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Notiziario Marketpress di Lunedì 19 Febbraio 2007
 
   
  RADIO 1 RAI: FABRIZIO FRIZZI AL COMUNICATTIVO DI IGOR RIGHETTI “IN TV CHI USA VOLGARITÀ NON CONOSCE IL SENSO DELLA PAROLA VERGOGNA” “MI PIACEREBBE ESSERE CAPACE DI SCRIVERE E PRODURMI UNO SPETTACOLO TEATRALE”

 
   
  Roma, 19 febbraio 2007 - Venerdì 16 febbraio su Radio 1 il conduttore televisivo Fabrizio Frizzi è stato l’ospite del “Confessionale del Comunicattivo”, programma dei linguaggi della comunicazione ideato e condotto da Igor Righetti. Ecco un estratto dell´intervista. Chi è Fabrizio Frizzi? E’ nato a Roma nel ’58 e, nella vita, seguendo anche gli insegnamenti del padre, si è dato sempre molto da fare. Ha usato i valori insegnati e la grinta per cercare la propria strada. Una fetta l’ha già trovata, un’altra grande fetta la deve ancora trovare. A 18 anni eri già un dj in una delle prime radio nate a Roma. Da dove nasce la tua passione per il microfono? Nasce dalla famiglia perché mio padre era direttore commerciale e poi generale di una società di distribuzione cinematografica. Quindi ho respirato aria di cinema, di sceneggiature, di incassi fin da quando sono nato. Poi, però, la passione vera e propria è cominciata quando ascoltai “Alto gradimento”. Ascoltando le allegre chiacchierate di Boncompagni con Marengo, Bracardi e tutta la compagnia mi venne voglia di rappresentare la mia ironia alla radio. In Rai era impossibile entrare, o almeno era molto difficile, e riuscii a farlo in una radio privata, una delle prime nate a Roma. Penso che la tua caratteristica principale sia quella di aver sperimentato varie forme dello spettacolo in età molto giovane. E tra queste ci sono due esperienze teatrali. Che cosa ti ha lasciato quel periodo? Il teatro credo che mi sia congeniale perché non c’è niente di meglio che confrontarsi con il pubblico guardandosi negli occhi. Le esperienze che ho fatto in teatro sono diverse da quelle che vorrei fare in futuro perché lì una volta ho rappresentato una grande operetta all’Arena di Verona, la prima e unica nella storia dell’Arena, che era “La vedova allegra” in cui dovevo cantare in maniera lirica e recitare davanti a quindicimila persone ogni sera. Esperienza straordinaria, ma fuori da quel discorso di vicinanza e di calore di cui parlavo prima. Poi ho fatto una commedia di De Benedetti che si chiamava “Lo sbaglio di essere vivo”, un testo molto complicato, difficile, una prova di attore per la quale forse non ero pronto, ma strada facendo ho imparato. Per imparare bisogna sempre misurarsi con cose che siano un po’ più grandi di noi in modo che ci stimolino a studiare, a darci dentro e a superare l’ostacolo. Risale al 1980 il tuo esordio televisivo alla Rai, su Rai Due. Tra le oltre 2000 trasmissioni che hai realizzato quali porti nel cuore e nella memoria? Ho iniziato con la tv dei ragazzi, l’ho fatta per sette anni poi ho fatto quella per adulti, quella della prima serata. Sei cresciuto anche tu… Sono cresciuto con il pubblico, soprattutto assieme ai giovani che seguivano la tv dei ragazzi. Le esperienze le ho amate quasi tutte perché sono state tutte formative, anche quelle traumatiche come le Olimpiadi di Atlanta dove tra disorganizzazioni varie mi sono trovato molto in difficoltà. È stata sicuramente la mia esperienza meno riuscita. Ho amato molto “Miss Italia” perché l’ho gestita per quindici anni e riuscimmo con gli autori, Mirigliani e Maffucci a cambiare un concorso che aveva caratteristiche diverse e a farlo diventare un grande spettacolo per famiglie. Sono affezionatissimo a “Scommettiamo che…” che è stato il mio primo grandissimo successo, ma anche a “I fatti vostri” perché mi ha consentito di imparare molte cose tra le quali la donazione del midollo osseo che poi in un tempo successivo ho praticato. Ho avuto l’onore, la gioia, il dono di regalare il midollo a una persona che stava male. Dal canto sei passato al ballo, come concorrente allo show “Ballando con le stelle”. E’ una prova che rifaresti? Il ballo ha sempre cozzato con il mio corpo nel senso che sono alto, dinoccolato, un po’ pesante quindi pensavo di non poter ballare in alcun modo. Poi invece grazie a Milly Carlucci, che per me è una sorella professionale ma anche una carissima amica, che mi ha stimolato, mi sono schierato nella prima edizione di “Ballando con le stelle”. Un’esperienza un po’ folle, ma molto appagante, divertente perché esporsi davanti a tanti milioni di persone facendo una cosa per la quale non sei portato che potresti comunque non far bene è uno shock pazzesco. È stata una cura per la mia timidezza. Sono molto timido e ho sempre problemi ad approcciarmi con il pubblico. “Ballando con le stelle” mi ha parzialmente guarito da questo problema. In questo senso sono grato a quell’esperienza e comunque è stato un grande successo di popolarità perché tanta gente continua, a distanza di tempo, a parlarmi di quello o soltanto di quello. Meglio di una qualunque seduta psicoanalitica… Esatto. Il tuo aspetto conciliante e il tuo sorriso tra l’ironico e il bonario quanto contano sul tuo successo? Tanti anni fa venivo accusato di fare qualcosa di trash per qualche errore nella gestione degli ospiti a “I fatti vostri”. Una volta fummo attaccati per una cosa che facemmo a “Scommettiamo che…” una scommessa di un ragazzo che secondo noi aveva usato un metodo straordinario per fare calcoli e invece si trattava di un metodo di quelli che si insegnano a scuola che non era per niente difficile. Un trash da educanda rispetto a quello attuale… Sì, con il passare del tempo queste cose sono diventate veniali, delle scivolatine. Però penso che chi esagera, chi usa parole pesanti, volgarità più che doppi sensi, non si rende conto, non conosce il senso della parola vergogna. I professionisti pensano non soltanto a cercare di fare la migliore figura possibile, ma pensano sempre a un referente che sta a casa che potrebbe essere un figlio, una madre, una persona che vede e che giudica con l’affetto di una persona cara e non con il metro del comune spettatore. Ecco, di fronte a mio figlio, a mio padre, a mia madre non vorrei mai vergognarmi per quello che ho fatto quindi utilizzo la misura di un linguaggio che sia a uso di famiglia. Credo che questo ormai lo facciano in pochi però penso che ognuno debba fare la propria parte. Non mi piace seguire le mode e fare un passo oltre finché non arriva la denuncia o il blocco. A me piace fare quello che mi assomiglia. Adesso ho trovato, per fortuna, in Raitre una rete che mi consente di fare questo e sono molto contento. Mi sento fuori moda, ma conosciamo anche il detto “i classici non passano mai di moda”. E quindi spero di rientrare in questa categoria. Come ti piace passare il tempo libero, quando ce l’hai? Sono tanti anni che non mi annoio perché ho sempre qualcosa da fare. C’è una specie di classifica tra le mie priorità. Naturalmente con il passare del tempo nella classifica ho riportato ai primi posti le persone care perché voglio poter passare del tempo con le persone che amo: i miei parenti, la mia compagna e gli amici. Il lavoro in certi periodi la fa da padrone e in un certo periodo di tempo in cui in televisione andava meno bene il lavoro ho riscoperto il fatto di girare l’Italia facendo serate che è una cosa umanamente straordinaria. Ci sono scambi di vedute e di commenti con persone diverse che rappresentano tante vite, tante modalità di vita diversa. È una cosa che arricchisce moltissimo. Quando riesco faccio anche sport perché mi piace correre, mi piace giocare a tennis, mi piace guidare le automobili velocim naturalmente in pista. La tua passione per la moto ti fa superare i limiti di velocità? Ufficialmente no. Quando ero più giovane correvo, ma non c’era ancora la patente a punti e correvo solo quando la strada era vuota e se ero in ritardo sul lavoro. Adesso mi sono dato una regolata perché i rischi sono a ogni angolo della strada, bisogna andare piano, essere lucidi e responsabili. Se si vuole correre, perché magari uno sente il piacere di farlo, esistono piste dove a prezzi modici si può andare a imparare la guida veloce sicura e ci si può sfogare rendendosi conto che quando non tieni una macchina in una curva e c’è un muro non è una cosa piacevole. In pista se esci di strada invece non ti fai male, vai a finire sull’erba o sulla ghiaia e lì ti rendi conto dei rischi che si corrono per la strada. Fabrizio Frizzi in privato perde mai le staffe? In passato sì. Il carico di responsabilità talvolta mi ha fatto innervosire anche perché tenersi le cose dentro non fa bene quindi ogni tanto una sfuriatina bisogna avere il coraggio di farla. Uno sfogo terapeutico… Diciamo di sì. Anche qui il tempo ha migliorato le cose perché ho imparato a gestire i momenti di nervosismo, a dominarmi. Anche perché le persone intelligenti sanno dominarsi. Fai parte della squadra dei personaggi dello spettacolo che organizza manifestazioni sportive a scopo benefico. E sei anche donatore di midollo osseo. Hai mai interpretato la parte del cattivo? Il cattivo non fa per me, non lo sono neanche con i cattivi. L’unica volta che sono stato molto cattivo risale al 1983, avevo venticinque anni, ho visto non soccorrere mio padre in un giorno sfortunato in cui gli è venuto un ictus. Il policlinico Umberto I di Roma era in sciopero, quindi ho visto morire mio padre senza alcun aiuto e ho visto un infermiere irridere me e la mia famiglia perché eravamo naturalmente molto preoccupati. Quel giorno ho rischiato di compiere atti di grande cattiveria perché ero disperato, stavo perdendo mio padre che poi ho perso un’ora dopo. Non ho avuto il coraggio di compiere una cattiveria perché le persone per bene, le persone ragionevoli, buone, non buoniste, non riescono a compiere atti di cattiveria neanche quando glieli tirano fuori dalle mani. Quel giorno sarebbe stato più educativo se avessi avuto il coraggio di fare del male a qualcuno. È brutta questa cosa che sto dicendo ma… Il grosso problema è che quando hai una reazione di questo tipo nessuno ti chiede la spiegazione e sembri un violento. Quindi ho fatto bene a non avere nessuna reazione, ma diciamo che si è cattivi talvolta per reazione. Almeno io lo farei solo per reazione, mai per azione. Che cosa vorresti che accadesse domani? Mi sono fissato sulla vicenda delle cellule staminali, una delle più grandi scoperte scientifiche degli ultimi anni. Tifo per i grandi ricercatori affinché scoprano la maniera di utilizzarle per guarire tante malattie anche quelle gravissime, croniche come l’alzheimer o l’ictus. Tifo affinché le cellule staminali possano diventare i meccanici in grado di riparare i guasti del corpo umano. Spererei di sentire domani da un telegiornale la notizia che le cellule staminali e i ricercatori hanno vinto e quindi da quel punto di vista la nostra vita cambierebbe un po’ perché se venisse un male sapremmo come combatterlo. Affronteremmo la vita con un pizzico di paura in meno. Progetti? La gioia di mettere su famiglia è il progetto più importante e quello cui naturalmente ambisco con tutte le forze. Poi, collateralmente, l’anno prossimo compirò 50 anni vorrei togliermi qualche soddisfazione prima che il fisico cominci a darmi meno possibilità. Tra queste mi piacerebbe essere capace di scrivere e produrmi uno spettacolo teatrale che porti tutta la mia fantasia, la mia creatività, quello che so fare più o meno bene al pubblico di tutta Italia. Spero che possa accadere e che sia in grado di farlo perché comunque si tratterebbe di fare l’imprenditore di me stesso oltre che l’attore e non è certamente una cosa facile. .  
   
 

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