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Notiziario Marketpress di
Mercoledì 05 Giugno 2013 |
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LA DOTTRINA OBAMA: NON SI ESCE DALLA CRISI CON L´AUSTERITA´
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Trento, 5 giugno 2013 - Federico
Rampini, inviato de "la Repubblica" negli Usa e in Cina, è
intervenuto al Teatro Sociale di Trento sulla “dottrina Obama”, dopo avere
presentato 24 ore prima, sullo stesso
palco, il recital “Estremo Occidente”.
Obiettivo: spiegare come, attraverso tutta una serie di decisioni, a
partire dal vertice del G20 dell’autunno 2009, il presidente Usa abbia di fatto
delineato una strategia personale su come affrontare la crisi. Il punto di
partenza: l’America ha le sue responsabilità,
ha speso molto più di quanto abbia guadagnato, mentre altri paesi, come
la Cina o la Germania, sono diventati i creditori del mondo. La soluzione:
l’America deve imparare a vivere in maniera più proporzionata alle sue
capacità. Ma quei paesi che sono stati abituati ad accumulare forti attivi
commerciali devono diventare a loro volta le locomotive della crescita
mondiale. Servono poi anche nuove regole per la Globalizzazione, con clausole
per la salvaguardia del lavoro e dell’ambiente. Infine, Obama non ha accettato
la dottrina Merkel dell’austerità, ha capito che andava riattualizzata la
lezione keynesiana degli anni ’30: per uscire dalla depressione ci vuole una
mano pubblica forte.
Il messaggio lanciato da
Obama a Pittsburgh in quell’autunno 2009 è di fatto stato raccolto, almeno
dalla Cina, che ha iniziato effettivamente a consumare di più. La Germania
invece lo ha ignorato: la Germania non sta consumando abbastanza, neanche da paesi
vicini come l’Italia. Per Obama questo atteggiamento significa non assumersi
appieno le proprie responsabilità.
Un altro elemento che è
emerso più di recente, è che per Obama bisogna iniziare a pensare nuove regole
del gioco per la Globalizzazione. Ciò significa introdurre nel sistema globale
elementi di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente. Obama non è
stato l’unico a sostenerlo. Lo ha fatto anche Jacques Delors, ad esempio.
“Obama però sta iniziando a mettere queste cose in pratica”, sostiene Rampini.
Innanzitutto con il trattato di libero scambio fra Stati Uniti e Colombia, che
introduceva alcuni elementi a tutela dei lavoratori (colombiani) e
dell’ambiente. Ora Obama cerca di proporre elementi simili nel trattato di
libero scambio fra Europa e Usa, che sta negoziando con la Ue.
L’idea che rimane
sottotraccia, anche se non viene “gridata”, è che se Stati Uniti e Europa
riescono a negoziare un nuovo sistema di regole che metta assieme libero
scambio e obiettivi sociali, possono poi usare questo strumento per rivedere
gli accordi commerciali con la Cina. In sostanza, questo può significare che la
Globalizzazione non deve essere necessariamente una corsa al ribasso, che
costringe a rivedere diritti che si consideravano, in particolare dagli europei,
acquisiti una volta per sempre. In questo modo, inoltre, è possibile iniziare a
pensare di invertire il flusso della delocalizzazione, che finora è andato in
un’unica direzione: dai paesi dove esistono diritti consolidati per i
lavoratori, per la salute o l´ambiente, a paesi dove ne esistono molto meno.
Rampini a questo punto ha
raccontato la storia della Kodak, un tempo un marchio universale della
fotografia, di fatto monopolista delle pellicole. Attorno al passaggio del
millennio la Kodak commise un errore fatale, non intuì l’avvento del digitale,
ed entrò in crisi. Ma come sta oggi Rochester, la città sede della Kodak? Sta
benissimo. Perché mentre la multinazionale licenziava, tutta una serie di
interventi degli enti locali, dello Stato centrale e così via, ha fatto sì che
chi veniva licenziato dalla Kodak potesse mettersi in proprio, utilizzando le
tante conoscenze accumulate durante gli anni del boom dell’azienda. Insomma,
sono state valorizzate le risorse umane già presenti. Rochester, sul “cadavere”
della Kodak, si è trasformata nella silicon valley dell’ottica avanzata. Sono
fiorite lì centinaia di start up. L’università locale le ha appoggiate, e oggi
il primo datore di lavoro locale è proprio il Politecnico. E’ qui che sono nati
i nuovi schermi cinematografici per i film in 3D, ad esempio. Sono nati i laser
per l’industria biomedica, e così via. Ci sono multinazionali tedesche e
giapponesi che aprono le proprie sedi a Rochester. Ecco dunque una storia di
successo, una storia di reindustrializzazione nata a partire da una grave
crisi. “Perché – si chiede Rampini - non nasce una piccola silicon valley del
design automobilistico a Torino? Perché non è nato un polo dell’informatica
attorno alla Olivetti?”.
Negli Usa la crisi di fatto
è stata sconfitta nel 2009. “La disoccupazione è ancora del 7%, ma è chiaro che
ne sono usciti, perché Obama non ha mai accettato la dottrina Merkel, non ha
accettato il dogma dell’austerithy. Obama ha capito che bisognava investire, in
infrastrutture, in tecnologie, in formazione, in green economy. E ha cercato di
spiegarlo anche a noi, al limite dell’ingerenza negli affari europei”.
Purtroppo finora senza successo.
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