nello studio previsionale” continua Emanuela Foglia “con evoluzione a 5 anni, l’iter del paziente dipende dai risultati di efficacia derivanti dai differenti percorsi in essere. Questa rappresenta la principale problematica: garantire la salute del paziente. Nonostante ciò, in tutti gli scenari possibili, dai più conservativi a quelli che dimostrano una maggiore efficacia della monoterapia rispetto alle terapie standard, l’implementazione della monoterapia comporterebbe comunque un risparmio complessivo per il sistema e un beneficio per i soggetti. Nello specifico si possono stimare, nell’orizzonte temporale di cinque anni, da 37 a 53 milioni di euro di risparmio cumulati negli scenari peggiori, fino ad arrivare a 78 e 123 milioni di euro complessivi, in quelli più flessibili.” Importanti le battute finali e le conclusioni che si traggono da questa esperienza regionale: 1. È possibile garantire dei regimi terapeutici alternativi in grado di apportare ugualmente a un risparmio del sistema, siano essi di tipo integrativo addizionale o sostitutivo rispetto a quelli esistenti. In entrambi i casi, infatti, non si aumenta la spesa complessiva del sistema e, anzi, addirittura si giunge a un risparmio complessivo, non solo nel primo anno di implementazione della nuova terapia, ma anche nel lungo periodo, consolidando quindi il positivo dato gestionale riscontrato; 2. Questo risultato non giova solo in termini economici e di costo-efficacia, ma anche sotto un profilo organizzativo e di impatto di equità che rendono palesi le buone percezioni e l’assenza di possibili resistenze al cambiamento di prassi clinica; 3. Il modello non è esportabile solo in un contesto regionale. Sarebbe anzi opportuno implementarlo sull’intero territorio nazionale, in modo tale da rendere ancora più consistenti i risparmi che possono essere raggiunti. Un risultato simile, già a parità di efficacia, sarebbe più che accettabile, anzi preferibile. In un contesto invece dove l’efficacia diviene addirittura superiore, non vi è alcun dubbio sulla dominanza di un simile trattamento, rispetto agli altri fruibili. “Si evidenzia, però, una necessità strutturale” conclude Emanuela Foglia “concedere la possibilità e assicurare l’eterogeneità delle alternative terapeutiche. In questo contesto è evidente che fornire una garanzia di differenziazione non provoca dei maggiori costi gestionali; si ha la possibilità, infatti, di inserire tale regime tra quelli potenzialmente utilizzabili. Elemento quest’ultimo che consentirebbe un significativo risultato: una maggiore possibilità di scelta da parte del clinico prescrittore e, dunque, una più ampia disponibilità di alternative terapeutiche per i pazienti.”  
   
 

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