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Notiziario Marketpress di Lunedì 18 Giugno 2012
 
   
  GIUSTIZIA EUROPEA: LA NORMATIVA OLANDESE, CHE ASSOGGETTA IL FINANZIAMENTO DEGLI STUDI ALL’ESTERO AL REQUISITO DELLA RESIDENZA, CREA UNA DISPARITÀ DI TRATTAMENTO TRA I LAVORATORI OLANDESI E I LAVORATORI MIGRANTI. I PAESI BASSI NON HANNO DIMOSTRATO CHE IL REQUISITO DI RESIDENZA DEI “3 ANNI SU 6” NON ECCEDE QUANTO NECESSARIO PER CONSEGUIRE L’OBIETTIVO DI PROMUOVERE LA MOBILITÀ DEGLI STUDENTI

 
   
  La legge olandese al finanziamento degli studi determina i soggetti che possono beneficiare di un aiuto finanziario per compiere studi nei Paesi Bassi e all´estero. Per gli studi di istruzione superiore compiuti nei Paesi Bassi, il finanziamento può essere concesso a qualsiasi studente tra i 18 e i 29 anni, che abbia la nazionalità olandese o di qualsiasi altro Stato membro dell’Unione europea. Per gli studi di istruzione superiore all´estero, lo studente deve disporre dei requisiti per ottenere il finanziamento per gli studi di istruzione superiore nei Paesi Bassi e deve anche avere legalmente soggiornato nei Paesi Bassi per almeno tre anni nel corso dei sei anni precedenti la sua iscrizione in un istituto di istruzione straniero. Tale requisito detto dei “3 anni su 6” si applica qualunque sia la nazionalità dello studente. La Commissione ha proposto un ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia contro i Paesi Bassi, affermando che il requisito dei “3 anni su 6” costituisce una discriminazione indiretta dei lavoratori migranti e dei loro familiari, vietata dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) e in contrasto con la normativa europea relativa alla libera circolazione dei lavoratori. La Corte constata che il Tfue prevede che la libera circolazione dei lavoratori implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, basata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, con riferimento all’impiego, alla retribuzione e alle altre condizioni di lavoro. Deriva, inoltre, da detto regolamento che il lavoratore cittadino di uno Stato membro beneficia nel territorio degli altri Stati membri degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali. Di tale disposizione beneficiano indifferentemente tanto i lavoratori migranti residenti in uno Stato membro ospitante quanto i lavoratori frontalieri, i quali, pur esercitando la loro attività di lavoro subordinato in quest´ultimo Stato, risiedono in un altro Stato membro. La Corte ricorda che l’aiuto concesso per il mantenimento e la formazione ai fini del compimento degli studi universitari, attestati da un titolo di qualificazione professionale, costituisce un vantaggio sociale ai sensi di detto regolamento. Il finanziamento degli studi concesso da uno Stato membro ai figli dei lavoratori costituisce per il lavoratore migrante un vantaggio sociale ai sensi del regolamento, qualora egli continui a provvedere al mantenimento del figlio. Al riguardo, la Corte sottolinea che il principio della parità di trattamento vieta non soltanto le discriminazioni palesi, basate sulla nazionalità, ma anche qualsiasi forma dissimulata di discriminazione che, facendo applicazione di altri criteri di distinzione, pervenga di fatto allo stesso risultato. Ciò accade, segnatamente, nel caso di una misura che richiede una durata di residenza ben precisa, in quanto essa rischia di operare principalmente a danno dei lavoratori migranti e dei lavoratori frontalieri cittadini di altri Stati membri, in quanto i non residenti, nella maggior parte dei casi, sono stranieri. La Corte considera pertanto che il requisito di residenza dei “3 anni su 6” crea una disparità di trattamento tra i lavoratori olandesi e i lavoratori migranti residenti nei Paesi Bassi oppure che ivi effettuano un´attività di lavoro subordinato in quanto lavoratori frontalieri. Siffatta disparità di trattamento costituisce una discriminazione indiretta vietata a meno che non sia obiettivamente giustificata. Al riguardo, la Corte respinge l’argomento dei Paesi Bassi secondo cui il requisito della residenza sarebbe necessario allo scopo di evitare un onere finanziario sproporzionato che potrebbe produrre conseguenze sull‘esistenza stessa di detto regime di aiuti. Essa ricorda che l’obiettivo di evitare un onere finanziario sproporzionato non può essere considerato quale ragione imperativa di interesse generale idonea a giustificare una disparità di trattamento tra i lavoratori olandesi e i lavoratori degli altri Stati membri. I Paesi Bassi asseriscono inoltre che, considerato che la normativa olandese è diretta a promuovere gli studi fuori dei Paesi Bassi, il requisito della residenza garantirebbe che il finanziamento portabile vada unicamente a beneficio di quegli studenti che, in assenza di tale finanziamento, compirebbero i loro studi nei Paesi Bassi. Per contro, gli studenti che non risiedono nei Paesi Bassi avrebbero come primo istinto di studiare nel loro Stato membro di residenza e perciò la mobilità non ne risulterebbe incentivata. La Corte osserva che l’obiettivo di favorire la mobilità degli studenti rientra nell’interesse generale e costituisce una ragione imperativa di interesse generale idonea a giustificare una restrizione al principio di non discriminazione basata sulla cittadinanza. Essa ricorda, tuttavia, che una disciplina atta a limitare una libertà fondamentale garantita dal Trattato, come la libera circolazione dei lavoratori, può essere validamente giustificata soltanto se è idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo legittimo perseguito e non eccede quanto necessario per conseguirlo. In tal contesto, i Paesi Bassi sollevano ancora l’argomento che tale normativa presenta il merito di favorire la mobilità degli studenti con l’arricchimento che gli studi fuori dei Paesi Bassi apporterebbero non soltanto agli studenti, ma anche alla società e al mercato del lavoro olandese. Così, i Paesi Bassi si attendono che gli studenti che beneficeranno di siffatto regime faranno ritorno nei Paesi Bassi, per risiedervi e lavorarvi, dopo aver terminato i loro studi. La Corte ammette che gli elementi indicati tendono a riflettere la situazione della maggior parte degli studenti e, quindi, che il requisito della residenza è adeguato alla realizzazione dell´obiettivo di promuovere la mobilità degli studenti. Nondimeno, il Paesi Bassi avrebbero quantomeno dovuto giustificare il motivo per cui hanno optato per il requisito dei “3 anni su 6” ad esclusione di qualsiasi altro elemento significativo. Detto requisito, infatti, presenta un carattere eccessivamente esclusivo. Imponendo periodi specifici di residenza nel territorio dello Stato membro interessato, il requisito dei “3 anni su 6” privilegia un elemento che non è necessariamente l’unico significativo del reale grado di collegamento tra l’interessato e tale Stato membro. Pertanto, la Corte conclude che il Paesi Bassi non hanno dimostrato che il requisito della residenza non eccede quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito da detta disciplina. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 14 giugno 2012, Sentenza nella causa C-542/09 Commissione / Paesi Bassi)  
   
 

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