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Notiziario Marketpress di
Lunedì 03 Giugno 2013 |
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GIUSTIZIA EUROPEA: SVEZIA CONDANNATA A PAGARE 3 MILIONI DI EURO PER TARDIVA TRASPOSIZIONE DELLA DIRETTIVA SU CONSERVAZIONE DEI DATI PERSONALI (SENTENZA C-270/11)
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La Svezia è condannata a pagare una somma forfettaria di 3 milioni di euro per tardiva trasposizione della direttiva sulla conservazione dei dati Poiché tale direttiva mira a garantire la disponibilità dei dati relativi alle comunicazioni elettroniche a fini di indagine, accertamento e perseguimento di reati gravi, la sua tardiva trasposizione può produrre conseguenze sugli interessi privati e pubblici in questione
La Svezia è condannata a pagare una somma forfettaria di 3 milioni di euro per tardiva trasposizione della direttiva sulla conservazione dei dati Poiché tale direttiva mira a garantire la disponibilità dei dati relativi alle comunicazioni elettroniche a fini di indagine, accertamento e perseguimento di reati gravi, la sua tardiva trasposizione può produrre conseguenze sugli interessi privati e pubblici in questione La direttiva sulla conservazione dei dati è volta ad armonizzare le disposizioni degli Stati membri relative agli obblighi, per i fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico o di una rete pubblica di comunicazione, relativi alla conservazione di determinati dati da essi generati o trattati, allo scopo di garantirne la disponibilità a fini di indagine, accertamento e perseguimento di reati gravi, quali definiti dal diritto interno di ciascuno Stato membro. Tale direttiva doveva essere trasposta dagli Stati membri entro e non oltre il 15 settembre 2007. Nel 2009 la Commissione ha presentato alla Corte di giustizia un primo ricorso per inadempimento nei confronti della Svezia per mancata trasposizione della direttiva entro il termine impartito. Con una prima sentenza pronunciata nel 2010, la Corte ha dichiarato che la Svezia aveva oltrepassato il termine per l’adozione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva, venendo così meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della medesima. Nel 2011, dopo aver rilevato che la Svezia non aveva ancora eseguito la sentenza del 2010, la Commissione ha proposto il secondo ricorso per inadempimento. Ha chiesto alla Corte di condannare la Svezia a pagare una penalità di Eur 40 947,20, per ogni giorno di ritardo a decorrere dal giorno di pronuncia della sentenza emananda nella presente causa e fino al giorno dell’esecuzione della prima sentenza del 2010, nonché di una somma forfettaria di Eur 9 597,00, per ogni giorno di ritardo per il periodo compreso tra la prima sentenza e la sentenza emananda nella presente causa ovvero, qualora fosse intervenuta prima, l’eventuale adozione dei provvedimenti di esecuzione. Il 21 marzo 2012 il Parlamento svedese ha adottato i provvedimenti di trasposizione della direttiva nell’ordinamento svedese sì da garantire la piena esecuzione della sentenza del 2010. L’entrata in vigore di tali provvedimenti è stata fissata al 1° maggio 2012. Di conseguenza, la Commissione ha rinunciato alla fissazione di una penalità. Essa ha insistito, tuttavia, sulla domanda di pagamento di una somma forfettaria. Nella sentenza odierna, la Corte rileva, anzitutto, che la Svezia non aveva adottato tutti i provvedimenti necessari per garantire l’esecuzione della prima sentenza del 2010 entro il termine di due mesi (ovvero entro il 28 agosto 2010) decorrente dalla ricezione della lettera di diffida inviatale dalla Commissione. La Svezia è quindi venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell’Unione. Di conseguenza, la Corte ritiene che la Svezia debba essere condannata al pagamento di una somma forfettaria. Inoltre, per quanto riguarda il principio dell’imposizione di una somma forfettaria, essa ricorda che tale principio si fonda, sostanzialmente, sulla valutazione delle conseguenze della mancata esecuzione degli obblighi dello Stato membro interessato sugli interessi privati e pubblici, in particolare qualora l’inadempimento sia persistito per un lungo periodo successivamente alla sentenza che l’aveva inizialmente accertato. Orbene, alla luce dell’oggetto della direttiva – che mira a garantire la disponibilità dei dati relativi alle comunicazioni elettroniche a fini di indagine, accertamento e perseguimento di reati gravi – la mancata esecuzione della sentenza del 2010 è tale da poter ledere gli interessi privati e pubblici in rilievo. Peraltro, dal momento che l’inadempimento contestato alla Svezia è perdurato per oltre due anni dalla data della pronuncia della sentenza, esso si è dunque protratto per un periodo significativo successivamente a tale data. Infine, per quanto riguarda il calcolo dell’importo della somma forfettaria, la Corte tiene conto di elementi quali la gravità dell’infrazione e la sua persistenza. Quanto alla gravità dell’infrazione, la Corte rileva che l’inadempimento all’obbligo di trasporre la direttiva rischia di ostacolare il buon funzionamento del mercato interno. Ciononostante, da una relazione della Commissione del 2011 risulta che la direttiva non ha pienamente conseguito il suo obiettivo di creare condizioni di concorrenza omogenee per gli operatori nell’Unione europea. Di conseguenza, la Commissione era tenuta a dimostrare l’asserito pregiudizio alle condizioni di concorrenza nel mercato interno dei servizi di telecomunicazione, cosa che invece non ha fatto. La Corte tiene conto altresì, quale circostanza attenuante, del fatto che la Svezia, in passato, non ha mai mancato di eseguire una sentenza dichiarativa di un inadempimento pronunciata dalla Corte. Per contro, la Corte respinge, da un lato, le giustificazioni invocate dalla Svezia, secondo cui il ritardo nell’esecuzione della sentenza del 2010 sarebbe dovuto a difficoltà interne straordinarie, legate alle particolarità dell’iter legislativo, all’acceso dibattito politico sulla trasposizione della direttiva e ai problemi riscontrati nelle difficili scelte che hanno implicato la ponderazione della tutela della vita privata con la necessità di lottare efficacemente contro la criminalità. Infatti, uno Stato membro non può eccepire difficoltà interne (disposizioni, prassi o situazioni del proprio ordinamento giuridico) per giustificare l’inosservanza degli obblighi risultanti dal diritto dell’Unione. Dall’altro, la Corte respinge l’argomento secondo cui l’inadempimento riguarderebbe unicamente l’omessa parziale attuazione della direttiva. Infatti, la direttiva consentiva agli Stati membri di differire l’applicazione dell’obbligo di conservazione dei dati di comunicazione fino al 15 marzo 2009, ma non la sua trasposizione, che doveva essere effettuata prima del 15 settembre 2007. Per quanto riguarda la persistenza dell’inadempimento, la Corte sottolinea che quest’ultimo è perdurato per quasi 27 mesi dalla data della pronuncia della prima sentenza del 2010, ovvero fino alla data della trasposizione della direttiva (1° maggio 2012), ossia per un periodo di tempo significativo. Alla luce di tali elementi, la Corte condanna la Svezia a versare una somma forfettaria di 3 milioni di euro. (Corte di giustizia dell’Unione europea, Lussemburgo, 30 maggio 2013, Sentenza nella causa C‑270/11, Commissione / Svezia) |
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