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Notiziario Marketpress di Martedì 31 Gennaio 2012
 
   
  GENETISTI ITALIANI CHIARISCONO GLI EVENTI DI DOMESTICAZIONE DEL CAVALLO E IDENTIFICANO LE PRIME 18 CAVALLE DOMESTICATE DALL’UOMO PREISTORICO

 
   
  Pavia, 31 gennaio, 2012 - La domesticazione del cavallo (Equus caballus) da parte dell’Uomo ha sicuramente cambiato la storia di molte popolazioni che, grazie all’acquisizione di questa nuova “tecnica”, sono riuscite spesso a diffondere con grande successo cultura, lingua e geni. Lo studio dei genomi mitocondriali di numerose razze equine condotto da un gruppo di ricerca internazionale (Italia, Germania, Iran, Portogallo, Siria e Stati Uniti) guidato dal professor Antonio Torroni (Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “L. Spallanzani”) dell’Università di Pavia e dal Dott. Alessandro Achilli (Dipartimento di Biologia Cellulare e Ambientale) dell’Università di Perugia – pubblicato il 30 gennaio sulla prestigiosa rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America) – ha rivelato che l’antenato femminile comune di tutti i cavalli moderni viveva circa 140.000 mila anni fa e che sono state almeno 18 le cavalle selvatiche ad essere domesticate, in tempi neolitici, dai primi allevatori. Nel corso della Storia, lo sviluppo delle attività umane è spesso intrecciato all’utilizzo del cavallo (E.caballus) come fonte di cibo, mezzo di locomozione e strumento di guerra (Fig. 1). Raffigurazioni paleolitiche di cavalli con età stimate comprese tra 15 e 30.000 anni compaiono in numerose caverne dell’Europa occidentale (Fig. 2), ma questi esemplari erano selvatici ed erano cacciati come fonte di cibo. I capostipiti selvatici (Equus ferus) dei cavalli utilizzati ancora oggi dall’Uomo probabilmente abitavano le steppe erbose dell’Eurasia, ma i reperti archeologici non sono in grado di fornire risposte definitive su “dove”, “quante volte” e “quando” questi animali selvatici siano stati domesticati. In realtà, solo due popolazioni o sottospecie di cavallo mai domesticato sembrerebbero essere sopravvissute fino in epoca storica: il cavallo di Przewalski (Equus ferus przewalski) e il Tarpan (Equus ferus ferus). Gli ultimi esemplari di Tarpan morirono in Ucraina alla fine del Xix secolo, mentre gli attuali cavalli di Przewalski derivano quasi completamente da un piccolissimo nucleo di animali selvatici catturati intorno al 1900 in Mongolia, mantenuti per decenni negli zoo e reintrodotti recentemente nel loro habitat naturale. I genetisti delle Università di Perugia e Pavia (guidati da Alessandro Achilli e Antonio Torroni) insieme a un gruppo internazionale di ricercatori (Germania, Iran, Portogallo, Siria e Stati Uniti) hanno analizzato 83 interi genomi mitocondriali di numerose razze equine (incluso lo Przewalski) identificando almeno 18 linee genetiche ancestrali (aplogruppi), definite ciascuna da uno specifico set di mutazioni e denominate con le lettere dell’alfabeto dalla A alla R. Tutti questi aplogruppi fanno capo a una singola molecola ancestrale esistente circa 140.000 anni fa, durante il periodo glaciale cosiddetto Saale, e da cui derivano tutte le molecole di Dna mitocondriali attualmente presenti nelle razze moderne. Le 18 linee sono diffuse in tutte le attuali razze equine, tranne una, denominata F, che è tipica solo ed esclusivamente del cavallo di Przewalski, che di conseguenza, non rappresenta l’antenato dei moderni cavalli. Diverse specie domestiche, come bovini e pecore, hanno subito un unico evento di domesticazione avvenuto nel periodo neolitico (circa 10 mila anni fa) nell’area della Mezzaluna Fertile. Al contrario, i numerosi aplogruppi riscontrati nelle razze equine moderne indicano che la domesticazione del cavallo, pur essendo avvenuta anch’essa in tempi neolitici, abbia interessato un maggior numero di popolazioni selvatiche localizzate in molteplici aree geografiche di tutta l’Eurasia. Questo studio sembra perfino indicare un possibile sito di domesticazione in Europa e più precisamente nella penisola Iberica, dove i cavalli selvatici non solo sono sempre stati presenti sin dai tempi Paleolitici, ma sono anche sopravvissuti durante l’Ultimo Picco Glaciale - che interessò l’intero continente Europeo circa 20.000 anni fa - probabilmente rifugiandosi nella medesima area Franco Cantabrica (ai piedi dei Pirenei) abitata da molte specie animali, compreso l’Uomo. Come ci ricorda il Dott. Achilli: “I modi con cui si svolsero le fasi iniziali della domesticazione e dell’allevamento del cavallo rappresentavano fino ad oggi un dilemma tanto interessante quanto di difficile soluzione. Inoltre, trattandosi di equini, i risultati genetici ottenuti assumono importanti implicazioni di tipo storico-culturale e socio-economico dato che, dopo la domesticazione, questa specie ha spesso costituito il mezzo di locomozione privilegiato dall’Uomo nelle sue peregrinazioni attraverso il Vecchio e il Nuovo mondo. Pertanto i nostri dati avranno un forte impatto in diverse aree sia scientifiche che umanistiche (dalla genetica umana a quella animale, dalla paleontologia all’antropologia) e potranno incuriosire sia gli allevatori che i tanti appassionati di questi bellissimi animali” (Figura 2). “Ancora una volta” – conclude il Prof. Torroni – “questo studio conferma come analisi molecolari su interi genomi (in questo caso mitocondriali) siano estremamente informative per rispondere a questioni riguardanti l´origine di popolazioni e specie. I nostri dati permetteranno tra l´altro di classificare in maniera univoca reperti antichi, come le ossa di cavalli selvatici del periodo paleolitico trovati in caverne, o quelle di cavalli domesticati rinvenuti accanto a resti umani in tombe dell´età del Bronzo. Inoltre, bisogna ricordare che il genoma mitocondriale non è solamente utile per gli studi evolutivi, ma determina la produzione di energia cellulare; pertanto studi futuri potranno ora valutare se e come le 18 linee genetiche identificate possano influenzare la salute dell’animale e le performance sportive di cavalli da corsa come i purosangue”. Il genoma mitocondriale dei mammiferi è una piccola molecola di Dna circolare (circa 17.000 coppie di basi) presente in centinaia/migliaia di copie per cellula, trasmesso per via materna senza ricombinazione e caratterizzato da un tasso evolutivo maggiore dei geni nucleari; perciò, la sua variabilità deriva esclusivamente dall´accumulo sequenziale di nuove mutazioni lungo le linee di radiazione femminili. Questo significa che il Dna mitocondriale (mtDna) dei membri di una specie è un archivio molecolare della storia e dei movimenti delle femmine che lo hanno trasmesso nel corso delle generazioni. Per quel che riguarda l’Uomo e molti altri mammiferi questo processo di differenziazione molecolare è stato relativamente veloce e ha avuto luogo principalmente durante e dopo la colonizzazione e diffusione in diverse regioni e continenti. Pertanto i diversi sottoinsiemi (aplogruppi) della variazione nell’mtDna tendono a essere circoscritti a differenti aree geografiche e a differenti popolazioni/sottospecie. Di conseguenza studiando quante e quali mutazioni caratterizzano l’mtDna di un individuo si può risalire alla storia genetica dei suoi antenati femminili, e nel caso degli animali domestici, si possono identificare sia i luoghi e le modalità di domesticazione sia i processi di formazione e di diffusione delle razze moderne. La prima sequenza completa di Dna mitocondriale equino è stata pubblicata nel 1994, quasi venti anni fa. Nonostante ciò gli studi sull´mtDna del cavallo condotti finora si erano concentrati generalmente solo su una piccola porzione (circa 300 coppie di basi) della regione di controllo. Studi analoghi condotti sull´Uomo e su altre specie domestiche (come ad esempio i bovini) hanno evidenziato con chiarezza che spesso è insufficiente analizzare solo tale regione, perché essa presenta elevati tassi di mutazioni che confondono la struttura degli alberi e una variabilità troppo bassa per poter identificare tutti gli aplogruppi esistenti. Si comprende, quindi, l’importanza di questo primo studio che analizza l’intera sequenza mitocondriale del cavallo raggiungendo il massimo livello di risoluzione molecolare possibile. Articolo - “Mitochondrial genomes from modern horses reveal the major haplogroups that underwent domestication” di Achilli A, Lancioni H, Capomaccio S, Felicetti M, Verini-supplizi A e Silvestrelli M dell’Università di Perugia; Olivieri A, Hooshiar Kashani B, Nergadze Sg, Carossa V, Santagostino M, Semino O, Giulotto E, e Torroni A dell’Università di Pavia; Soares P, e Pereira L dell’Università di Porto, Portogallo; Perego Ua e Woodward Sr della Sorenson Molecular Genealogy Foundation di Salt Lake City, Usa; Al-achkarf W dell’Atomic Energy Commission di Damasco, Siria; Penedo Mct dell’Università della California, Usa; Houshmand M del National Institute for Genetic Engineering and Biotechnology (Nigeb) di Teheran, Iran; Bandelt H-j dell’Università di Amburgo, Germania, è stato pubblicato su Pnas ( http://www.Pnas.org/ ) (online Early Edition, January 30, 2012).  
   
 

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