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Notiziario Marketpress di
Lunedì 15 Aprile 2013 |
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FIBROMIALGIA: AFFLIGGE 290.000 LOMBARDI.
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Milano, 15 Aprile 2013 – Approfondire le cause della fibromialgia, non
solo tra medici e paramedici, ma soprattutto con gli stessi pazienti che ne
sono affetti. Questo il focus dell’Xi Congresso Nazionale dell’Associazione
Italiana Sindrome Fibromialgica Onlus, che si è svolta sabato 13 Aprile, presso
l’Azienda Ospedaliera Polo Universitario “L. Sacco” di Milano. L’aisf Onlus,
nata oltre 10 anni fa allo scopo di destare maggiore attenzione intorno alla
fibromialgia, patologia a lungo sottodiagnosticata e sottotrattata, anche
quest’anno chiama a raccolta pazienti, comuni cittadini, clinici,
fisioterapisti, psicologi, medici del lavoro e politici per trattare un nuovo
specifico aspetto della patologia.
Solo in Lombardia, la fibromialgia colpisce oltre 290.000 persone – in
linea con la media nazionale che vede una prevalenza del 3% della popolazione –
ed è una malattia prevalentemente femminile, con un rapporto di 1 a 9 tra
uomini e donne, nelle quali l’esordio tende a verificarsi in età
pre-menopausale. Si manifesta come un vero e proprio “assemblaggio di dolori”,
non solo a livello muscolare, ma in tutto quello che “si muove” all’interno
dell’organismo, causando ad esempio sofferenza nel tratto gastrointestinale,
cefalee emicraniche o muscolo-tensive. A questo si sommano stanchezza cronica,
disturbi del sonno e di carattere neuro-cognitivo, a volte problemi degli occhi
che diventano meno fluenti. Spesso la patologia ha un ritardo diagnostico che
può aggirarsi anche in anni; i pazienti consultano diversi medici senza
arrivare a una soluzione, venendo perfino etichettati come malati immaginari.
“Cercheremo di fornire risposte alla domanda fondamentale che si pone
chi soffre di questa malattia ‘perché si diventa fibromialgici?’. Da qui il
titolo stesso del Congresso”, dichiara il dottor Piercarlo Sarzi Puttini,
Presidente Aisf Onlus e Direttore Unità Operativa di Reumatologia A.o. Luigi
Sacco. “La patologia è caratterizzata da una ridotta soglia di sopportazione
del dolore dovuta ad alterazioni a livello di sistema nervoso centrale, che
portano il paziente a sentire dolore anche per stimoli che di solito non
dovrebbero provocarlo. A partire da una predisposizione genetica, molteplici
sono le cause che possono innescare questa condizione: eventi stressanti,
traumi fisici o psichici, depressione, disturbi di personalità o malattie
infiammatorie croniche. Passeremo quindi in rassegna tutti questi aspetti e li
analizzeremo, per contribuire a una migliore conoscenza della sindrome
fibromialgica da parte di chi ne soffre e da parte di chi la deve curare”.
Ancora oggi, in effetti, si evidenzia un forte bisogno informativo
verso questa condizione, non ancora
riconosciuta quale malattia vera e propria, con le difficoltà che ne
conseguono a livello diagnostico-terapeutico. “Sul fronte dei trattamenti
farmacologici, ad esempio, mentre negli Stati Uniti ci sono tre farmaci che
hanno l’indicazione per la fibromialgia
– sottolinea Sarzi Puttini –, in Europa usiamo questi stessi farmaci,
che hanno però indicazione per il dolore cronico diffuso, o sono classificati
come antidepressivi o anticonvulsivanti i quali, con altri meccanismi d’azione,
agiscono sui neurotrasmettitori del dolore innalzandone la soglia. A questo
proposito, di fondamentale importanza è il dialogo che il clinico instaura col
proprio assistito, cui deve spiegare che la prescrizione dell’antidepressivo
avviene non tanto perché lui abbia la depressione, condizione che comunque a
volte si accompagna alla sindrome fibromialgica, ma perché si vuole agire in
senso antidolorifico”.
La comunicazione medico-paziente nell’ambito di un’efficace gestione
della patologia fibromialgica assume quindi un ruolo essenziale. In particolare
nel momento della diagnosi occorre, da parte di chi cura, un intenso sforzo di
ascolto del racconto del malato, dei segni e dei sintomi che riferisce, perché
solo così si può effettivamente individuare la malattia, altrimenti non
rintracciabile secondo parametri organici, marcatori, lastre, esami di
laboratorio. Una diagnosi sbagliata, che spesso attribuisce un’etichetta
infiammatoria al problema, porta poi il paziente a sottoporsi a trattamenti
inadatti. “In Lombardia, grazie anche all’attività di Aisf Onlus, la
fibromialgia viene diagnosticata sempre di più - aggiunge Sarzi Puttini -,
anche dalla medicina del territorio. E per rafforzare l’alleanza di cura con i
pazienti, l’Associazione ha realizzato un manuale rivolto a loro, affinché
possano documentarsi sulla malattia. Noi medici abbiamo infatti una funzione di
‘coach’, dobbiamo supportare il malato nel gestire il proprio percorso terapeutico”.
Questo percorso, oltre al trattamento farmacologico, deve prevedere la
fisioterapia, che aiuta ad innalzare la soglia del dolore, per lo meno per la
parte muscolo-scheletrica, e la terapia psicologica, che permette al paziente
di comprendere meglio le sue problematiche e se ci sono meccanismi di
comportamento che possono essere modificati per migliorare lo stato di salute.
Sono molte quindi le figure professionali coinvolte nella cura della
fibromialgia; solo con questo approccio multidisciplinare è possibile gestirne
la complessità.
La sindrome fibromialgica è, inoltre, una malattia dal pesante impatto
economico: una quota di pazienti viene ricoverata in ospedale, una quota è
gestita in ambulatorio, generando numerose visite e trattamenti terapeutici durante
tutto l’arco dell’anno. “Recenti studi hanno rilevato come il paziente
fibromialgico perde molte giornate di lavoro e alcuni possono arrivare anche a
perdere il posto. Situazioni di questo tipo andrebbero evitate, perché
l’occupazione per il paziente è un’importante fonte di distrazione dai sintomi
e di mantenimento di collegamento con la vita sociale, che altrimenti
rischierebbe di perdersi o di limitarsi all’ambiente familiare”, conclude Sarzi
Puttini.
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