Pubblicità | ARCHIVIO | FRASI IMPORTANTI | PICCOLO VOCABOLARIO
 













MARKETPRESS
  Notiziario
  Archivio
  Archivio Storico
  Visite a Marketpress
  Frasi importanti
  Piccolo vocabolario
  Programmi sul web








  LOGIN


Username
 
Password
 
     
   


 
Notiziario Marketpress di Lunedì 26 Novembre 2012
 
   
  GIUSTIZIA EUROPEA: LA NORMATIVA SPAGNOLA IN MATERIA DI PENSIONI DI VECCHIAIA CONTRIBUTIVE DEI LAVORATORI A TEMPO PARZIALE È DISCRIMINATORIA, IN QUANTO IMPONE AI LAVORATORI A TEMPO PARZIALE (CATEGORIA COMPOSTA PER LA MAGGIOR PARTE DA DONNE) UNA DURATA DI CONTRIBUZIONE PROPORZIONALMENTE SUPERIORE, DETERMINA UNA DISPARITÀ DI TRATTAMENTO

 
   
  In Spagna, per poter beneficiare di una pensione di vecchiaia contributiva occorre aver raggiunto l’età di sessantacinque anni ed aver compiuto un periodo minimo di contribuzione di quindici anni. Ai fini della determinazione dei periodi contributivi richiesti, la normativa spagnola tiene esclusivamente conto delle ore effettivamente lavorate, calcolando la loro equivalenza in giorni teorici di contribuzione. Tale regola viene attenuata da due misure di correzione, volte a facilitare l’accesso alla tutela previdenziale dei lavoratori a tempo parziale. In tal senso, in primo luogo, la nozione di «giorno teorico di contribuzione» è definita quale corrispondente a 5 ore quotidiane di lavoro effettivo ovvero a 1 826 ore annuali. I contributi versati vengono presi in considerazione in funzione delle ore lavorate, calcolando la loro equivalenza in giorni teorici di contribuzione. In secondo luogo, ai fini della concessione del diritto alle prestazioni di vecchiaia, viene applicata una regola specifica, consistente in un coefficiente moltiplicatore pari a 1,5 applicato ai giorni teorici di contribuzione. Questi ultimi risultano così aumentati, il che facilita l’accesso alla tutela. La sig.Ra Elbal Moreno svolgeva per 18 anni attività lavorativa esclusivamente in qualità di collaboratrice domestica per un condominio a tempo parziale, in ragione di 4 ore settimanali (vale a dire il 10% dell’orario di lavoro legale vigente in Spagna, pari a 40 ore settimanali). All’età di 66 anni chiedeva una pensione di vecchiaia all’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inss), il quale la negava sulla base del rilievo che l’interessata non soddisfaceva il requisito del periodo minimo di contribuzione di quindici anni richiesto. Il Juzgado de lo Social de Barcelona (giudice in materia previdenziale), al quale è stata sottoposta la controversia, chiede alla Corte di giustizia se la direttiva sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di previdenza sociale ammetta la normativa spagnola. A tal riguardo, il giudice rileva che, poichò la normativa spagnola tiene esclusivamente conto delle ore lavorate e non dei periodi di contribuzione, vale a dire dei giorni lavorati, essa implica, in fin dei conti, una duplice applicazione – ancorché con correttivi – del principio del prorata temporis. Ne consegue che al lavoratore a tempo parziale viene chiesto,per quanto attiene ai contributi, un periodo di carenza maggiore, inversamente proporzionale alla riduzione del tempo di lavoro, il cui importo è già direttamente e proporzionalmente ridotto per effetto del carattere parziale del tempo di lavoro. Nel caso della sig.Ra Elbal Moreno, l’applicazione della normativa spagnola implica che i contributi versati per 18 anni in ragione del 10% del tempo di lavoro quotidiano equivalgono a contributi corrispondenti ad un periodo inferiore a tre anni. Conseguentemente, la sig.Ra Elbal Moreno avrebbe dovuto lavorare cent’anni per poter soddisfare il periodo di carenza minimo di quindici anni, che le consentirebbe di ottenere una pensione di vecchiaia di Eur 112,93 mensili. Nella sentenza odierna, la Corte afferma che la direttiva sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di sicurezza sociale osta alla normativa spagnola che impone ai lavoratori a tempo parziale (categoria costituita per la maggior parte da donne) rispetto ai lavoratori a tempo pieno, un periodo di contribuzione di durata proporzionalmente superiore per poter beneficiare di una pensione di vecchiaia contributiva, laddove l’importo risulta già ridotto proporzionalmente al tempo di lavoro. La Corte ricorda che sussiste discriminazione indiretta quando l’applicazione di un provvedimento nazionale, ancorché formulato in modo neutro, sfavorisca di fatto un numero molto più alto di donne che di uomini. Orbene, da un lato, la normativa in questione sfavorisce i lavoratori che abbiano effettuato per lungo tempo lavoro a tempo parziale ridotto, considerato che, per effetto del metodo utilizzato per calcolare il periodo di contribuzione richiesto ai fini dell’accesso ad una pensione di vecchiaia, tale normativa esclude, in pratica, i lavoratori medesimi da qualsivoglia possibilità di ottenere detta pensione. Dall’altro, la normativa nazionale medesima riguarda una percentuale ben più rilevante di donne che non di uomini considerato che, in Spagna, quanto meno l’80% dei lavoratori a tempo parziale è costituito da donne. La Corte rileva, tuttavia, che tale normativa nazionale potrebbe risultare giustificata da fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso. Ciò avviene quando i mezzi scelti rispondono ad uno scopo legittimo di politica sociale dello Stato membro e sono idonei e necessari a raggiungere l’obiettivo da essa perseguito. A tal riguardo, la Corte sottolinea che nessun elemento consente di concludere che l’esclusione dei lavoratori a tempo parziale – quali la sig.Ra Elbal Moreno – da qualsivoglia possibilità di ottenere una pensione di vecchiaia costituisca una misura effettivamente necessaria ai fini del raggiungimento dell’obiettivo di salvaguardia del sistema previdenziale di tipo contributivo, cui si richiamano l’Inss ed il governo spagnolo, e che nessun’altra misura meno restrittiva per tali lavoratori sarebbe idonea al raggiungimento dell’obiettivo stesso. Tale conclusione non risulta inficiata dall’argomento secondo cui le due misure di correzione del calcolo del tempo di lavoro mirano ad agevolare l’accesso alla pensione di vecchiaia per i lavoratori a tempo parziale. Infatti, non risulta che queste due misure di correzione producano un qualsivoglia effetto positivo sulla situazione dei lavoratori a tempo parziale, come nel caso della sig.Ra Elbal Moreno. Ne consegue che una normativa nazionale di tal genere è in contrasto con la menzionata direttiva e costituisce una discriminazione indiretta. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 22 novembre 2012, Sentenza nella causa C-385/11, Isabel Elbal Moreno / Instituto Nacional de la Seguridad Social, Tesorería General de la Seguridad Social)  
   
 

<<BACK