|
|
|
 |
  |
 |
|
Notiziario Marketpress di
Giovedì 06 Giugno 2013 |
|
|
  |
|
|
L´INTERVENTO DI LAURA BOLDRINI
|
|
|
 |
|
|
Trento, 6 giugno 2013 - La
dignità della persona, i rifugiati, le migrazioni, la clandestinità, la
sovranità, l´Europa federalista e solidale, i populismi antidemocratici, la
necessaria globalizzazione dei diritti, l´ingerenza umanitaria, il diritto
internazionale, per finire con l´invito ad "un nuovo modo di pensare il
mondo". E´ ruotato attorno a questi temi l´intervento di Laura Boldrini,
presidente della Camera dei Deputati, al
Festival dell´Economia di Trento. Di seguito il testo del suo intervento su
"Sovranità e dignità della persona".
"Ringrazio, per
l’invito che mi è stato rivolto, la Provincia Autonoma, il Comune e
l’Università di Trento, il mio amico Giuseppe Laterza, il professor Tito Boeri.
Le autorità presenti e tutti voi che siete qui.
Ringrazio Tiziana Ferrario,
che conosco da tempo, e che dialogherà con me stasera.
Prima di essere eletta
Presidente della Camera, per ben ventiquattro anni, ho lavorato nelle Agenzie
delle Nazioni Unite. Gli ultimi quindici, come portavoce dell’Alto
Commissariato per i Rifugiati, l’Unhcr.
E’ soprattutto con l’Unhcr
che ho svolto missioni in molte aree di crisi nel mondo : nei Balcani, durante
il conflitto e la disgregazione della ex Jugoslavia, in Afghanistan, in
Pakistan, in Iraq e in Iran. In Paesi africani lacerati dalle violenze come il
Sudan, l’ Angola ed il Ruanda. Nel Caucaso e nelle repubbliche centroasiatiche,
con i loro focolai di tensione dimenticati.
In alcune di queste
missioni, come in Kosovo, ho potuto assistere alla fuga e poi al ritorno a casa
dei rifugiati, alla difficile riconciliazione tra ex nemici ed alla
ricostruzione materiale. In molti casi, però, ho dovuto constatare che la
comunità internazionale era arrivata troppo tardi, quando le violenze erano già
dilagate, quando migliaia di persone erano già fuggite dalle proprie case.
Eppure la Carta delle Nazioni Unite - promulgata quasi settant’anni fa –
afferma che debba essere intrapresa ogni ‘azione necessaria’ per ‘mantenere o
ristabilire la pace e la sicurezza internazionale’.
E allora, la sovranità degli
Stati può essere messa in discussione per difendere la dignità delle persone?
E, se può, con quali modalità? Questo credo sia il primo impegnativo quesito
della nostra discussione.
Vorrei avvicinarmi alla
risposta partendo dal tema delle migrazioni, di cui mi sono occupata per tanti
anni.
Le migrazioni sfidano la
sovranità degli Stati in due modi: innanzitutto perché dimostrano quanto siano
labili le frontiere che gli Stati ergono e che poi presidiano per rafforzare la
loro sovranità. E poi perché, quando chi fugge da violenze e persecuzioni non
viene accolto in un Paese a cui chiede protezione, la sovranità di quello Stato
deve essere chiamata in causa in nome del diritto internazionale. Diritto
internazionale che sancisce il diritto inderogabile all’asilo e il principio
del non respingimento.
Lo dice anche la nostra
Costituzione, all’articolo 10. E invece, il cammino della realizzazione di
questa prescrizione costituzionale, ad oltre sessant’anni dalla sua
promulgazione, non è ancora compiuto.
Per di più, negli ultimi
anni, sono stati frapposti ostacoli di natura ideologica, incluso un uso
improprio delle parole : è stato bollato come “clandestino” – termine
stigmatizzante ed inappropriato - chiunque raggiungesse con mezzi di fortuna il
nostro Paese. Non esisteva, per una buona parte della stampa e del mondo
politico, la figura del richiedente asilo e del rifugiato. Di chi cioè, è
costretto a fuggire dal proprio Paese a causa di violenze, persecuzioni e
violazione dei diritti umani.
Da quando si è visto che
cavalcare la paura poteva avere una resa elettorale facile e più immediata,
fenomeni sociali complessi, come quello delle migrazioni forzate , sono stati
usati in modo strumentale e piegati a semplificazioni propagandistiche. Ne è
derivata una legislazione criticata da più parti come irrazionale e poco
lungimirante.
Questa impostazione ha
portato l’Italia, sul finire dello scorso decennio, a compiere respingimenti in
alto mare di centinaia di rifugiati e migranti. Sono stati rimandati dove
rischiavano di subire torture o trattamenti inumani, o dove potevano essere
rinviati nei Paesi d’origine, dai quali erano fuggiti a causa di persecuzioni.
Una prassi che ha portato la
Corte europea per i Diritti dell’Uomo a condannare l’Italia per non aver
rispettato il principio del non-respingimento, contenuto nella Convenzione di
Ginevra del 1951 e in vari trattati da noi sottoscritti.
La Corte ci ha quindi
ricordato che la sovranità degli Stati può essere messa in discussione per
tutelare la dignità ed i diritti della persona.
Rimanendo nel Mediterraneo,
e affrontando il tema della sovranità da un altro punto di vista, mi viene in
mente la Grecia, uno degli ultimi Paesi dove spesso sono stata in missione,
prima di lasciare l’incarico all’Unhcr.
Un Paese sottoposto alle
verifiche stringenti della cosiddetta “Troika” ( Commissione Europea, Banca
Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale ), con decine di migliaia di
persone precipitate nella povertà, nel disagio sociale, perfino nella mancanza
di medicinali negli ospedali e nelle farmacie e con una tensione sociale
incandescente. E’ il caso estremo di cessione di sovranità sulle sole materie economiche
e sulle politiche di bilancio, ambiti su cui si è tanto concentrata la politica
dell’Unione Europea. Quella che è mancata è proprio l’Europa politica, uno
spazio giuridico condiviso, un Governo europeo pienamente legittimato dal voto
dei cittadini. Tutto questo, almeno fino ad oggi, gli Stati membri non lo hanno
voluto.
Non si è dato corso, cioè,
al progetto di una Europa unita e federalista sognata tanti anni fa a
Ventotene.
Per l’opinione pubblica
l’Europa serve solo ad imporre misure di austerity, il rispetto delle politiche
di bilancio o a costringere i Paesi debitori ad attuare nuovi tagli a sistemi
sociali già fragili e provati dalla crisi. Insomma, soltanto sacrifici.
L’europa dei diritti e delle
libertà, cede troppo spesso il passo a quella della finanza e delle
tecnocrazie.
Vorrei che la stessa
determinazione che viene usata verso gli Stati che non rispettano i parametri
di Maastricht, fosse indirizzata anche ai Paesi membri che violano i diritti
fondamentali.
Abbiamo gli strumenti per farlo
: l’articolo 7 del Trattato di Lisbona indica le procedure necessarie ad
accertare il rischio di violazione dei valori dell’Unione da parte di uno Stato
membro.
L’europa che viene percorsa
oggi da movimenti populisti, neofascisti e xenofobi non è quella di Altiero
Spinelli.
Non si può tollerare che,
all’ interno dell’ Unione Europea, agiscano impunemente movimenti
antidemocratici. Che si restringa la libertà di stampa. Che si renda illegale
l’essere senza fissa dimora.
Vorrei che un’Europa più
forte, più unita, più solidale.
E’ una scelta di fondo
quella che bisogna compiere: occorre rafforzare le istituzioni sovranazionali e
renderle sempre più rappresentative.
Lo dobbiamo fare anche per
rispondere alla sfida che ci pone la globalizzazione.
I processi economici e
sociali hanno superato i confini delle nazioni, la politica no. E’ rimasta
chiusa dentro le antiche frontiere e quando ha dato vita ad istituzioni
sovranazionali, come l’Unione Europea o le Nazioni Unite, non ha conferito loro
i poteri necessari.
Poche settimane fa, a Dacca,
1.100 lavoratori morivano sotto le macerie della fabbrica in cui lavoravano per
l’equivalente di pochi euro al mese e in condizioni veramente disumane.
Quei lavoratori producevano
capi d’abbigliamento per aziende occidentali, anche europee. Queste aziende
avevano dislocato la produzione in paesi dove, come si dice in gergo, “il costo
del lavoro è più basso”. Cioè dove non c’è la minima protezione sociale e di
sicurezza per i lavoratori. E’ una tendenza ormai diffusissima e se provi a
criticarla sei bollato come ostile alla globalizzazione.
Non è così. Io sono
favorevole alla globalizzazione, ma in senso completo : se si globalizza
l’economia e la produzione, si devono globalizzare anche i diritti di chi
lavora. Altrimenti si continua a tollerare una diseguaglianza moralmente
inaccettabile.
Quale sovranità interpella
la tragedia di Dacca ? Quella del Bangladesh e della sua legislazione sul
lavoro ? Certo, ma sarebbe una ipocrisia non chiamare in causa anche le
responsabilità dei paesi da cui partono quelle aziende.
Vorrei concludere a questo
punto, affrontando la questione più delicata e più difficile di tutte: quella
della cosiddetta ingerenza umanitaria.
Come dicevo all’inizio, nel
corso della mia esperienza ho visto che cosa possono produrre le sovranità
nazionali ai danni dei loro concittadini. Mi riferisco alle dittature, alle
pulizie etniche, agli stermini di massa, alle guerre civili. Bosnia, Kosovo,
Congo, Darfur. L’elenco è purtroppo lungo.
Di fronte a quei massacri,
agli stupri di massa, alla distruzione di vite ancora giovanissime, mi sono
chiesta tante volte dove fosse la comunità internazionale. E mi sono domandata
come sia possibile assistere a tutto questo senza agire, senza fare qualcosa
per ripristinare la pace e il rispetto dei più elementari diritti delle
persone, senza proteggere donne e bambini innocenti.
Mi sono indignata come molti
di fronte all’indifferenza del mondo.
E la risposta
all’immobilismo è stata spesso coniugata proprio in nome del rispetto della
sovranità nazionale e del principio di non ingerenza. Sacrosanti principi. Ma
di fronte ai massacri e alle stragi rischiano di trasformarsi in paravento del
più cinico egoismo.
Quando si calpestano i
diritti e la vita delle persone, il principio secolare della sovranità
nazionale viene contestato in primis dall’opinione pubblica mondiale, la cui
coscienza è scossa da ciò che accade. E’ accaduto ieri, nel caso del Cile, di
Piazza Tienanmen, della Primavera di Praga.
Vale tanto più oggi, in una
epoca in cui i mezzi di comunicazione sono in grado di mostrarci in tempo reale
e nel dettaglio qualunque evento in qualunque parte del pianeta.
Oggi dovrebbe essere più
difficile stare con le mani in mano. E invece la lista dei conflitti continua a
crescere.
Penso che, di fronte alla
mortificazione della dignità umana, esista un diritto-dovere all’ingerenza
negli affari interni. Ma a due condizioni. Primo, che si decida applicando
scrupolosamente il diritto internazionale e non in maniera unilaterale o con
coalizioni estemporanee. Secondo, che ingerenza non significhi necessariamente
intervento armato. Troppe operazioni militari sono state presentate
all’opinione pubblica come umanitarie, e non lo erano, perché diversi erano gli
obiettivi, diverse le prospettive.
Voglio essere chiara: la mia
non è una critica alle forze armate. Sono testimone diretta del fatto che in
molte occasioni senza militari non saremmo riusciti a garantire la protezione
dei civili, dei convogli e degli aiuti alle popolazioni.
Critico il fatto che non si
faccia abbastanza per prevenire e risolvere in tempo utile le controversie per
via politica e negoziale e che l’intervento militare diventi quindi l’unica
cosa da fare, magari dopo mesi di inazione.
La guerra, oltre a causare
perdite di vite umane e distruzione materiale, rende poi quanto mai difficile
la ricostruzione di una sovranità nazionale democraticamente legittimata.
Ecco. Sono questi i pensieri
e gli interrogativi che la mia esperienza mi sollecita e che propongo a voi
stasera.
Vorrei però che di questi
temi si occupassero di più la politica italiana ed il sistema
dell’informazione.
Ci si appassiona troppo
attorno all’ultima battuta politica, perdendo di vista i grandi interrogativi
sul futuro del mondo: i cambiamenti climatici, le migrazioni, le risorse
energetiche, le conquiste della scienza.
Non sono astrazioni. Al
contrario. Pensare globalmente è l’unico pensiero realistico possibile, perché
ormai nessuno dei fenomeni sociali che influenzano la vita delle persone e
delle nazioni, nasce e muore dentro i confini di un solo paese.
Un nuovo modo di pensare il
mondo è una necessità urgente anche per il tema che discutiamo stasera, quello
della dignità della persona".
|
|
|
|
|
|
<<BACK |
|
|
|
|
|
|
|