|
|
|
|
|
|
|
Notiziario Marketpress di
Mercoledì 05 Giugno 2013 |
|
|
|
|
|
OPPORTUNITÀ E RISCHI DEI FONDI SOVRANI AI TEMPI DELLA CRISI
|
|
|
|
|
|
Trento, 5 giugno 2013 - L’incertezza regna “sovrana”. Questa
espressione usata da Bernardo Bortolotti rende bene l’idea dei miti e dei
sospetti che avvolgono i fondi sovrani, i veicoli di investimento pubblici
controllati dai governi, capaci di intervenire massicciamente nell’economia
(nazionale e estera) attraverso il finanziamento di imprese e attività
produttive. E che negli anni della crisi hanno salvato Wall Street. Bortolotti,
docente di Economia all’Università di Torino e direttore dell’Osservatorio sui
Fondi Sovrani (Sovereign Investment Lab), istituito a fine 2011 presso il
Centro di ricerca Paolo Baffi (sulle banche centrali e sulla regolamentazione
finanziaria) della Università Bocconi, ha cercato di fare luce sui “Fondi
sovrani”, tra opportunità e rischi, davanti a un folto pubblico costituito in
buona parte da giovani, nella sala conferenze “Alberto Silvestri” del
Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento, introdotto dal
ricercatore Andrea Fracasso,
Nati negli anni Cinquanta e
diventati dei soggetti di economia internazionale di primo piano con l’ultima
crisi, portano grandi quantità di capitale. Non esiste una definizione
ufficiale. Nessuno ne conosce la reale entità. Questi fondi possono derivare dall’accumulazione
di avanzi delle partite correnti (come nel caso Cinese e dei Paesi esportatori
di petrolio), ma anche essere finanziati ”ad hoc” da governi con risparmi o
proventi delle privatizzazioni. Il dilemma vero – ha affermato Bortolotti – è
se «il fondo sovrano sia benevolente, ovvero strumento per preservare la
ricchezza della nazione nel tempo e favorire l’investimento di lungo termine
oppure neo-mercantilista, cioè braccio armato finanziario con cui i Paesi
emergenti perseguono le loro ambizioni geopolitiche».Bortolotti ha, quindi,
proseguito sfatando alcuni “miti”. Quello che li vuole tutti uguali (non è
così: sulla trasparenza – ha detto – il fondo sovrano norvegese è il più
trasparente, quello libico è il più opaco), quello che li considera i nuovi
barbari (non è vero - ha affermato - e lo dimostra il fatto che una parte viene
investito nei rispettivi Paesi), il terzo mito, per il quale si investirebbe
all’estero nei settori strategici ( finora – ha riferito - si è investito
invece nelle banche e nel settore immobiliar) e il mito di chi ritiene che i
fondi sovrani si stiano comprando l’Italia («L’italia – ha detto - è al
ventesimo posto. E se c’è da preoccuparsi è per l’assenza dii investimenti
diretti esteri. Con l’eccezione di Unicredit Spa, che trova nei fondi sovrani i
suoi principali azionisti»). I veri problemi per Bortolotti sono due: la
legittimità politica di fondi sovrani che provengono da Paesi non democratici
(perché le società riceventi possono essere influenzate dalle vicende politiche
dei Paesi dai quali i fondi arrivano) e il neoprotezionismo (come conseguenza
dello scontro culturale tra modelli di capitalismo di stato e di mercato). «Ma
– ha concluso - dobbiamo mantenere aperto il canale dell’investimento estero,
fondamentale ingrediente per la crescita economica in tempi di scarsità di
capitale. Vigilare sulle finalità commerciali e non politiche degli
investimenti sovrani usando le regolazione esistente. Scegliere soluzioni
win-win nella consapevolezza che l’Occidente non è più l’epicentro del mondo».
|
|
|
|
|
|
<<BACK |
|
|
|
|
|
|
|