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Notiziario Marketpress di Mercoledì 20 Febbraio 2013
 
   
  «PAGLIACCI», UNA STORIA DA SET CINEMATOGRAFICO

 
   
   Busto Arsizio (Varese), 20 febbraio 2013- L’«illusione del cinema» incontra l’opera lirica «Pagliacci»: ecco quanto accadrà giovedì 21 febbraio, alle ore 21, sul palco del teatro Sociale di Busto Arsizio. Sarà, infatti, una lettura innovativa della celebre dramma di Ruggero Leoncavallo, uno dei manifesti del verismo, quella che il Teatro dell’Opera di Milano proporrà nell’ambito della stagione cittadina «Ba Teatro» e in apertura della rassegna «Ma che musica, maestro», promossa dall’associazione culturale «Educarte», in collaborazione con lo stesso Teatro dell’Opera di Milano e con il patrocinio della Fondazione comunitaria del Varesotto onlus. Sul palco, accanto ai cantanti e ai coristi dell’associazione lirica lombarda, salirà anche l’Orchestra filarmonica di Milano, diretta dalla bacchetta di Damiano Cerutti; il maestro collaboratore è Claudia Mariano; l´organizzazione dei musicisti è a cura di Ettore Leccese. Il ruolo di Canio sarà interpretato dal tenore Diego Cavazzin. A vestire i panni di Nedda sarà la soprano Sara Rossi. Il baritono Daniele Di Tommaso darà voce e corpo al contadino Silvio; mentre i ruoli dei commedianti Tonio e Beppe vedranno all’opera Valentino Salvini e Luciano Grassi. Firma la regia Mario Riccardo Migliara, che porterà la vicenda, ispirata a un fatto di cronaca nera realmente accaduto nella Calabria ottocentesca, all’interno di uno studio televisivo, alla mercé delle telecamere, creando uno spettacolo in bilico tra varietà e reality-show, tra realtà e finzione. I costumi sono a cura di Sara Schieppati; trucco e parrucco sono realizzati da Art on Stage. Da Una Storia Vera Al Palcoscenico «Opera possente, di una rara intensità espressiva, degna di occupare un posto d’onore tra i grandi capolavori dell’arte lirica». Così il direttore e compositore franco-polacco René Leibowitz, primo storico della dodecafonia, descrisse «Pagliacci», dramma in un prologo e due atti del quale Ruggero Leoncavallo compose libretto e spartito, in soli cinque mesi, sulla scia del successo di «Cavalleria rusticana» di Pietro Mascagni, opera del maggio 1890 che segnò il debutto del genere verista, con i suoi soggetti desunti dalla quotidianità e i suoi personaggi di estrazione umile, nel teatro musicale italiano. «Pagliacci», che deve la propria ampia popolarità anche alla prima incisione discografica, quella del 1904 con l’indimenticabile tenore Enrico Caruso, trae spunto da un fatto d’amore e di sangue realmente avvenuto a Montalto Uffugo, in Calabria, nel 1865 (gli atti del relativo processo penale sono conservati presso l’Archivio di Stato di Cosenza). Si tratta, per la precisione, di un delitto di gelosia, accaduto tra la folla, che il padre del compositore, l’avvocato Vincenzo Leoncavallo, seguì, in una prima fase, come giudice. Lo stesso autore ricordò in una sua inedita autobiografia, recentemente riportata alla luce dal giornalista Mauro Lubrani e dal musicologo Giuseppe Tavanti, l’avvenimento all’origine di questa sua celebre opera, rappresentata per la prima volta, con successo di pubblico (la stampa, soprattutto il «Corriere della Sera», ne rimase, invece, poco entusiasta), il 21 maggio 1892 al teatro Dal Verme di Milano, sotto la direzione di un giovane Arturo Toscanini e con il baritono Victor Maurel. «Il giorno della festa [...] facevano bella mostra di sé […] dei carri di saltimbanchi. Questi -ebbe a scrivere Ruggero Leoncavallo- tenevano le loro rappresentazioni all’aperto alle 23 ore, cioè dopo il tramonto [...]. Accorrevano così a centinaia gli spettatori, fra i quali eravamo assidui io e mio fratello. Lo spettacolo ci divertiva un mondo, naturalmente, ed allo stesso Gaetano [un servitore di famiglia, nell’opera il contadino Silvio, ndr] non pareva vero di condurvici, perché si era innamorato, e non senza fortuna, di una bella donnetta della truppa di saltimbanchi. Ma il marito, il pagliaccio della compagnia, aveva concepito dei sospetti […]; finché la sera della festa di mezz’agosto, durante una delle solite rappresentazioni a base di Arlecchino e Colombina, mentre la moglie era in scena, andò a frugare nei suoi vestiti e vi trovò un bigliettino […]. Il pagliaccio […] non seppe frenarsi e, appena calata la tela, piombò sulla moglie con un coltellaccio e le tagliò quasi netto la gola, senza che l’infelice avesse il tempo di emettere un sol grido. [...] Si accostò, poi, a Gaetano con un riso gelido che non dimenticherò mai […] Gaetano stramazzò al suolo colpito dal medesimo coltellaccio di cui poco prima era caduta vittima la sua amante». Il Verismo Si Fa Musica Mario Morini, il più celebre studioso di Ruggero Leoncavallo e dei suoi tempi, ricorda, però, che il libretto dei «Pagliacci» trova le proprie radici anche ne «La femme de Tabarin» di Catulle Mendès e in «Un drama nuevo» di Maurel Tamayo Baus. Lo studioso precisa, inoltre, che la storia del tragico clown, con il cuore a pezzi e il sorriso sulle labbra, era una narrazione entrata nell’immaginario collettivo e che la vera innovazione del compositore napoletano fu quella di portare questo tòpos sulla scena lirica e di illustrarlo con vigore truculento, facendo respirare un’aria di esistenza reale, vissuta. Nel prologo del dramma, quasi un manifesto programmatico del teatro musicale verista, uno dei suoi personaggi, Tonio, annuncia, infatti, che «l’autore ha cercato di pingervi uno squarcio di vita» e per questo «al vero ispiravasi» e «con vere lagrime scrisse» questa storia con «uomini in carne ed ossa», nella quale «vedrete amar sì come s´amano gli esseri umani; vedrete de l´odio i tristi frutti. Del dolor gli spasimi, urli di rabbia, udrete, e risa ciniche». L’opera, la cui dimensione meta-teatrale del secondo atto e il cui scambio «tra finzione e verità» anticipano esiti pirandelliani, «si contraddistingue -scrive la musicologa Maria Giovanna Miggiani- per la vocalità accesa e convulsa, con rapide escursioni verso l’acuto per rendere l’andamento di un discorso agitato, di sentimenti scoperti e privi di controllo. La scaltrita scrittura di Leoncavallo si avvale di elementi di modernità, come la continuità orchestra-palcoscenico di matrice wagneriana, ma recupera anche l’uso dei pezzi chiusi come romanze e duetti d’amore, dalle melodie cantabili di forte suggestione (con il conio di frasi memorabili come «Un nido di memorie», «E voi, piuttosto», «Ridi pagliaccio»)». Tuttavia, quest’opera rimane, per usare la felice espressione del musicologo Michele Girardi, «uno degli ultimi souvenir del museo del melodramma italiano ottocentesco», con i suoi prestiti melodici colti, in particolare da Mendelssohn, e con le sue citazioni dalla «Carmen» di Bizet (1875), dall’«Otello» (1887) di Verdi, storie entrambe incentrate sul tema della gelosia e della morte per amore. L’allestimento: Un’opera Sul Set L’allestimento del Teatro dell’Opera di Milano, firmato dal regista Mario Riccardo Migliara e sottotitolato «L’illusione del cinema», porta, come già ricordato, la vicenda all’interno di uno studio televisivo, alla mercé delle telecamere. La struttura della scenografia mette in evidenza tre luoghi deputati: il set, dove avvengono tutte le situazioni legate alla venuta della compagnia di pagliacci, i gradoni di un anfiteatro, sul quale il pubblico commenta e si muove secondo le istanze di un coro greco, e il retropalco, con la sedia del regista e dei suoi assistenti. Tutto viene reso performance, in un equilibrio in bilico tra varietà e reality-show, tra realtà e finzione. L’opera di Ruggero Leoncavallo, alla quale il regista milanese ha recentemente dedicato anche un libro scritto a quattro mani con la giornalista Giovanna Ferrante, diventa così il racconto in diretta di una vita, spiata dal sempre più inclemente occhio delle telecamere. Il dramma privato si fa happening live e a fine rappresentazione il pubblico sembra invitato a ricercare la verità di questo vecchio giallo della gelosia fuori dalla sala teatrale. «Ma Che Musica, Maestro», Gli Altri Appuntamenti In Cartellone La nuova stagione musicale del teatro Sociale di Busto Arsizio, intitolata «Ma che musica, maestro», prevede, nei prossimi mesi, altri due appuntamenti. Giovedì 18 aprile 2013, ore 21, sarà la volta di «Turandot», la storia dell’algida e sanguinaria principessa orientale, «bianca al pari della giada, fredda come quella spada», con la quale Giacomo Puccini salutò, per sempre, il mondo del melodramma. L’allestimento, intitolato «I colori delle favole», sarà messo in scena dal Teatro dell’Opera di Milano e si avvarrà della collaborazione dell’Istituto italiano del colore per rileggere il noto capolavoro del compositore lucchese, del quale rimane punta sublime la conosciuta romanza «Nessun dorma», attraverso un suggestivo e scenografico gioco di luci e cromie. Lunedì 6 maggio 2013, ore 21, il palcoscenico di piazza Plebiscito ospiterà, quindi, il concerto «Angelo Pinciroli & Friends», una serata all’insegna delle sette note e dell’amicizia artistica, che segna il ritorno sul palcoscenico di piazza Plebiscito di Angelo Pinciroli, prima tromba e tromba solista nell´orchestra della Fondazione Arena di Verona. Per informazioni 0331.679000.  
   
 

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