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Notiziario Marketpress di Martedì 30 Maggio 2006
 
   
  AUTONOMIA VEICOLARE : E ALLA FINE I VEICOLI SE NE ANDARONO DA SOLI LE TECNOLOGIE CHE DANNO AI VEICOLI TERRESTRI L’INTELLIGENZA DEFINITIVA SONO GIÀ TRA DI NOI. SE NE PARLATO IERI A PARMA NELLA MANIFESTAZIONE “IL VEICOLO INTELLIGENTE”

 
   
  Parma, 30 maggio 2006 - E alla fine i veicoli se ne andarono. Da soli. Questa quinta ed ultima parte dello speciale sui veicoli intelligenti esamina il culmine dell’intelligenza dei veicoli, quelle tecnologie che li portano alla totale autonomia. Una premessa di classificazione: i veicoli autonomi, ossia in grado di compiere senza diretto intervento umano di guida, locale o a distanza, un percorso in ambiente non strutturato, costituiscono un settore della robotica autonoma, che a sua volta fa parte della robotica più generale. Vista l’impostazione di questa serie, parliamo in modo specifico di veicoli autonomi terrestri, che tra l’altro sono anche quelli dove la tecnologia solo recentemente ha avuto successi significativi. Da tempo infatti esistono veicoli autonomi aerei, acquatici e spaziali e anche i veicoli pilotati in questi ambienti hanno già funzionalità molto spinte di autonomia. Questo perché di tutti gli ambienti, quello terrestre è quello più difficile: instabilità dell’ambiente a brevi distanze, influsso molto forte del tempo atmosferico, struttura tridimensionale complessa, e grande variabilità della densità del suolo. Facciamo a pezzi il problema Realizzare un veicolo in grado di andare autonomamente da un punto A ad un punto B, superando gli ostacoli imprevisti sul cammino, è quindi anche intuitivamente un problema molto complesso e difficile; ma come sempre anche i problemi di questo tipo possono essere risolti se vengono affrontati per gradi e ponendo inizialmente delle limitazioni. Per esempio il fatto che l’ambiente in cui si deve muovere il veicolo sia almeno parzialmente strutturato: esistono così progetti per strumentare le infrastrutture (autostrade) con trasmettitori radio che permettono al veicolo di conoscere esattamente la propria posizione relativamente alla carreggiata. E’ un’idea che ha almeno settant’anni di vita: già negli anni ’30 del secondo scorso erano apparsi progetti di strade in cui una guida magnetica era annegata nell’asfalto, cui le automobili si sarebbero agganciate per compiere lunghi tratti di crociera sotto pilota automatico. Tecnicamente la cosa è fattibilissima, economicamente è costosa e soprattutto dipenderebbe dal fatto che tutte le automobili fossero predisposte per seguire il “binario” elettronico. Tornando all’approccio per gradi, in termini generali esso viene ulteriormente segmentato spezzando il sistema in grado di risolvere il problema in sottoinsiemi funzionali, che in questo caso possono essere riassunti in: Sensori, che consentono al veicolo di sapere dove sono gli ostacoli e percepire l’ambiente che lo circonda. Navigazione: Come arrivare alle destinazione partendo dalla collocazione iniziale del veicolo. Micro-navigazione: Superare il percorso più prossimo al veicolo (fino a a poche centinaia di metri), sterzare, evitare gli ostacoli non presenti sulle mappe, rispettare le regole del traffico ed evitare collisioni con altri veicoli o persone. Controllo, ossia attuare le decisioni di micro-navigazione. Diciamo subito che ad oggi esistono soluzioni robuste, affidabili e di risultato prevedibile per la navigazione, il controllo e per una percentuale molto alta del problema posti dai sensori. La ricerca oggi si concentra in parte ancora sui sensori, soprattutto nel campo della fusione dei dati provenienti da sensori diversi, e poi sulla micro-navigazione, dove si stanno facendo progressi rapidi ma c’è anche molto terreno da esplorare. Navigazione e controllo Come abbiamo detto, non esistono problemi concettuali o tecnologici in questi due settori, il lavoro di ricerca e sviluppo ormai riguarda essenzialmente affinamenti e ottimizzazioni. Per la navigazione ci si affida nella maggior parte dei casi a sistemi di posizionamento satellitari (Gps e fra breve anche Galileo), quasi sempre affiancati da sistemi ausiliari che ne aumentano la precisione (Gps differenziale, servizi di posizionamento terrestre basati su radiofari) o garantiscono l’autonomia da infrastrutture esterne (sistemi inerziali che funzionano anche in assenza di segnale da satellite). In questo modo il veicolo “sa” sempre dove si trova in base a un sistema di riferimento, e sa anche dove si trova la propria destinazione sempre nell’ambito di quel sistema. Applicando una mappa ad alta risoluzione dell’ambiente che comprende i due punti e informazioni relative alle condizione del terreno (tracciato di strade, ostacoli naturali e no, consistenza del suolo), esistono software di definizione dei percorsi che sono in grado automaticamente di tracciare l’itinerario, di solito spezzandolo in tratte delimitate da punti di riferimento. A questo punto il veicolo è pronto per mettersi in marcia. Ma come lo si guida? I primi tentativi richiedevano attuatori meccanici molto complessi che si sostituissero al guidatore umano: leve per comandare i pedali, un braccio meccanico per il cambio, un sistema a cremagliera per lo sterzo. Oggi la diffusione dei concetti di drive-by-wire ha semplificato enormemente il problema. Il sottosistema di controllo di un veicolo autonomo si interfaccia infatti direttamente con gli attuatori che agiscono su motore, freni, trasmissione e sterzo, aumentando enormemente l’affidabilità e riducendo i tempi di risposta. Per questo si è detto in altra sede che il drive-by-wire è uno degli abilitatori più importanti della guida autonoma dei veicoli. Un altro sono i sensori. Guarda dove vai! Il sottosistema sensoriale, per essere più precisi, comprende i sensori veri e propri (i sensi della macchina) e soprattutto uno o più computer che elaborano i dati grezzi e li traducono in un quadro ambientale comprensibile da un macchina. Nei programmi per veicoli autonomi terrestri sono stati e vengono usati i più diversi tipi di sensori: attivi (radar, lidar, ultrasuoni) e passivi (telecamere a luce visibile e infrarossa, soprattutto). Di solito vengono utilizzati almeno due tipi di sensori, e diversi tipi dello stesso sensore per le diverse distanze di rilevamento. Un caso classico è il complesso usato sul veicolo Terramax che ha partecipato alla Darpa Grand Challenge nell’ottobre del 2005. Terramax disponeva di un lidar per la rilevazione fine degli ostacoli, dei bordi della strada e di caratteristiche pericolose del terreno (creste collinari, per esempio), e di un sistema passivo composto da sei telecamere a colori, tre rivolte in avanti e tre all’indietro, disposte in modo da creare tre coppie stereo con diverse basi (lunga, media e corta) da usare rispettivamente sulle lunghe, medie e brevi distanze. Le telecamere avevano campi di vista sovrapposti (come gli occhi di una persona) in modo da dare un’immagine stereo dell’ambiente, sulla base della quale un apposito software era in grado di individuare e identificare gli oggetti, valutarne la distanza assoluto e relativa e collocarli su una scala di pericolosità in quanto ostacoli. I dati provenienti dal lidar e dalle telecamere venivano poi fusi da un software di analisi integrata che permetteva una precisione maggiore di quella possibile usando l’output di uno solo dei due sensori. La scelta di un sensore rispetto a un altro dipende da diversi fattori. Per certe applicazioni, per esempio militari, è importante il fatto di emettere il meno possibile (e se del caso solo in modo direzionale), o non emettere del tutto, radiazioni elettromagnetiche che potrebbero essere intercettate e usate per individuare il veicolo e addirittura per guidare armi contro di esso. Anche l’ambiente in cui viaggia il veicolo ha la sua importanza. Un deserto è meno esigente di un ambiente urbano in termini di riflessioni e interferenze sui sensori attivi, per esempio, ma un lidar è in grado di calcolare le distanze e i bordi di un oggetto in modo molto più preciso di una coppia di telecamere stereo, il che è utile per esempio in ambienti dove ci sono molti ostacoli sovrapposti per linea di vista a distanze brevi l’uno dall’altro (una colonna di traffico in una strada urbana). In tutti i casi, i fattori fondamentali sono la capacità di fusione dei dati e la potenza degli algoritmi di riconoscimento e ricostruzione dell’ambiente. Qui si sono fatti moltissimi progressi negli ultimi anni, ma bisogna comunque ricordare che già nel 1998 il progetto Argo dell’Università di Parma era riuscito a far compiere a un’automobile standard, usando un sistema stereo con due telecamere in bianco e nero, quasi duemila chilometri sulle autostrade del Centro-nord in modalità autonoma per tratti anche di 54 chilometri. Argo usava come punti di riferimento per ricostruire l’ambiente la segnaletica orizzontale, oggi i sistemi equivalenti fanno anche a meno delle strisce. La micro-navigazione L’altra grande area dove oggi sono in corso le ricerche più avanzate è quella della micro-navigazione, ossia come gestire la marcia del veicolo nell’arco dei pochi centinaia di metri che lo circondano, evitando ostacoli, rispettando regole (quelle del codice della strada o altre), uscendo da situazioni complesse ed impreviste (un tronco di traverso sul percorso). La micro-navigazione è a tutti gli effetti una branca dell’intelligenza artificiale e sfrutta tutti i meccanismi software che sono stati negli ultimi decenni elaborati per la risoluzione di problemi complessi in modo “intelligente”. Siamo ancora lontani da un sistema di micro-navigazione in grado di operare in modo ottimale in tutte le situazioni (ma del resto anche la maggior parte dei guidatori umani ha lo stesso problema…), però ci sono diversi software in grado di cavarsela egregiamente in ambienti che fino a cinque anni fa sarebbero apparsi impossibili. A vedere i filmati dei veicoli che hanno partecipato all’ultima Grand Challenge della Darpa si fa fatica a credere che certe manovre (marcia indietro e riallineamento per passare per un cancello stretto, slalom tra i birilli) siano avvenute totalmente in automatico. Paradossalmente, dal punto di vista tecnologico è molto più difficile percorrere 100 metri evitando paracarri piuttosto che viaggiare 100 chilometri in linea retta nel deserto. I progressi degli ultimi anni si spiegano con l’aumento della potenza di calcolo a prezzi decrescenti dei computer, che consente l’uso di algoritmi complessi in tempo reale, e con la migliore qualità e “raffinazione” delle informazioni passate dai sottosistemi sensoriali, che già per esempio danno una prima classificazione del livello di difficoltà di un ostacolo, sollevando il software di micro-navigazione da questo tipo di compiti. In questo settore il prossimo grande passo consisterà nell’integrazione di regole estrinseche all’ambiente, per esempio le regole del traffico (dare la precedenza a destra, fermarsi agli incroci, non superare se provengono veicoli nell’altra direzione e dove c’è il divieto, come avverrà con la prossima Urban Challenge della Darpa, nel novembre del 2007), che già sono un problema per i guidatori umani, oppure altri tipi di regole, per esempio quelle di ingaggio in ambito militare e della sicurezza. Questo ci porta a una considerazione finale, che è anche un possibile inizio. Ora che ci sono, che faccio? Come dicevamo all’inizio, i veicoli intelligenti sono dei robot. Tutti i robot sono costruiti con uno scopo preciso, che può anche essere complesso ma che ne influenza la progettazione e le funzioni. Nel caso dei veicoli autonomi il compito è andare da un certo punto a un altro nell’ambito di un ambiente, che può teoricamente essere esteso all’intero pianeta. Nella maggior parte delle applicazioni, una volta che si riesce a ottenere questo risultato in termini accettabili, il problema è risolto. Ma se si vuole che il robot faccia delle cose una volta arrivato in un punto, oppure che le faccia mentre ci va, oppure ancora che si muova senza un obiettivo preciso per fare delle cose? Qui siamo un po’ più indietro, ma i progressi sono rapidi, anche se meno “visibili”. Se il compito è semplicemente andare da un punto all’altro, le applicazioni tipiche sono quelle di trasporto. L’intera Grand Challenge della Darpa ha l’obiettivo di sviluppare le tecnologie che permetteranno fra qualche anno (pochi) di automatizzare la guida dei convogli logistici delle forze armate americane (incidentalmente, questo è anche il motivo per cui il Terramax dell’Università di Parma è tanto importante, anche per il Pentagono, trattandosi dell’unico veicolo pensate ad avere completato il percorso). Altra applicazione è quella del trasferimento di veicoli o gruppi di veicoli da un punto all’altro. L’esercito americano ha in dirittura d’arrivo un programma che si chiama Robotic Follower che prevede che un veicolo blindato Stryker faccia da “pesce pilota” per un gruppo di altri Stryker che lo seguono in modo automatico. I veicoli che seguono tengono d’occhio il veicolo guida con i propri sensori e sono in grado di tallonarlo anche a un centinaio di metri di distanza (assicurando la dispersione dei possibili bersagli in caso di azione nemica). Entrambe le applicazioni hanno risvolti civili importanti, anche a breve termine. Pensiamo a convogli di autocarri di cui solo il primo sia pilotato, oppure a veicoli industriali che si spostano all’interno di aree portuali. Se pensiamo a veicoli che fanno cose mentre vanno da un punto all’altro, il campo applicativo potenzialmente più vasto è l’agricoltura: dopo tutto, cosa fa un trattore o una mietitrebbia? E infatti esistono già prototipi di trattori autonomi, tant’ è che secondo molti studi proprio l’agricoltura sarà il prossimo settore in cui avverrà una “rivoluzione robotica”. Un passo ancora e arriviamo ai veicoli autonomi in cui il muoversi per proprio conto sulla base di regole è solo una delle funzionalità possedute. Per ora ha individuato dei requisiti specifici ed è più avanti sono i militari, americani ma anche europei. Già dalla fine degli anni ’90 il Pentagono sta finanziando un programma per un robot autonomo da usare per la sorveglianza di aree estese (il pattugliamento di confini, per esempio). Il progetto dovrebbe andare in produzione di serie limitata entro l’anno. Alcune versioni avranno solo sensori, altre saranno armate, e qui si entra nel settore enorme e controverso delle regole di ingaggio, da Asimov in giù. Sono molti i progetti e programmi a uno stadio meno avanzato, da muli meccanici autonomi per affiancare le truppe leggere a microrobot da sorveglianza della grandezza di un topo o anche di un grosso insetto, fino a veri e propri veicoli da combattimento autonomi. Per esempio, il più grande programma dello Us Army per una nuova famiglia di veicoli da combattimento, l’Fcs (Future Combat System) che andranno ad affiancare e sostituire molti dei mezzi attuali comprende anche un vero e proprio carro armato autonomo. Le applicazioni non militari di tecnologie di questo tipo sono moltissime: dall’agricoltura (robot che raccolgono la frutta) ai trasporti (un camion che non solo va da solo dove deve andare ma scarica o carica pure), dall’edilizia (scavatrici autonome) ai servizi pubblici (raccolta dei rifiuti). E non è detto che tutte useranno le ruote come mezzo di spostamento terrestre. Ma questo è un altro discorso. Lo stato dell’arte dei veicoli autonomi è uno degli argomenti centrali del convegno-expo “Il Veicolo Intelligente”, il primo del genere in Italia e tra i pochissimi a livello mondiale fuori dall’ambito strettamente accademico, in programma oggi presso il Centro Congressi della Camera di Commercio di Parma. “Il Veicolo Intelligente” è il momento forte delle Giornate della Meccatronica, una due giorni (oggi e domani) dedicata alle tecnologie e alle soluzioni di convergenza tra la meccanica e l’elettronica organizzata dalla Camera di Commercio di Parma in collaborazione con l’omologa “Camera valdostana delle imprese e delle professioni” e con il Centro Sviluppo di Aosta. L’evento viene coordinato in qualità di segreteria organizzativa alla società Updating di Milano, che offre servizi per la comunicazione e la cultura ad aziende ed enti pubblici. Www. Veicolointelligente. It .  
   
 

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