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Notiziario Marketpress di
Lunedì 15 Aprile 2013 |
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SPENDING REVIEW: SICUREZZA E QUALITA’ DEI TRAPIANTI A RISCHIO?
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Firenze,
15 aprile 2013 - Rischio paralisi per il sistema trapianti. La crisi in epoca
di spending review, come tutte le crisi, ha due facce della medaglia, una
negativa e una positiva. “L’aspetto
negativo – afferma il professor Tommaso Bellandi, responsabile della qualità e
sicurezza dell’Organizzazione Toscana Trapianti – è quello legato al fatto che,
riducendosi le risorse a disposizione del Ssn, può diventare più difficile
anche arrivare alla donazione stessa. Nel momento in cui vengono approntati dei
tagli che comportano anche notevoli difficoltà nel sistema
dell’emergenza-urgenza, è chiaro che questo si ripercuote nel settore dei
trapianti, con il rischio di non poter disporre della donazione, neppure da
parte di quei pazienti che avevano dichiarato in vita la propria intenzione a
donare”. Per poter disporre di un
organo, è necessario che funzioni tutto un complesso sistema che va dal
ricovero in rianimazione di un paziente con lesioni cerebrali acute e che la
terapia intensiva sia in grado di segnalarlo come potenziale donatore, nel
momento in cui non sia possibile fare più nulla per salvarlo. Da questo momento
in poi, dovrebbero essere disponibili tutti i servizi di diagnostica, per fare
gli approfondimenti in merito al rischio infettivologico e neoplastico, per
attestare l’idoneità del donatore. Poi il potenziale donatore, se dichiarato
idoneo viene portato in sala operatoria per il prelievo, dove giunge una o più
équipe di prelevatori che può arrivare anche da un altro ospedale e addirittura
da un’altra Regione e questo naturalmente può comportare dei costi molto
elevati. Fatto il prelievo gli organi vanno portati ai centri trapianto e qui
va fatta un’ulteriore valutazione. Nel frattempo il centro trapianti deve
chiamare il ricevente in lista d’attesa. Tutto ciò naturalmente richiede
un’organizzazione estremamente tempestiva, preparata ed efficace a gestire
tutte le fasi che vanno dalla donazione, al trapianto, al follow up del
trapiantato. E attualmente, non esiste una codifica, cioè un Drg relativo al
costo di una donazione. “Con i tagli che sono già stati operati, in particolare
nelle Regioni sottoposte ai piani di rientro, ma anche nelle altre – denuncia
il professor Bellandi – purtroppo questa operatività in alcuni casi non è più
garantita. Non ci sono ancora numeri ufficiali, ma cominciano ad esserci
diversi casi, in cui non si è arrivati ad una donazione perché la terapia
intensiva non poteva farsi carico di un potenziale donatore, per mancanza di
posti letto o di personale a disposizione per gestirli; o ancora a trapianti
che non sono stati fatti, pur in presenza del donatore, perché non c’era a
disposizione personale per andare a prelevare gli organi e poi trapiantarli. E
qui è il caso di ricordare che anche in questo settore così delicato, abbiamo
ancora tanto personale a contratto, precario, quindi tutto questo comporta
delle notevoli difficoltà”.
Migliorare
l’appropriatezza del sistema per fronteggiare la crisi. Ma la crisi, a ben
vedere, ha anche un aspetto positivo della medaglia. “Questa crisi ci mette di
fronte alla necessità di migliorare l’appropriatezza, garantendo al tempo
stesso la qualità e la sicurezza delle cure e delle cure sostitutive, come è il
caso dei trapianti. Così, partendo da una riflessione comune in molti Paesi
europei, è possibile cogliere questa occasione come un’opportunità per valutare
in modo più stringente sia le strutture dove vengono effettuate le attività di
donazione e trapianto – in particolare la rete delle rianimazioni, i servizi
diagnostica e i centri trapianto – sia come vengono condotti i processi
operativi all’interno di queste strutture”.
Necessario
rivedere i criteri di accreditamento dei vari centri trapianto. Per garantire
la qualità e la sicurezza nei trapianti ci deve essere una rianimazione dotata
di personale competente a gestire in modo efficace la fase dell’individuazione
della morte cerebrale e del mantenimento del potenziale donatore. E’ necessaria
inoltre in quella struttura, la presenza di un coordinamento locale che attivi
la segnalazione della presenza di un potenziale donatore e che proceda a
processare tutti i campioni ematici e istologici necessari per valutare appunto
l’idoneità del donatore. Queste valutazioni devono essere fatte in laboratori
con grandi volumi di attività e personale preparato a fornire delle risposte in
modo tempestivo e corretto. Lo stesso vale il trapianto. “Per quanto attiene ai
centri trapianto – spiega il professor Bellandi – abbiamo indicazioni a livello
nazionale su quelli che devono essere i volumi minimi di attività e quali
debbano essere le verifiche sui dati di outcome (la sopravvivenza del donatore
e degli organi). Ma quello che si potrebbe e si sta iniziando a fare, anche
nell’ambito di questo congresso, è di darsi degli standard ancor più puntuali e
precisi, rispetto sia alle caratteristiche strutturali del personale, alla
preparazione, alle tecnologie e anche sui processi operativi, cioè su come
debbano esser fatte le cose. Ad esempio, avere in un centro trapianti una
checklist del percorso chirurgico, che segua il paziente dal momento
dell’arrivo al centro trapianti, fino alle fasi di rientro dalla terapia
intensiva in reparto e al recupero della sua autonomia funzionale, è un
qualcosa che può aiutare a prevenire una serie di avventi avversi, legati alle
infezioni che il paziente può contrarre, agli errori di terapia, a errori di
tipo chirurgico, come le garze lasciate all’interno del sito chirurgico”.
I
numeri non sono sempre sinonimo di qualità. Ma… Si parla molto dell’importanza
dei volumi di attività ed è indubbio che un maggior numero di prestazioni di
interventi aumenti anche la qualità e la sicurezza degli interventi stessi e
gli esiti del paziente. “E’ difficile però rappresentare quanto i volumi
determino o meno la qualità e la sicurezza – sostiene il professor Bellandi –
perché questo rapporto non è così lineare. Dovremmo fare attenzione più a delle
soglie, sia minime che massime, di volumi. Sono stati pubblicati in proposito
dei lavori molto interessanti. Un recente studio americano ad esempio dimostra
che i volumi di attività sono rilevanti, ma che al di sotto e al di sopra di un
certo numero di interventi, quello che conta è soprattutto la formazione del
personale, l’esperienza degli operatori, la formazione continua, il fatto che
ci sia una supervisione e un sistema di autorizzazione e accreditamento, con
verifiche da parte di soggetti terzi. Anche tutte queste caratteristiche,
insieme ai volumi, contribuiscono a garantire la qualità e la sicurezza. Un
altro elemento importante è anche quello della distribuzione del numero di
intervento tra gli operatori. Perché in un centro ad alto volume, un chirurgo
fa il 90% degli interventi e gli altri si dividono il restante 10%, chi viene
operato dal chirurgo che fa il restante 10%, è come se fosse andato in un
centro a basso volume”.
I
numeri non sono tutto dunque, ma è pur vero che hanno un loro peso. “Quelli del
registro Europeo dei trapianti (Eltr) ad esempio – ricorda il professor Franco
Filipponi, presidente della Sisqt – dimostrano che i centri che superano ogni
anno almeno i 70 interventi l’anno danno maggiori garanzie sul versante della
qualità e la sicurezza. Gli Stati Uniti poi, hanno esplicitato questo concetto,
con una ancora maggior definizione, suddividendo i centri in base al volume dei
trapianti effettuati per anno in tre categorie:
- Alto : 78 – 215 casi all’anno
- Medio: 49 – 77 casi all’anno
- Basso: 5 – 48 casi all’anno
Un’analisi
multivariata, anche in questo caso, dimostra come l’aumento del numero di
procedure eseguite dal centro conferisca un rischio minore di fallimento
dell’organo trapiantato e di morte del ricevente tra la popolazione dei
riceventi di donatori ad alto Dri”.(donor Risk Index – Indice di rischio del
donatore)
Ridurre
il numero dei centri trapianti autorizzati? E’ un argomento scottante. Il
rapporto tra volumi e qualità di processi, sicurezza ed esiti, come visto non è
così lineare. “In epoca di spending review una revisione del sistema andrebbe
fatta, visto che non ci possiamo più permettere gli sprechi e le duplicazioni.
L’importante è che sia fatta mettendo sempre i pazienti al centro, cioè
cercando di garantire una distribuzione dei centri trapianti sul nostro territorio
nazionale, in modo tale da evitare viaggi della speranza, visto che anche
questi stanno diventando difficoltosi, perché alcuni pazienti non hanno più
nemmeno la possibilità di permettersi il viaggio e la permanenza di un
familiare in un’altra città. Bisogna pensare anche a questo, qualora si dovesse
decidere di riorganizzare la rete dei centri trapianti. Tutto dovrebbe essere
fatto nell’ottica di favorire al massimo la collaborazione e semmai anche
l’interscambiabilità del personale tra le strutture, proprio per garantire al
tempo stesso un’adeguata capacità operativa dei centri, sia dal punto di vista
dei volumi, che dell’accreditamento dei processi, che degli strumenti
operativi. E anche un facile accesso ai cittadini-pazienti su tutto il territorio
nazionale.
Definire
dei nuovi standard. Se ne stanno occupando da tempo le società scientifiche,
tra le quali anche la Sisqt. “ Saranno i decisori politici – spiega il
professor Bellandi – a decidere se accreditare le società scientifiche, che poi
potranno essere prese a riferimento per l’emanazione di linee guida, standard,
ecc. Oppure se rispolverare il programma nazionale linee guida dell’Istituto
Superiore di Sanità, come unico contenitore per far convergere le evidenze di
pratica clinica, che diverranno poi riferimento, anche operativo e normativo
per tutti i nostri centri. Il decreto Balduzzi prevede che vengano definite
delle linee guida e che su questo si basi anche la valutazione della sicurezza
dei nostri centri. E’ importante però che ci sia un accreditamento anche di chi
emana queste linee guida e poi anche di chi andrà a valutare i centri. Senza
tutti questi elementi diventa difficile poter superare la modalità attuale di
scelta del centro dove andare a farsi operare, che è soprattutto quella della
‘reputazione’ dei centri. “La Sisqt chiede a gran voce – afferma il professor
Franco Filipponi – un’accelerazione del processo di ridefinizione degli
standard di qualità per i trapianti e di capire chi deve fare che cosa. Ci
proponiamo anche come riferimento per tutto quanto riguardi la sicurezza e la
qualità nei trapianti. Un riferimento forte, competente, per condividere con
tutti gli operatori e le strutture del nostro Ssn una serie di indirizzi
relativi alle caratteristiche strutturali e del personale e alla valutazione
degli esiti, rispetto all’attività di trapianto di organi, tessuti e cellule”.
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