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Notiziario Marketpress di Mercoledì 21 Febbraio 2007
 
   
  GLI EUROPEI E LA TRACCIABILITÀ UNA RICERCA, COMMISSIONATA DA GS1 IN 5 PAESI EUROPEI, EVIDENZIA LA PERCEZIONE E LE ASPETTATIVE DEI CONSUMATORI NEI CONFRONTI DI QUESTO SISTEMA DI MONITORAGGIO DELLA SICUREZZA E DELLA QUALITÀ DELLE MERCI

 
   
  Per molti imprenditori e manager del largo consumo la tracciabilità è pane quotidiano. Ma cosa sanno a questo riguardo i consumatori europei? E che aspettative nutrono nei confronti di questo sistema di monitoraggio della sicurezza e della qualità delle merci sul mercato? Lo rivela una ricerca commissionata dalla sede centrale europea di Bruxelles e da quella di Parigi di Gs1 (già Ean International) – l’organismo internazionale, rappresentato in Italia da Indicod-ecr, che coordina la diffusione e la corretta implementazione dello standard Gs1 (già Ean/ucc) in più di 100 paesi nel mondo – all’istituto di ricerca parigino “Opinionway", che a settembre 2006 ha intervistato 2. 647 cittadini di 5 paesi europei: 586 francesi, 503 tedeschi, 542 britannici, 506 italiani e 508 spagnoli. Pur con leggere differenze da paese a paese, dall’indagine emerge che tracciabilità è una parola o comunque un concetto di cui 6 europei su 10 hanno già sentito parlare, ma di cui più di 8 intervistati su 10 vorrebbero avere maggiori informazioni. La domanda di sicurezza e trasparenza è particolarmente forte in settori come l’alimentazione e la salute. Non per niente, 7 europei su 10 valutano prioritario, in un sistema di tracciabilità, che siano monitorabili tutte le materie prime o gli allergeni contenuti nei prodotti. Di nuovo più di 8 europei su 10 ritengono che sia il produttore, non il distributore a dover rispondere di eventuali difetti di un prodotto. Più omogeneamente ripartito fra produttori, organismi statali e associazioni dei consumatori, invece, il compito di farsi carico della tracciabilità dei prodotti. Sei europei su 10, poi, gradirebbero trovare sui prodotti in commercio un marchio che ne attestasse la rintracciabilità. E ancora 7 su 10 vorrebbero poter leggere sulle confezioni o, quanto meno, nelle istruzioni per l’uso informazioni circa la rintracciabilità o meno del prodotto, oltre a dichiararsi disponibili a pagare un sovrapprezzo pur di avere la ragionevole certezza di star facendo/aver fatto un acquisto sicuro. Sollecitati a indicare quali potrebbero essere i risvolti negativi di un diffuso obbligo per i produttori di garantire la rintracciabilità dei loro prodotti, il 63% degli intervistati ha indicato i costi aggiuntivi per il consumatore, il 53% l’introduzione di nuovi lacci e lacciuoli per i produttori e il 49% un eccessiva limitazione della libertà dell’individuo. Quanto infine all’affidabilità delle diverse tipologie di negozi, gli europei, reduci da diversi scandali alimentari, individuano nel supermercato il luogo più affidabile per fare la spesa, con l’unica eccezione dei tedeschi, più rassicurati dal piccolo negozio di vicinato. Un’appendice della ricerca commissionata dal Gs1 ha verificato il livello di conoscenza dei consumatori europei in fatto di Rfid (radio frequency identification). Conoscenza che è risultata ancora poco diffusa: la media è del 13%, pur con sensibili disparità da paese a paese. I vantaggi dell’impiego di questo sistema d’identificazione delle merci sono comunque percepiti dalla maggioranza dei consumatori (59%), che dimostrano però qualche preoccupazione riguardo all’eventualità di un suo impiego incontrollato. .  
   
 

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