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Notiziario Marketpress di Martedì 06 Febbraio 2007
 
   
  QUANDO I LETTI SONO TROPPI. O TROPPO POCHI I POSTI LETTO DELLE STRUTTURE SANITARIE, IN ITALIA, HANNO RAGGIUNTO GLI STANDARD PREFISSATI. MA IL DATO NAZIONALE, RILEVA IL CERGAS BOCCONI, NASCONDE REALTÀ DIFFERENTI TRA LE REGIONI: ANCORA TROPPI POSTI IN LAZIO E TROPPO POCHI IN CAMPANIA”.

 
   
   Milano, 6 febbraio 2007 - La sanità italiana ha fatto un grande sforzo, soprattutto nella seconda metà degli anni Novanta, per ridurre l’eccesso di posti letto nelle strutture. Ma se a livello nazionale il numero di letti ha sostanzialmente raggiunto lo standard fissato dall’intesa Stato-regioni nel marzo 2005 (4,5 ogni mille abitanti, comprensivi di quelli per i pazienti non acuti), scorporando il dato generale emerge un grande divario tra le realtà locali italiane. Vi sono regioni, come il Lazio e il Molise, caratterizzate da una surplus di posti letto e altre, come la Puglia e la Campania, che invece ne sono carenti. Gli ultimi dati ministeriali sulla dotazione prevista regione per regione, elaborati dal Cergas Bocconi nel Rapporto Oasi 2006, evidenziano uno scostamento dallo standard che coinvolge quasi tutte le regioni, senza distinzioni significative tra quelle del Nord, del Centro o del Sud. Chi rientra nel valore di 4,5 posti letto per mille abitanti sono la Toscana e il Veneto, mentre Liguria, Calabria, Sicilia (4,4), Marche e Piemonte (4,6) viaggiano prossime. Salendo lungo la classifica delle regioni con una dotazione eccessiva di letti si incontrano la Sardegna e la Lombardia (4,9), il Friuli Venezia Giulia e la provincia autonoma di Trento (5), fino ad arrivare al Molise (5,6) e al Lazio (5,8). All’altro capo si trovano invece la Basilicata (4,3), l’Umbria (4,2), ma soprattutto la Valle D’aosta (4), la Puglia (4) e la Campania (3,8). “Un eccesso di posti letto permette ovviamente maggiori ricoveri e quindi, almeno potenzialmente, minori liste d’attesa; può però favorire ricoveri inappropriati e un aumento dei costi”, spiega la ricercatrice del Cergas Clara Carbone. “Averne pochi, invece, significa non poter fornire un servizio e favorire la mobilità verso altre regioni, a meno che il Servizio sanitario regionale non colga l’occasione per organizzare modalità di cura alternative (e in molti casi preferibili) al ricovero, secondo quella che è ormai una tendenza diffusa a livello internazionale e auspicata anche dalla pianificazione sanitaria italiana. Dai dati emerge inoltre, in quasi tutte le regioni, una carenza di posti letto per i pazienti non acuti, sia in degenza ordinaria che in day hospital”. Il raggiungimento, o quasi, dello standard stabilito di comune accordo tra Stato e regioni (la media nazionale è 4,7 posti letto per mille abitanti, rispetto ai 4,5) tende dunque a nascondere una situazione ben più diversificata. “Limitare i letti per contenere i costi, in linea con la tendenza che porta a riservare l’ospedalizzazione ai casi più gravi, incentivando le modalità di assistenza alternative: sembra che l’Italia ci sia riuscita, ma con differenze tra le regioni che non possono essere ignorate. Questo è dunque un altro dei casi in cui una politica nazionale univoca ha poco senso”, conclude Clara Carbone. .  
   
 

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