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Notiziario Marketpress di Lunedì 05 Giugno 2006
 
   
  VITTORIO FELTRI AL COMUNICATTIVO DI IGOR RIGHETTI “I PACS? NON CI SAREBBE NULLA DI MALE A INTRODURLI”

 
   
  Roma, 5 giugno 2006 - venerdì 2 giugno su Radio 1 Rai Vittorio Feltri è stato l’ospite del “Confessionale del Comunicattivo”, programma sui linguaggi della comunicazione ideato e condotto dal massmediologo Igor Righetti. Ecco un estratto dell´intervista. Chi è Vittorio Feltri? È uno che da tanti anni dirige giornali, ma esisteva anche prima. Faceva l’inviato al Corriere della Sera, ha fatto il caporedattore, ha fatto il direttore di un giornale di provincia e ha fatto il cronista, che è tutto quello che serve per galleggiare nel mondo della comunicazione. Da studente come pensavi il tuo futuro? Ho sempre pensato che avrei fatto il giornalista. Anche se poi, in una certa fase, ho temuto di non farcela perché ho fatto sei anni di precariato. Oggi tutti parlano di precariato, ma c’è sempre stato. Certo che sei anni sono lunghi, per cui in un certo momento ho temuto che non mi avrebbero assunto e la cosa mi deprimeva un po’. Ma ho anche imparato che se si ha un po’ di temperamento e si insiste alla fine si riesce quasi sempre a ottenere l’accesso alla professione. Quando lavori ti senti libero o condizionato? La libertà in assoluto non esiste. Se diamo un valore alla libertà assoluta, per esempio cento, io godo del 95 per cento della libertà. Poi a qualcosa devo rinunciare, o per questioni di opportunità, o perché c’è di mezzo un interesse, per esempio quello pubblicitario, oppure c’è di mezzo una persona che non si vuole attaccare per motivi di legami con la proprietà, oppure anche semplicemente perché si creano degli imbarazzi. Insomma, c’è sempre un momento in cui devi pigiare sul freno. Nella tua quotidianità che cosa ti dà più piacere? Il piacere me lo dà la riuscita di un articolo o di vari articoli e soprattutto dei titoli che danno, quando sono azzeccati, un senso al lavoro che hai fatto. A volte pensiamo di essere degli intellettuali, pensiamo di lavorare, chissà, in omaggio a degli ideali, ma non è così. Ci sono anche quelli, ma insomma, alla fine dobbiamo avere la consapevolezza che confezioniamo qualche cosa che domani va sul mercato e deve essere acquistato, altrimenti si creano problemi di sopravvivenza. Che cos’è che più ti emoziona? Nel lavoro mi emoziona la notizia, la notizia che dà i brividi a me come li dà poi al lettore quando legge e quando apprezza. C’è da dire che oggi la notizia nuda e cruda emoziona molto meno rispetto al passato perché, come tutti sanno, viene bruciata in tempo reale dalla televisione e soprattutto dalla radio, che ha ancora maggiore immediatezza. Poi c’è Internet, ci sono vari mezzi di comunicazione che, non dico rendano secondario il quotidiano, ma gli hanno fatto mutare la funzione. Oggi la funzione del quotidiano è più orientata all’approfondimento, all’interpretazione, e perché no, al commento. Un tempo i commenti nei giornali erano malvisti. Oggi, invece, senza i commenti purtroppo i quotidiani non avrebbero possibilità di suscitare interesse nel pubblico. Quale personaggio del passato ammiri di più? Nella storia della letteratura sicuramente Italo Svevo che secondo me è lo scrittore italiano più importante del Novecento ed è uno dei pochi che ha un respiro europeo e mi ha svelato qualcosa della vita. Che cos’è che dici a un giovane giornalista al suo primo giorno di lavoro nella tua redazione? Gli dico di aver pazienza. Per imparare a fare il giornalista ci vogliono dieci anni. Esattamente come per fare il sarto. Tutti sanno fare un punto, tutti sanno scrivere una notizia o un articolo. Ma per fare questo mestiere, che ha ancora una grossa parte di artigianalità, bisogna dedicarsi tutti i giorni per un lungo periodo. Quindi, di non aspettarsi chissà che cosa. E poi gli faccio notare che questo è un mestiere nel quale, per uscire dall’anonimato, ci vogliono tre elementi fondamentali: talento poco, grande temperamento e un po’ di culo. Che cosa pensi dei personaggi politici di oggi? Penso che siano esattamente come quelli di ieri, forse un po’ più naif ma non sicuramente peggiori. Faccio questo lavoro da oltre quarant’anni, ho sempre seguito la politica e quando sento dire ‘’però un tempo c’era un personale politico di maggior livello” mi viene da sorridere, perché ne abbiamo viste di tutti i colori. Soprattutto abbiamo attraversato una quindicina di anni, gli anni ’70 e la prima parte degli ’80, in cui la politica non era soltanto il chiacchiericcio di oggi ma erano le spranghe e le P38 che hanno provocato 300 vittime. I media con la televisione e le nuove tecnologie hanno assunto un’importanza strategica nell’informazione italiana. Un potere dietro al quale ce ne sono altri. Quant’è credibile il giornalismo italiano? Non ha molta credibilità proprio per questo motivo. Basta andare a leggersi i nomi della gerenza dei quotidiani per rendersi conto che non sono di proprietà di editori che fanno gli editori per fare del business attraverso la carta stampata, ma utilizzano quotidiani, settimanali e case editrici per secondi fini. È molto semplice capirlo perché se l’attività principale di un imprenditore è quella di costruire palazzi non si capisce per quale motivo per leggersi un giornale debba comprare la testata. E infatti anche nelle pagine di economia si riportano questi fatturati meravigliosi fatti dallo stesso editore che è anche costruttore. Sì, questo è il vero motivo. Conformismo e pregiudizi, quanto sono diffusi nel nostro giornalismo? Direi che sono prevalenti. Io stesso non mi tiro fuori. Sono vittima di pregiudizi e poi qualche volta il conformismo mi attira e probabilmente ci casco. Certo è che almeno nel nostro ambiente siamo molto influenzati. Per esempio quando scriviamo un articolo difficilmente pensiamo al lettore ma pensiamo ai colleghi, all’editore, ai politici per i quali simpatizza la nostra testata. Siamo vittime anche, almeno leggermente, della nostra codardia. Che cosa pensi dei Pacs? Credo che non ci sarebbe nulla di male a introdurli. Non ho una mentalità religiosa per cui, non ho motivi etici altissimi per considerarli una iattura. Certo è che penso si possa incominciare a intervenire sui codici civili. Non capisco perché finora non sia stato fatto. Basta prendere esempio da altri Paesi. Poi sto simpatizzando per Zapatero. Mi piace sempre di più, perché è in grado di muoversi con rapidità su vari fronti, non è condizionato, commette anche degli errori, ma insomma non è intimidito. A me queste persone piacciono. Ti capita di fantasticare? Mi capita sempre meno. Un tempo moltissimo, però ancora oggi qualche volta mi abbandono al cosiddetto sogno ad occhi aperti. Il tuo sogno ricorrente? L’ho fatto per anni, adesso lo faccio meno. Volavo benissimo. Anziché nuotare, volavo e mi sorprendevo di riuscire a prendere quota. Allora abitavo a Bergamo e sognavo di fare Bergamo-milano, dove lavoravo al Corriere, anziché in auto in volo. Dovevo stare molto attento quando percorrevo un tratto fra due ali di case perché pensavo al rischio di sbattere poiché andavo velocissimo. Sostengo che i “Caino boys and girls” debbano difendersi dagli “Abele boys”, vale a dire i buonisti e gli ipocriti. Nella mia tabella ti ho inserito tra i “Caino boys”. Che cosa pensi del buonismo? A me Abele è sempre stato antipatico. Non ho mai pensato che Caino abbia fatto bene ad ammazzarlo, però due sganassoni gli andavano giusto bene. Però ce n’è molto di buonismo e di ipocrisia nel nostro Paese… Sì. Poi il buonismo è esibito e questo rende tutto più fastidioso. Io non credo che sia una brutta cosa cedere anche al buonismo di maniera, ma farlo almeno con pudore. Qualche nome di Caino e Abele boys and girls secondo te? Vedo un simpaticissimo Caino in D’alema, che è antipatico a tutti. E vedo un Abele insopportabile in Veltroni, che è simpatico a quasi tutti. .  
   
 

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