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Notiziario Marketpress di Mercoledì 14 Febbraio 2007
 
   
  LETTERA APERTA DI CAMERA ITALIANA DELL’ACCONCIATURA IN MERITO AL DECRETO “BERSANI 2”

 
   
  Camera Italiana dell’Acconciatura, l’organizzazione unitaria nazionale costituita dalle associazioni nazionali degli acconciatori di Cna e Confartigianato e dall’associazione Italiana delle Imprese cosmetiche Unipro, ha esaminato il testo del decreto “Bersani 2” relativo alle nuove norme di liberalizzazione. Camera Italiana dell’Acconciatura, pur condividendo processi e meccanismi finalizzati ad introdurre maggiore concorrenza e liberalizzazione nel nostro Paese, non può non rilevare come tale provvedimento sia stato assunto attraverso un Decreto legge senza nessuna preventiva consultazione della categoria, mentre per altri settori si procederà attraverso la presentazione di un Disegno di Legge che consentirà un confronto in sede parlamentare. Nel merito, gli acconciatori italiani, così li definisce una legge 174/05 “disciplina dell’attività di acconciatore”, che ha modificato la precedente normativa nazionale risalente al 1970, e quindi non più barbieri e parrucchieri, ritengono che il provvedimento proposto sia quanto meno in ritardo rispetto alla evoluzione che il settore ha vissuto negli ultimi anni. A tale proposito occorre ricordare come in moltissimi comuni sono state da lungo tempo abolite le distanze minime tra esercizi, i quorum, le tariffe concordate a livello comunale, e contemporaneamente sono state introdotte forme di flessibilità nella determinazione degli orari giornalieri al pubblico e delle giornate di chiusura. La categoria ha quindi concretamente dimostrato di essere in grado di percepire autonomamente le esigenze dei consumatori e di apportare le necessarie e conseguenti modifiche al modo e ai tempi di erogazione dei propri servizi. Una ulteriore perplessità deriva dal fatto che per l’attività di acconciatura “il peso regolatorio dello Stato” è estremamente ridotto essendo attribuito alle Regioni il compito di definire i principi per l’esercizio delle funzioni amministrative di competenza dei comuni. Tali principi sono volti al conseguimento delle seguenti finalità: valorizzazione della funzione di servizio delle imprese di acconciatura anche nel quadro della riqualificazione del tessuto urbano e il collegamento con le altre attività di servizio; favorire l’equilibrato sviluppo del settore che assicuri la migliore qualità dei servizi per il consumatore; promuovere la regolamentazione relativa ai requisiti di sicurezza e alle condizioni sanitarie degli addetti; di garantire condizioni omogenee di accesso al mercato e dell’esercizio dell’attività del settore. Tali competenze divise tra Regioni e Comuni sono sempre state la migliore garanzia per una presenza fisiologica e articolata del settore sul territorio e hanno consentito già da tempo la realizzazione di processi di riorganizzazione liberalizzazione funzionali alle specifiche esigenze locali dei consumatori e del tessuto urbano. In questo senso appare ingiustamente forzosa e calata dall’alto la previsione contenuta nel decreto relativa alla eliminazione obbligatoria della chiusura settimanale che sicuramente creerà problemi per imprese di piccolissime dimensioni dove tra l’altro l’a presenza femminile in forma di lavoro autonomo e dipendente si avvicina al 70% e che non apporterà benefici alla utenza come si vorrebbe far credere. Appare inoltre utile rammentare che nel nostro paese operano 100 mila imprese di acconciatura, una ogni 550 abitanti circa. Si tratta di una concentrazione che non trova uguali in nessun altro stato europeo anche di maggiori dimensioni ed abitanti, come Germania, Francia, Regno Unito. Non siamo di fronte ad una situazione di scarsa presenza sul territorio anzi il salone di acconciatore è probabilmente l’attività più capillare presente in Italia. Non vi è quindi un problema di offerta scarsa o di accesso chiuso all’attività come in altri settori professionali (farmacisti, medici, avvocati, ecc. ). Camera Italiana dell’Acconciatura, rileva come il Bersani 2 operi più a sostegno della domanda di beni e servizi che sullo sviluppo dell’offerta produttiva. A nostro giudizio invece accanto a processi di liberalizzazione andrebbero individuati interventi a sostegno delle imprese e della loro qualificazione A questo proposito, in primo luogo, si ribadisce che sarebbe utile attivare la riduzioni dell’aliquota Iva portandola al 10% come avviene in alcuni paesi dell’Unione Europea dove a seguito di questa iniziativa, sono stati misurati effetti tangibilmente positivi sull’offerta dei servizi e sulla conseguente crescita di occupazione. Occorrerebbe inoltre attivare seri, mirati e diffusi sistemi di lotta all’abusivismo che per dimensione è paragonabile al numero delle imprese che operano regolarmente e che produce per lo stato “danni” fiscali e previdenziali di notevole entità e per la categoria rappresenta anche un grave danno all’immagine e alla professionalità. Infine sarebbe opportuno studiare misure che favoriscano l’aggregazione di imprese e quindi la creazione di aziende più strutturate in grado di rispondere meglio alle nuove esigenze dei consumatori. .  
   
 

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