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Notiziario Marketpress di
Lunedì 15 Aprile 2013 |
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IL TELEFONO SALVA LA VITA. MA ANCHE… UN VIDEOGIOCO! SEMPRE PIÙ DIFFUSO L’USO DELLE TECNOLOGIE (TELEFONINI E INTERNET) PER MIGLIORARE L’ADERENZA ALLE TERAPIE ANTI-RIGETTO E AD UNO STILE DI VITA SALUTARE.
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Firenze,
15 aprile 2013. Il trapianto prolunga la vita e la rende migliore, è insomma
quello che si dice ‘una storia di successo’. Tuttavia la sopravvivenza è strettamente
correlata al lavoro che viene fatto dal team trapiantologico, subito
all’indomani del trapianto. Il primo anno dopo il trapianto è cioè fondamentale
per la sopravvivenza a lungo termine e per il successo stesso del trapianto. E
la parola chiave per il successo è ‘aderenza’: alle terapie immunosoppressive
innanzitutto, che proteggono dal rigetto del trapianto e ad uno stile di vita
adeguato. “Questi pazienti –
ricorda Fabienne Dobbels, Psicologa
presso il Centre for Health Services and Nursing Research dell’Università
Cattolica di Lovanio (Belgio) e membro del gruppo di ricerca internazionale
Leuven-basel Adherence Research Group – dal momento del trapianto, sono
obbligati a prendere una complessa terapia a base di farmaci anti-rigetto a
vita e a seguire uno stile di vita salutare. Che è poi quello che tutti
dovremmo fare: seguire una dieta sana, fare esercizio fisico, non fumare,
assumere alcol con moderazione o addirittura evitarlo”. Non è facile però
seguire alla lettera tutte queste prescrizioni e alcuni pazienti hanno dei
momenti di scoraggiamento e di stanchezza, che li portano ad abbandonare
farmaci e buon senso. L’identikit del paziente a rischio di non aderenza è
complesso, multidimensionale e particolare al tempo stesso. Possono entrare in ballo
fattori di tipo culturale, socio-economico o altri che riguardano la famiglia,
il team trapiantologico, la città o il Paese nel quale vive il paziente.
E
naturalmente l’adolescenza è un importante fattore di rischio di non aderenza.
“Bisogna anche considerare – prosegue la dottoressa Dobbels - che i pazienti
vedono il team trapiantologico per un’ora alla settimana o al mese, mentre il
vero sforzo è quello che viene richiesto loro, nel seguire le prescrizioni 24
ore al giorno, 7 giorni la settimana. Completamente in balia della loro buona
volontà, senza la presenza di medici, infermieri o psicologi. In più, come
tutti sanno, c’è carenza di staff e sovraffollamento negli ospedali; è dunque
sempre troppo poco il tempo che si può dedicare a questi pazienti. Tutto viene
affidato all’autogestione – prosegue la Dobbles – e questa può essere insegnata
e implementata nella pratica quotidiana. In questo possono essere di grande
aiuto le health technologies”. Per e-health, si intendono le Ict (tecnologie
per l’informazione e la comunicazione) applicate alla salute. Si va dalla
telemedicina, alla tele-care (cioè al monitoraggio di una persona anziana che
vive da sola in casa), alla tele-health, definita come uno scambio interattivo
di informazioni tra un paziente e un medico a distanza. “Quest’ultima – spiega
la Dobbels – non solo viene usata per monitorare a distanza e scambiare
informazioni ma anche per fornire feedback, sostenere psicologicamente i
pazienti e supportare i loro comportamenti salutari. “Ci sono diverse opzioni
strumentali: dagli Sms (tutti abbiamo ormai un telefono cellulare) a Internet.
E’ possibile ad esempio mandare un Sms per ricordare al paziente (si fa
soprattutto con i giovani trapiantati) che è ora di prendere le medicine; il
paziente è tenuto a rispondere con un Sms in codice e se non risponde al
messaggio, viene mandato un altro Sms; se non risponde neppure a questo, un
membro del team trapiantologico o il medico stesso cercherà di contattarlo al
telefono. Con gli Sms si possono ricordare ai pazienti i loro appuntamenti, o
anche mandare messaggi ‘motivazionali’ tipo: ‘è meglio che non fumi’, ‘c’è il
sole fuori, perché non esci a fare una passeggiata’, ecc. Ci sono anche programmi su Internet che non servono tanto
ad educare il paziente, quanto a sfruttare la componente di interattività, come
forum, chat rooms, videogame per teenager, gruppi di discussione; altri
programmi infine consentono di avere accesso al proprio medico per ricevere un
consiglio personalizzato”. “Al Mit di Boston – ricorda Sabina de Geest, docente
di Scienze Infermieristiche presso l’Università di Basilea (Svizzera) e presso
l’Università Cattolica di Lovanio – hanno sviluppato una comunità virtuale,
alla quale prendono parte, attraverso un avatar, i pazienti trapiantati in età
pediatrica. Nelle diverse ‘stanze’ della community, i giovani pazienti possono
farsi delle chiacchierate, scrivere delle loro esperienze, raccontare come
vivono l’esperienza del trapianto. In questa fascia d’età inoltre viene dato
sempre più spazio ai videogames, per sviluppare alcuni specifici tipi di
competenze e di conoscenze, che possono essere relative al lavoro in team o
alle soluzioni di situazioni conflittuali. In un videogame, prima di superare
un livello per passare al successivo, devi raggiungere determinati obiettivi;
nel caso dei piccoli pazienti trapiantati la ‘prova’ da superare può essere una
domanda del tipo: ‘cosa devi fare se dimentichi di prendere le tue medicine?’ E
solo azzeccando la risposta corretta, possono accedere al livello successivo”.
“Nell’adolescenza e nelle patologie croniche – ricorda la dottoressa Dobbels –
ci sono tre aspetti da prendere in considerazione: 1) l’adolescente vive in
diversi contesti: come individuo, in famiglia, nella comunità, all’interno di
un contesto sanitario; 2) l’uso delle tecnologie è un elemento che merita
assolutamente di essere integrato nell’approccio di cura che si intende
utilizzare; 3) è assolutamente necessario prendere in considerazione il peer
group, cioè il gruppo dei suoi pari, i suoi amici e coetanei”. “L’adolescenza è
una fase peculiare della vita – prosegue la de Geest – necessaria per diventare
un individuo, attraverso un processo di individuazione e separazione. Ma se hai
una malattia cronica e hai avuto un trapianto, ti ritrovi un carico di
responsabilità e cose da fare sulle spalle, in un momento in cui i ragazzi
hanno solo voglia di fare esperienze nuove e sfidare la vita, infischiandosene
di rischi e pericoli. Naturalmente tutto questo passa anche attraverso una
sfida a tutto ciò che rappresenti l’autorità, dai genitori, agli insegnanti, ai
medici e alle infermiere. Se si vuole avere successo con questi pazienti,
bisogna avere ben chiari tutti questi aspetti e raggiungerli col loro
linguaggio, che passa attraverso la tecnologia (telefonini e internet) e il
gruppo dei loro pari”. “I teenager – conclude la Dobbles -sono di certo la
popolazione più ‘telefonabile’ sulla faccia della terra. Ma in realtà tutte le
persone a rischio di scarsa aderenza alle terapie o agli stili di vita, come
appunto i trapiantati, a qualunque età possono trarre enormi benefici da
programmi che sfruttino la comunicazione attraverso il telefono”.
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