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Notiziario Marketpress di Lunedì 18 Febbraio 2013
 
   
  SOPRAVVIVENZA DIMEZZATA PER GLI OBESI CON INSUFFICIENZA RENALE MA AUMENTA NEI MALATI NEFROLOGICI CHE FANNO SPORT

 
   
  Milano 18 febbraio 2013 - Il rischio di morte cardiovascolare aumenta del 42% per i malati ai reni portatori di un particolare gene correlato all’obesità. Ogni 10 minuti di attività fisica si riduce il rischio di mortalità del 12% nei soggetti dializzati. Milano, 15 febbraio 2013 - I pazienti portatori del gene di rischio Fat-mass and Obesity-associated (Fto) hanno una probabilità di morte più elevata del 42% rispetto a quelli che ne sono privi: ecco il risultato di uno studio pubblicato sul Nephrology Dialysis Transplantation nel dicembre del 2012, diretto dal professor Carmine Zoccali, direttore dell´U.o. Di Nefrologia, Dialisi e Trapianto e Centro dell´Ipertensione arteriosa di Reggio Calabria cui ha partecipato la dottoressa Belinda Spoto, Cnr di Reggio Calabria. “Il Fat-mass and Obesity-associated gene (Fto) – spiega il professor Giovambattista Capasso, Presidente Sin e Professore Ordinario di Nefrologia, Direttore del Dottorato di Scienze Nefrologiche e della Scuola di specializzazione in Nefrologia della Seconda Università di Napoli – è un gene che negli ultimi anni ha ricevuto grande attenzione in ambito scientifico perché direttamente correlato con l’obesità. Questo gene, infatti, è altamente polimorfico ed alcune delle sue varianti predispongono ad un aumento della massa corporea come dimostrato in un recente studio americano in cui alcune varianti di questo gene sono state associate a tre importanti caratteri antropometrici, ovvero l´indice di massa corporea, il rapporto vita/fianchi e la circonferenza vita. Lo studio del professor Zoccali e della sua equipe, ha il merito di aver dimostrato che i pazienti portatori di questo gene hanno una probabilità di morte più elevata del 42% rispetto a quelli che ne sono privi accreditando l’ipotesi che questo polimorfismo ha effetti avversi sulla sopravvivenza dei pazienti affetti da malattia renale. Questo dato è il risultato di una osservazione consistente perché trovata in tre popolazioni indipendenti di pazienti con malattia renale cronica o in dialisi. In tutte queste popolazioni essa è risultata fortemente significativa”. Altre varianti del gene Fto sono state associate al diabete mellito ed all’ipertensione arteriosa che sono noti fattori di rischio di malattia renale e di complicanze cardiovascolari. Una variante di questo gene, inoltre, contribuisce a spiegare il rischio di morte nei pazienti con malattia renale cronica e nei pazienti in dialisi. Studi su obesità e rene, risultati conflittuali - La relazione fra obesità e mortalità nella malattia renale è una questione complessa e gli studi sull’argomento mostrano risultati conflittuali. La scoperta che un gene che predispone all’obesità può portare ad un maggiore rischio di morte nei pazienti con insufficienza renale cronica spinge a credere che un aumento nella massa corporea si associa ad una minore sopravvivenza in questa popolazione al pari di quanto osservato nella popolazione generale. Tuttavia, nei pazienti con malattia renale, il gene Fto si associa alla mortalità in maniera indipendente dall’obesità e dal diabete suggerendo che la relazione gene Fto-morte è mediata da meccanismi diversi da quelli coinvolti nella regolazione del bilancio energetico o del metabolismo glucidico. Questo risultato sembra indicare che l’insufficienza renale cronica è una condizione che può modificare profondamente il legame fra il gene Fto e l’obesità e stimola allo sviluppo di ulteriori studi finalizzati a identificare i meccanismi attraverso i quali una variazione nel Dna di questo gene impatta sulla mortalità nei pazienti con malattia renale. L’attività fisica riduce la mortalità dei pazienti in dialisi - Uno studio uscito sul numero di dicembre 2012 della prestigiosa rivista Cjasn, Clinical Journal of the American Society of Nephrology, dimostra che una attività fisica continua e costante riduce significativamente la mortalità di pazienti sottoposti a dialisi. Lo studio è stato condotto su 202 pazienti emodializzati seguiti per sette anni. L’entità dell’attività fisica è stata misurata mediante un accelerometro. “Lo studio dimostra che i soggetti dializzati che hanno praticato attività fisica moderata per almeno 50 minuti tre volte alla settimana hanno una significativa riduzione del rischio di morte” – spiega il professor Giancarlo Marinangeli, Segretario Sin, Unità Operativa Complessa di Nefrologia e Dialisi Ospedale Maria Santissima dello Splendore di Giulianova (Te) - Lo studio predice che ogni aumento di dieci minuti dell’attività fisica riduce del 12% il rischio di mortalità. Partendo da questo studio la Sin propone di fare un grande trial su soggetti non solo con insufficienza renale in trattamento dialitico, ma anche nella fase avanzata dell’insufficienza renale e nei soggetti portatori di trapianto del rene”. Si tratta di definire con grande rigore il tipo e l’entità dell’attività fisica e cercare di stabilire con metodologia scientifica i vantaggi ed eventualmente i limiti dell’attività fisica. Gli specialisti suggeriscono ai malati di svolgere attività fisica, anche se rimane da stabilire, su un adeguato numero di soggetti, quando ed in che range l’attività fisica può essere considerata un vero e proprio “farmaco” per i pazienti nefropatici.  
   
 

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