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Notiziario Marketpress di
Giovedì 21 Marzo 2013 |
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"L´UMBRIA TRA CRISI E NUOVA GLOBALIZZAZIONE", PRESENTATO "RES" 2012-2013
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Perugia, 21 marzo 2013 - Conclude il ciclo di studi sull´Umbria tra
crisi e nuova globalizzazione il Rapporto Economico e Sociale (Res) 2012-13
che, realizzato dall´Agenzia Umbria Ricerche,
è stato illustrato ieri alla Sala
dei Notari di Perugia. "Il Rapporto - ha detto Claudio Carnieri,
Presidente di Aur introducendo i lavori, vuole essere un contributo a leggere
l´Umbria in una delle fasi più difficili conosciute dal dopoguerra e per vedere
le radici profonde del disagio sociale che si avverte anche in questa regione.
Gli andamenti della crisi (2008-2012) sono stati in Umbria particolarmente duri
e oggi - ha aggiunto Carnieri - è chiara
quella peculiarità regionale che sembra metter in crisi la ´medianità´ della regione
e la differenzia dalle dinamiche territoriali del Centro e di regioni
come Marche e Toscana a cui storicamente
hanno guardato le classi dirigenti
umbre. La crisi - ha concluso - ha fatto riemergere le più antiche gracilità
dell´Umbria, che premono per nuovi interventi di politica economica".
Secondo Elisabetta Tondini
dell´Aur le ripercussioni della recente recessione stanno modificando equilibri
e ruoli tra le grandezze macroeconomiche del sistema umbro. Gli anni della recessione - ha evidenziato -
ci consegnano un´Umbria che perde mediamente l´1,7% di Pil reale all´anno;
nello stesso periodo sono segnate da sorti peggiori soltanto Molise, Campania,
Sicilia, Calabria, Basilicata. Ma il colpo più duro all´economia regionale è
stato il forte calo della domanda proveniente dalle famiglie. Dal 2008 al 2011 la spesa reale per consumi finali delle
famiglie ha registrato una contrazione media annua di -1,4%. L´anno più critico
è stato il 2011, quando la spesa per domanda finale privata in Umbria è
continuata a calare in un contesto di lieve ripresa generalizzata". Sul
fronte produttivo, il segno più evidente è stato per Tondini il crollo
dell´industria. "Nonostante la tenuta di molti settori, la regione perde
ulteriormente in competitività e retrocede in termini di produttività del
lavoro. Dal 2008 le unità di lavoro standard decrescono per quattro anni
consecutivi, tanto che bisogna risalire al 2003 per ritrovare un ammontare di
unità lavorative inferiore alle 370.900 del 2011. Continua a scendere il Pil
pro capite, ormai da quasi un trentennio inferiore alla media nazionale.
Per Mauro Casavecchia di Aur "l´industria
manifatturiera resta ancora il principale motore autonomo dell´economia
regionale, anche se mostra minore forza trainante rispetto alle regioni
limitrofe".
"Il contributo
dell´industria all´economia regionale è progressivamente calato negli ultimi
trenta anni, sia dal punto di vista dell´occupazione che da quello del valore
aggiunto. L´arrivo della crisi ha poi sospinto l´Umbria sotto la media
nazionale. Oggi - afferma Casavecchia - la quota umbra sul valore aggiunto
complessivo dell´industria nazionale pesa per l´1,26% (era l´1,87% nel 1980).
Nel lungo periodo in Umbria il processo
di frammentazione delle unità produttive è stato più intenso di quello medio
nazionale e si è approfondito il solco tra le due province, con Perugia che
conserva la propria vocazione manifatturiera al contrario di Terni, dove non
accenna ad arrestarsi il processo di deindustrializzazione. I settori che in
Umbria apportano le maggiori quote di valore aggiunto sono la metallurgia
(16,2% del totale), l´alimentare (15,9%), i macchinari ed apparecchi (15,1%), i
minerali non metalliferi, gomma e plastica (14%), la moda (11,8%). A livello
generale - secondo Casavecchia - permangono nel
sistema manifatturiero le fragilità legate alle dimensioni medie delle
unità produttive, inferiori a quelle delle altre regioni industrializzate, e
alla produttività del lavoro dell´industria nel complesso, scesa sotto la media
nazionale dalla metà degli anni Novanta, e che continua a perdere terreno. Alla
fine del 2011, rispetto a quattro anni prima, il sistema manifatturiero ha
perso complessivamente il 6,9% degli addetti
e il 4,2% delle unità locali".
Nel decennio 2000-2010 l´Umbria
ha perso competitività nell´industria manifatturiera, non è riuscita a far
decollare un terziario avanzato per le imprese e si è andata posizionando sui
servizi commerciali e turistici. Secondo Luca Ferrucci dell´Università degli
studi di Perugia si tratta di una dinamica strutturale che può essere invertita
grazie ad una policy regionale che rafforzi la presenza di nuove imprese nel
campo dei servizi avanzati per l´industria. Il
modello di terziarizzazione dell´economia umbra presenta alcuni pregi,
soprattutto se si riesce a potenziare la capacità attrattiva del sistema
turistico, ma - sostiene - la competitività regionale mostra evidenti
vulnerabilità, come la limitatezza di servizi avanzati per l´industria
manifatturiera divenuti fondamentali per alimentare e rafforzarne la
competitività innovativa e internazionale. Senza questo tipo di
terziarizzazione - ha aggiunto - si rischia di indebolire ulteriormente il
tessuto industriale regionale, rafforzando una dinamica regressiva rispetto
alla parte più virtuosa del Paese che ha basato
lo sviluppo su un modello di valorizzazione delle diverse componenti
materiali e immateriali del Made in Italy, unendo industria, servizi avanzati e
turismo.
Davide Castellani e Fabrizio Pompei dell´Università di Perugia hanno
preso in esame il sistema delle medie imprese in Umbria che vede un numero di addetti compresi tra 50 e 499 ed un
giro d´affari che va da 15 a 330 milioni.
I principali punti di debolezza risiedono - per entrambi - in un minor collegamento con le altre imprese
regionali per quanto riguarda le reti di fornitura e sub-fornitura, nella bassa
propensione all´export ed in un conseguente maggiore orientamento verso i
mercati nazionali. Secondo Castellani e Pompei "si dovrebbe quindi
lavorare su due fronti opposti: da un lato migliorare il collegamento con le
reti di fornitura e sub-fornitura regionali, dall´altro aumentare il grado di
penetrazione dei mercati esteri".
"Dopo il forte sviluppo
degli anni Novanta - ha affermato Marco Mutinelli dell´Università di Brescia
- l´afflusso di nuovi investimenti esteri diretti in Umbria è
significativamente rallentato. Ci sono inoltre stati disinvestimenti e
riduzioni anche consistenti di attività da parte delle imprese già partecipate
anche in relazione alla crescente perdita di attrattività del nostro Paese.
L´attuale fase di grande difficoltà è ulteriormente complicata dalla forte incertezza
sul futuro della principale impresa a controllo estero della regione, Ast, per
la quale il nuovo azionista finlandese sta cercando un acquirente dopo la
controversa decisione della Commissione Ue. L´auspicio - ha aggiunto Mulinelli
- è che si concretizzi un deciso
rilancio della presenza estera in Umbria, capace di rafforzare alcune
filiere-chiave (agro-alimentare, green economy, siderurgia e meccanica) e
con possibili ricadute sia verso le altre aziende industriali della regione,
sia verso il mondo dell´università e della ricerca. In caso contrario, il
rischio è quello di un pericoloso e progressivo isolamento dai flussi mondiali
di investimento, con conseguenze assai pesanti sul futuro industriale della
regione".
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