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Notiziario Marketpress di Venerdì 04 Maggio 2012
 
   
  A SCENA APERTA: FRANCESCA BARICHELLO; PAOLA CAPETTI; KARMIL CARDONE; DENISE FERRARI; YURI MARI; GIULIO ORGASMO; VALENTINA RIBOLI; VERONICA VESCIO. MILANO, 4 MAGGIO – 18 MAGGIO 2012

 
   
   Otto giovani artisti presentano presso gli spazi della galleria Allegra Ravizza Art Project una suggestiva selezione di opere che presentano il costante rapporto esistente tra la figura umana e il mondo che la ospita. Accanto a una natura lasciata incontaminata, oggetto di contemplazione che da sempre ha affascinato l’animo degli artisti, troviamo la mano dell’uomo che, agendo su di essa, la modifica. Una storia di continui cambiamenti, di ripensamenti, mai uguale a se stessa, raccontata tramite il mezzo meccanico della fotografia. L’uomo appare e scompare nella natura, lasciando il suo segno, aprendosi a essa o creando un suo spazio non più accessibile alla contemplazione collettiva; abbandona le quinte ed entra in scena e, senza seguire un copione prestabilito, pone mano all’originaria scenografia che lo accoglie, trasformandola o, semplicemente, ammirandola, entrando in uno stato di estasi. Come attore protagonista o come mera comparsa, l’uomo mette in scena il suo spettacolo che è tuttavia destinato a finire. Il sipario si chiude e le luci si spengono; la natura, con lo scorrere del tempo, lentamente cancella i segni di questo passaggio, nell’incessante e ossessiva ricerca di un ritorno al suo aspetto primario. Francesca Barichello (1979) muove dalla costante necessità di riavvicinare e ricostruire con un punto di vista personale e interiore ciò che vede ed esiste nella realtà esterna. Uno sguardo che ridisegna l’esterno montando e unendo parti o vedute di fotografie differenti in un´unica immagine. Un “gioco” di continuo assemblaggio frutto di decisioni precise, momenti istintivi e casualità. Paola Capetti (1985) ci introduce nel mondo dell’amnesia e della perdita dei ricordi, alcune tra le caratteristiche principali del morbo di Alzheimer. Concentrando l’attenzione sulla memoria a lungo termine, ha fotografato cartoline, lettere tra il ghiaccio. Ha così congelato i ricordi che fanno parte di una storia, trasformandoli in reperti di una memoria fragile. Karmil Cardone (1985) propone paesaggi urbani e naturali abitati da una presenza inquietante che muove l’animo dello spettatore. Così, nella corte del palazzo reale di Parigi, sulla sfondo della piramide di Pei, in un campo popolato da antiche rovine, la musa, in una composizione dell’immagine di sapore retrò, cattura l’attenzione dello spettatore, turbandolo. Denise Ferrari (1986) presenta un viaggio mentale scaturito da un viaggio del tutto fisico, alla scoperta di luoghi del mondo che l’artista fa propri attraverso le immagini di porte chiuse fotografate qua e là. Ogni porta è un pezzo di realtà dove il tempo si è fermato in quell’istante, nascondendo ciò che si cela dietro. Yuri Mari (1987) realizza manufatti che, come pure apparizioni, incoraggiano i sogni. Le sue opere sono incantate, a volte ciniche, altre volte affascinate dai sentimenti. Egli crea risonanze tra gli elementi scelti e seleziona i possibili percorsi, nel tentativo di offrire al visitatore l’occasione di un pensiero, una forma sofistica di semplice piacere. Giulio Orgasmo (1982) fotografa le città in cui viviamo, estremamente familiari eppure totalmente irriconoscibili. Una prospettiva che ci attrae e ci stupisce nel momento in cui, dopo lunga ricerca, scopriamo di che luogo si tratta. Nel suo lavoro emerge un’ossessione per il corpo della città che appare in una materialità lontana. Valentina Riboli (1987) affronta il tema della memoria e dei legami. I soggetti sono immersi nella nebbia a indicare il sentimento di disorientamento dovuto alla mancanza come in una sorta di perdita di punti di riferimento. La nebbia diviene il simbolo di una presenza/assenza in fotografie dall’aspetto vagamente onirico e surreale. Veronica Vescio (1980) attraverso la fotografia, descrive la vita e la sua mutabilità. Nelle sue opere racconta il paesaggio urbano, naturale e umano che ogni giorno rimane aperto, esposto ai nostri occhi. Paesaggi che si aprono davanti a noi, che ci appaiono banali e irrilevanti ma che in realtà nascondono la meraviglia e l’alchimia del mondo. [a scena aperta] - La fotografia è un bene comune. L’immagine in movimento l’ha esonerata dal compito di documentare la realtà, la diffusione di dispositivi a basso costo e massima resa l’ha liberata dagli orpelli tecnicistici e dalle disquisizioni strumentali, nella doppia accezione del termine. Sono decenni ormai che l’uso del mezzo fotografico è entrato nell’armamentario dell’artista, quasi che lo scatto possa sostituire, contaminare, sublimare il lavoro pittorico o plastico. Molti autori oggi usano questo strumento come se fosse un attrezzo consueto nella pratica artistica, alla stregua di un pennello o di una spatola. Il che non significa che non esistano nuove generazioni di fotografi-fotografi, pronti ad avere con la materia l’approccio attento e professionale dei loro predecessori. Questo a dimostrazione della versatilità della scrittura con la luce. Nel carosello dei linguaggi, in un clima di piena serenità, coesistono sia gli artisti-fotografi che i fotografi “puri”. E convivono e convincono anche in questa mostra “A scena aperta”. Il sipario si apre e mostra la doppia realtà identitaria, non sempre facilmente definibile, non sempre identificabile, in un gioco delle parti che la fotografia rende sempre possibile. Quello che unisce gli otto giovani autori di questa rassegna non è la comunione dei linguaggi, fin troppo differenti tra loro, ma è la necessità di ricorrere a un mezzo meccanico/elettronico per raccontare le realtà/irrealtà in cui vivono. Eppure, alcune costanti emergono analizzando i lavori. Ciò che vive all’esterno dei propri confini somatici sono dei non luoghi a procedere, spazi urbani fisicamente inaccessibili. A queste città negate corrisponde una tensione ambientale, la ricerca di un paradiso perduto, frammentato nei ricordi. Emergono a volte particolari, dettagli, schegge di vita. Altre volte lo spazio si dilata fino a investire la natura, ricadendo in un mondo esteriore fatto di luoghi anonimi o di architetture impalpabili. La fotografia è un occhio che guarda all’interno, anche quando l’immagine finale suggerirebbe il contrario. Ogni scatto è rivolto verso se stessi, verso la metropoli che ognuno si porta dentro, naturalmente. E questo a dispetto di un mondo che resta a guardare aspettando il suono di un click.  
   
 

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