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Notiziario Marketpress di Lunedì 19 Febbraio 2007
 
   
  ANTONIO DONGHI 1897-1963 ROMA, COMPLESSO DEL VITTORIANO 16 FEBBRAIO - 18 MARZO 2007

 
   
   Roma, 19 febbraio 2007 . Banca di Roma, proprietaria della Collezione Donghi, promuove unitamente al Vittoriano una grande mostra monografica dedicata ad "Antonio Donghi. 1897-1963" (1897-1963), uno fra i pittori italiani più originali del Xx secolo, dopo quattordici anni dalla ultima rassegna (Spoleto e Roma 1993). Dal 16 febbraio al 18 marzo 2007 l´esposizione, ospitata nel Salone Centrale del Complesso del Vittoriano, attraverso circa 80 opere tra olii, pastelli e disegni, ripercorrerà l´intero cammino dell´artista romano, dalle opere giovanili ai capolavori degli anni Venti e Trenta, dalle sottili indagini sul paesaggio e la pittura di genere svolte negli anni del dopoguerra, fino alla produzione degli ultimi anni. Fra le opere esposte, provenienti da collezioni pubbliche e private, scelte con l´intento di individuare i vari momenti dell´attività del maestro, spicca come corpus principale della Mostra l´intera collezione Donghi di proprietà di Banca di Roma composta da 22 olii, 4 disegni e 2 pastelli. Un´importante raccolta frutto del profondo legame tra la Banca, il suo territorio di origine e un artista romano tra i protagonisti della pittura del Xx secolo. La Mostra, sotto l´Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, si avvale del patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, del Comune di Roma - Assessorato alle Politiche Culturali - unitamente alla Regione Lazio - Assessorato Cultura, Spettacolo e Sport -, ed è promossa dalla Banca di Roma, Capitalia Gruppo Bancario. La rassegna "Antonio Donghi. 1897-1963", a cura di Maria Teresa Benedetti e Valerio Rivosecchi, è coordinata da Alessandro Nicosia e M. Cristina Bettini ed è realizzata da Comunicare Organizzando. La mostra In sintonia con importanti iniziative romane, tese a valorizzare aspetti dell´arte italiana del Novecento, la mostra "Antonio Donghi. 1897-1963" vuole presentare al sempre vasto pubblico che anima gli spazi del Vittoriano, la personalità di un pittore esponente di quel "realismo magico" che alla fine degli anni ´20 si ricollega direttamente alla tradizione figurativa della classicità rinascimentale italiana approdando ad una rappresentazione meticolosamente realistica del mondo quotidiano fissato attraverso un linguaggio raffinato, immerso in un´atmosfera sospesa tra attonita immobilità ed incanto rarefatto. Dall´esordio nella Roma di "Valori Plastici" e della "Terza Saletta" del Caffè Aragno, alle mostre presso la "Casa d´Arte Bragaglia", alle esperienze americane a New York e Pittsburgh, la vicenda di Donghi si snoda pacatamente, al ritmo di pochi quadri all´anno, eseguiti con certosina pazienza, sostenuta da una forte intensità interiore. Filo conduttore dell´esposizione il mondo personale dell´artista, popolato da saltimbanchi, giocolieri, canzonettiste, cantanti e attricette da avanspettacolo, e poi "attori" inconsapevoli quali cacciatori, pescatori, fanciulle, giovani amanti, accarezzati da una luce fissa e assorta; un universo in apparenza quotidiano ma, in realtà, specchio di una realtà "altra", straniante, magica, quasi allucinata. Il realismo pittorico si fa ovunque esasperatamente preciso sia nella resa levigata dei particolari che nella definizione geometricamente esatta delle coordinate spaziali. Le immagini nitide e terse della produzione pittorica di Donghi si sedimentano nella memoria e provocano dei fulminanti effetti di déjà-vu per una particolare tecnica di composizione utilizzata dall´artista in tutto il suo lavoro dal 1923 al 1963. Può sembrare che il pittore abbia dipinto "pochi" quadri in tutta la sua lunga carriera. Dal suo studio escono otto-dieci quadri all´anno ma l´accuratezza del lavoro non è l´unica ragione di questa scarsa produzione. Come sottolinea Valerio Rivosecchi, la causa principale sta nel particolare "montaggio" delle immagini con cui Donghi compone i suoi quadri includendo elementi come paesaggi o nature morte che acquistano autonomia propria in altre opere. Questa originale "ars combinatoria" si può estendere anche ai pochi volti, ai pochi modelli, ai travestimenti che ritornano nei suoi dipinti con una ieraticità a tratti inquietante. Sono visi regolari, inscrivibili in un ovale, forme ideali per una pittura fortemente attratta dalle armonie delle forme geometriche. Volti ricorrenti sono l´amatissima sorella Bianca, il fratello Renato, il cognato, il marchese Lauro de Bosis, amico poeta che muore in un volo suicida su Roma. E´ sempre l´abito a connotare il ruolo del personaggio ritratto: pagliacci, spose, arlecchini, massaie, si impongono allo sguardo dello spettatore nella monumentale classicità delle loro vesti impeccabili nelle pieghe e nei panneggi. Bisogna ricordare che Donghi, figlio di un commerciante di stoffe, possiede un guardaroba composto da abiti destinati a vestire i suoi modelli. Con quale premuroso amore, l´artista si sofferma sulla luminosità che costruisce la materia pittorica delle calze, delle vesti di seta, delle tovaglie, dei cappotti di fustagno. Lo stesso amore sognante con cui costruisce i nudi assorti, le nature morte, i paesaggi al di fuori del tempo e dello spazio, dove i colori si fanno brillanti come vernici, levigati come porcellane, smaltati con una lucentezza di fiamminga memoria. "L´arte del Donghi, severa e paziente, da un fondamento veristico si eleva ad una visione del volume, in cui finisce per irrigidirsi il senso vivo della materia e del colore. Giovandosi dell´esperienza cubista, il Donghi ha cercato di raggiungere una specie di ´concretezza astratta´, una superrealtà che svela nel suo apparente verismo un germe di reale trasformazione fantastica. " (Cesare Brandi). Rari i disegni realizzati da Donghi, ben rappresentati in mostra da disegni riferiti ad opere in seguito realizzate ad olio e, ancora, splendidi i ritratti esposti. Scrive in un articolo del 1940 Luigi Bartolini: "Donghi fa delle satire, in pittura, senza saperlo. Il suo realismo è il vertice del realismo e vince ogni macchina fotografica. Desiderate un bel ritratto, liscio, pulito, assomigliante…? Andate da Donghi. Ma qui è l´illusione; qui sta il trucco; è qui, ossia nel secondo momento di riflessione che voi, osservatore intelligente di quadri, venite ad accorgervi di quanto sia, quantunque sembri vicina, eppure lontana, dalla fotografia la bella arte del Donghi. Da ogni suo quadro ad olio trasuda uno spiritino che, a volte, a me, se l´ho visto bene, è sembrato diabolico diabolicissimo in quanto il vero diavolo, il vero demone - per dirla con Socrate - è quello che sta nascosto… E´ dunque il Donghi un pittore, a differenza di Van Ostade, di immobilità. Il modello che posa per Donghi deve veramente posare… E´ il poeta dei particolari. La sua pittura giunge a commuovere gli intelligenti più che non giunga a commuovere i disattenti mediocri… Morale della favola: io vorrei possedere un quadro di Donghi e non mi farei fare un ritratto se non da lui, desiderando un quadro che mi somigli, nei pregi e nei fisici difetti, in bene ed in male, col mio carattere e con quello del pittore che non soprraffà il mio ma che, lentamente, per così dire, giuoca dietro le quinte del palcoscenico del modello". La vita e l´opera Figlio di un commerciante di stoffe, nasce a Roma il 16 marzo 1897. Dopo la separazione dei genitori trascorre un periodo in collegio, poi si iscrive al Regio Istituto di Belle Arti di Roma fino alla licenza conseguita nel 1916. Al termine della guerra, si dedica allo studio della pittura. Esordisce nel 1922 mentre nel ´23 partecipa alla Seconda Biennale Romana. Il clima in cui Donghi inizia ad operare è quello sviluppatosi intorno al gruppo di "Valori Plastici" e nella "Terza Saletta" del Caffè Aragno negli anni del dopoguerra. Nel 1924 le prime mostre personali nella Sala Stuard di via Veneto e alla Casa d´Arte Bragaglia, rendono nota la pittura di Donghi a un pubblico più vasto. In dicembre, alla Galleria Pesaro, l´artista partecipa alla importante Esposizione di Venti Artisti Italiani, curata da Ugo Ojetti, che vede la partecipazione, tra gli altri, di De Chirico, Casorati, Guidi, Oppi, Tozzi, Trombadori. Donghi appare già a questa data come un esponente di quel modo di concepire l´arte che poco dopo lo scrittore Massimo Bontempelli in Italia e il critico tedesco Franz Roh in Germania definiranno "realismo magico". All´indomani della rottura con il passato provocata dalle avanguardie artistiche, nel clima del "ritorno all´ordine" ci si vuole ricollegare ai modelli trecenteschi e quattrocenteschi ponendo in uno scenario immobile, incantato, sospeso in un´atmosfera magica e onirica, immagini di una realtà domestica che assurge ad una dimensione mitica anche grazie al raffinato linguaggio pittorico. Nonostante il carattere schivo, l´artista assume nel corso degli anni Venti una dimensione di lavoro sempre più internazionale con mostre a Mannheim, New York, Boston, Washington, Chicago, San Francisco. In estate si reca per un breve periodo a Parigi, dove incontra De Chirico e De Pisis. Nel 1927 tiene una personale a New York; poi espone in Svizzera e in Germania. Importante in questi primi anni l´appoggio ricevuto da Ugo Ojetti e dal musicista Alfredo Casella, uno dei primi collezionisti italiani disposti ad apprezzare il suo lavoro. Nel 1931, alla Prima Quadriennale, il dipinto Donna alla toletta è acquistato dalla costituenda Galleria Mussolini, mentre il Battesimo entrerà a far parte del Museo Civico di Torino. Alla Biennale di Venezia del 1932 due delle otto opere esposte sono acquistate da Collezioni pubbliche. Alla Quadriennale del 1935 Donghi espone un nutrito gruppo di opere. Nel 1936 ottiene l´incarico di figura disegnata presso la Regia Accademia di Belle Arti e Liceo Artistico di Roma. Da questo momento si divide tra l´insegnamento e la pittura, sviluppando soprattutto il tema del paesaggio italiano, indagato e studiato dal vero in frequenti viaggi. Sono in gran parte paesaggi le opere esposte tra il 1938 (Roma, Galleria Jandolo) e il 1940 (Milano, Galleria Gian Ferrari) ma non vanno dimenticati alcuni quadri che tornano sui suoi temi preferiti: saltimbanchi, cantanti, attrici, pescatori, fanciulle in vacanza, giovani amanti. Nel 1941 La Reale Accademia d´Italia gli conferisce un premio con riferimento a tutta la sua attività. La partecipazione alla quarta Quadriennale (1943) e la personale alla Galleria La Finestra di Roma (1945) rivelano i sintomi di un cambiamento di linguaggio che si farà sempre più evidente: si accentuano le componenti calligrafiche a scapito della composizione complessiva dei dipinti, mentre sempre più raramente l´artista affronta soggetti di grandi dimensioni. Il clima culturale del dopoguerra non contribuisce alla serenità del suo lavoro. Donghi continua a produrre soprattutto per alcuni affezionati collezionisti che in questi anni si aggiudicano buona parte della sua produzione. Nel periodo che va dal 1950 alla morte a Roma il 16 luglio 1963, Donghi dipinge quasi esclusivamente paesaggi, partecipa alle Biennali di Venezia del 1952 e 1954 in tono minore, e così alle Quadriennali (1951, 1955, 1959). La prima mostra retrospettiva, pochi mesi dopo la morte, si tiene alla galleria "La Nuova Pesa" di Roma. .  
   
 

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