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Notiziario Marketpress di Lunedì 04 Giugno 2012
 
   
  LA SOLIDARIETÀ TRA GENERAZIONI PESA SULLE SPALLE DELLE DONNE

 
   
  Trento, 4 giugno 2012 -Esiste ancora il divario di genere in ambito lavorativo? Si può dire che le figlie stiano oggi meglio delle madri e delle nonne? Donne, conciliazione e opportunità di lavoro oggi al centro del dibattito del Festival dell’Economia di Trento che affronta il tema in una in prospettiva intergenerazionale. Se ne è parlato il 2 giugno alla Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento con l’economista Agar Brugiavini (Università Ca’ Foscari di Venezia), presidente della Scuola Superiore di Economia. Le interazioni tra scelte di lavoro, fertilità e cura della famiglia mettono le donne sotto pressione. Agar Brugiavini: «Queste interazioni sono particolarmente forti (e a volte sottovalutate) se viste nel ciclo di vita. Tra l’aiuto con i figli e l’assistenza ai nonni, la reciprocità intergenerazionale pesa sulle spalle delle donne. Le giovani donne hanno condizioni di vita e aspirazioni diverse dalle loro madri, ma sono sotto pressione. Le politiche di welfare devono assumere una prospettiva di ciclo di vita tenendo conto delle relazioni intergenerazionali». L’incontro, coordinato dal giornalista Dario Laruffa, si è aperto con alcuni dati che fotografano le condizioni lavorative e di vita delle donne nel nostro Paese, tratte dal Rapporto annuale dell’Istat e dalla Relazione annuale della Banca d’Italia. Dal punto di vista occupazionale, il tasso di occupazione femminile in Italia è attualmente al 46,5%, inferiore rispetto al 58,5% europeo. Lavorano il 55% delle donne al Centro-nord ma solo il 30% al Sud e Isole. Eppure dal 1993 al 2011 nel totale dell’occupazione si trovano 40mila uomini in meno e 1,7 milioni di donne in più, per lo più nei servizi. Solo 46 donne su 100 lavorano, ma tra gli attuali quarantenni è laureato il 15% degli uomini, contro il 21% delle donne. Nelle famiglie il 33% è composto da donne che non portano reddito. Un dato basso, analogo a quello di Malta, Grecia e Romania, contro il 10% dell’Inghilterra e della Germania. Nella media europea, solo il 4% delle coppie trae reddito del lavoro esclusivo della donna. Un’equa ripartizione del lavoro nelle coppie in Italia arriva al solo 6%. L’italia, inoltre, è al 21 posto in Europa quanto alla partecipazione e alle opportunità. A parità di condizioni, le donne guadagnano il 13% in meno e solo il 12% dei dirigenti è donna. «Negli ultimi decenni si è ridotto il divario fra uomini e donne in ogni aspetto riguardante la vita lavorativa ed è aumentata la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro – ha commentato Agar Brugiavini, presentando i dati dell’indagine Share che ha condotto. Le donne delle generazioni più giovani lavorano di più, guadagnano meglio e hanno prospettive di carriera migliori delle loro madri. Queste invece lavorano meno, in parte per pensionamento, in parte per un generale aumento di partecipazione al mercato del lavoro delle nuove generazioni. Le figlie hanno un livello di istruzione più elevato, migliori prospettive di lavoro e reddito ad inizio carriera e tendono a fare meno figli o a ritardare il momento della maternità (primo figlio a 32 anni, contro i 24 del 1970). La conseguenza della diminuzione della fertilità è un calo nel numero di famiglie. Dal punto di vista lavorativo, si rileva ancora una pesante differenza di genere nei salari e nelle pensioni, soprattutto in alcuni Paesi. «La maternità in Italia è tutto sommato abbastanza protetta» ha però ammesso Brugiavini. «Introdotti nel 1970, i congedi di maternità in Italia sono diventati progressivamente più lunghi e generosi. Negli ultimi anni la tendenza è quella di accorciare i congedi ed aumentare il livello delle prestazioni». Ma qual è l’impatto dei congedi di maternità? I congedi aumentano la partecipazione delle madri al mercato del lavoro o piuttosto hanno un effetto simile ai sussidi di disoccupazione allungando solamente le interruzioni? «La presenza di questi congedi aumenta la flessibilità e la possibilità di scelta – ha risposto Brugiavini. Consentono alla donna di rimanere temporaneamente fuori dal mercato dal lavoro, anche se questo, se si protrae troppo, può costituire un limite. In generale, le generazioni più giovani godono di maggiori protezioni durante la maternità di quanto non fosse accaduto per le madri. Al tempo stesso, però, hanno pensioni in generale più basse e più legate agli anni di contribuzione. In una prospettiva di lungo termine, la generazione delle quaranta-cinquantenni (nate 1965-1975) è stretta fra cura dei figli e dei genitori anziani e molte donne, in particolare nei Paesi mediterranei, per far fronte a queste doppie esigenze di cura rinunciano alla propria carriera. Una situazione che non può che peggiorare, dato che l´allungamento della vita media amplifica i rischi di malattie debilitanti in età avanzata e che il numero di persone che avranno bisogno di assistenza salirà per puro effetto dell’accresciuta longevità. Le madri (baby boomers, nate negli anni 1945-1965) stanno uscendo dal mercato del lavoro, e nel 2030 avranno 80 anni». «La spesa pubblica per le cure di lungo termine in Europa rappresenta una quota fra il 10% e il 20% della spesa sanitaria complessiva – ha commentato Brugiavini. Nei Paesi mediterranei vi è maggiore prevalenza di informal care e il primo familiare a cui si ricorre per aiuto è il coniuge. Ma al di fuori del nucleo familiare, i principali “caregivers” sono le figlie femmine. Con oltre 18 ore a settimana per la cura dei genitori (contro le due ore settimanali della Danimarca), le donne delle generazioni più recenti sono quelle ad essere più sotto pressione. Spinte da altruismo, ma anche da un senso di reciprocità e solidarietà, sono le donne a portare il peso di questo patto intergenerazionale: le figlie aiutano le madri, le nonne si prendono cura dei nipoti. Via via però questo patto si sta sgretolando, perché le cinquantenni di oggi sono ancora attive nel mercato del lavoro e non riescono più ad occuparsene come potevano fare le cinquantenni delle precedenti generazioni». «Le condizioni di vita e le aspirazioni delle figlie sono diverse da quelle che le loro madri avevano alla stessa età – ha concluso Brugiavini. Per le figlie ci sono maggiori opportunità di lavoro e gratificazione, più elevata scolarità e l’eguaglianza di genere è un principio (generalmente) accettato. Le figlie però non stanno necessariamente “meglio” perché il loro benessere dipende dalla interazione di alcuni fattori, tra cui le esigenze di cura di figli (piccoli o adolescenti) e genitori anziani e le politiche di sostegno alla famiglia, assistenza di lungo termine ad anziani non autosufficienti. Le misure a sostegno dell’assistenza informale esistono: si va dai permessi da lavoro (pagati o non pagati), agli orari di lavoro flessibili, gli assegni a beneficio del datore/ricevente di assistenza, gli interventi che forniscono sollievo temporaneo dal peso dell’assistenza. Anche la legislazione si sta muovendo nel senso di incoraggiare il coinvolgimento dei padri. Tuttavia il peso di questo doppio incarico che attualmente grava sulle donne e la tensione che induce le donne a lasciare prematuramente il mercato del lavoro è ancora troppo poco riconosciuta».  
   
 

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