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Notiziario Marketpress di
Martedì 25 Giugno 2013 |
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CANCRO DEL FEGATO: “CON UN AGO BRUCIAMO LE CELLULE MALATE MENO RISCHI PER I PAZIENTI E RISPARMI PER IL SISTEMA SANITARIO”
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Milano, 25
giugno 2013 - Senza tagli sulla pelle e in anestesia locale oggi è possibile
bruciare il tumore del fegato. Si chiama termoablazione a radiofrequenza e
permette di eliminare le cellule malate in 15 minuti, con meno rischi e
complicanze per i pazienti rispetto alla chirurgia tradizionale (che richiede
di solito almeno 2 ore). Ogni anno in Italia circa 1500 persone sono operate
con questa tecnica. Anche i costi a carico del servizio sanitario si riducono
sensibilmente: un intervento di questo tipo, che richiede una degenza di soli 3
giorni e talvolta può essere eseguito in regime ambulatoriale, implica un
esborso nettamente inferiore rispetto a quello della chirurgia resettiva. E un
ulteriore vantaggio, sia per i pazienti che per il sistema, deriverebbe dalla
possibilità di capire, prima dell’intervento, come evolverà la neoplasia. “Per
questo - spiega il prof. Sandro Rossi, presidente della ‘Fondazione cura
mini-invasiva tumori’ - abbiamo avviato uno studio per identificare i marcatori
genetici associati alla crescita neoplastica. È la prima ricerca in Italia di
questo tipo. Risultati positivi consentirebbero una prognosi più precisa e più
appropriate scelte terapeutiche. Il lavoro che stiamo conducendo è
accuratissimo ed enorme: in 30 pazienti abbiamo raccolto più di 200 campioni di
tessuto da sottoporre a sequenziamento genico e ad analisi bioinformatica. La
ricerca si concluderà alla fine di quest’anno ed è realizzata grazie al
contributo liberale dei cittadini e della Fondazione Cariplo”. Il tumore del
fegato nel 2012 in Italia ha fatto registrare 12.800 nuove diagnosi ed è al
terzo posto per mortalità nella fascia di età compresa fra i 50 e i 69 anni. In
oltre il 90% dei casi insorge in persone colpite da cirrosi epatica. “Le
classificazioni utilizzate finora - continua il prof. Rossi - falliscono nel
predire la storia clinica di un paziente cirrotico dopo l’asportazione
chirurgica del tumore o la termoablazione. Le indagini attualmente a
disposizione, come ecografia, Tac, risonanza magnetica ed analisi istologica,
non sono sufficienti. Questa situazione ha un impatto negativo sul malato
perché può portare, anche nei migliori centri, a terapie inappropriate. È cioè
inutile trattare con la chirurgia tradizionale o con la termoablazione un
tumore, anche piccolo, in un paziente che svilupperà entro poco tempo una
malattia neoplastica multifocale associata a una prognosi infausta. È quindi
importante individuare, con ricerche genetiche e molecolari, altri fattori
associati al tipo di crescita del tumore per capirne l’evoluzione. Vogliamo
sapere se l’andamento della malattia sarà lento nel tempo, con lo sviluppo di
recidive nodulari che possono essere trattate con termoablazione o con la
chirurgia tradizionale, oppure se avrà una rapida evoluzione multifocale, caso
in cui l’unica possibilità di trattamento è rappresentata dal trapianto
d’organo”.
La
“Fondazione cura mini-invasiva tumori” è nata nel 2009 con l’obiettivo di
promuovere progetti di studio nella cura delle neoplasie. “Siamo partiti dalla
nostra esperienza ventennale nel campo delle terapie mini-invasive utilizzate
per il trattamento dei tumori primitivi del fegato - sottolinea il prof. Rossi
-. Molta strada infatti è stata percorsa dal 1989, anno in cui per la prima
volta al mondo, proprio in Italia, abbiamo sperimentato la termoablazione a
radiofrequenza su un paziente colpito da carcinoma del fegato. L’idea che ha ispirato
questa tecnica è semplice: distruggere il tumore senza danneggiare il tessuto
sano circostante. È possibile raggiungere questo risultato inserendo per via
percutanea la punta di un ago-elettrodo all’interno del tumore. Quando viene
attivato il generatore a radiofrequenza connesso all’ago-elettrodo, attorno
alla sua punta si sviluppa un campo elettromagnetico. Si crea pertanto una
‘sfera di calore’ che determina la morte del tessuto malato”. Oggi, nel nostro
Paese, sono circa 30 i centri in grado di praticare questo tipo di trattamento,
che è indicato dalle linee guida internazionali, insieme alla chirurgia
resettiva tradizionale, come opzione terapeutica per i tumori epatici. “Come
dimostrato da uno studio pubblicato su ‘Hepatology’ nel 2011 - conclude il
prof. Rossi -, non vi è alcuna differenza in termini di efficacia e recidive
tra i due tipi di intervento”. La termoablazione a radiofrequenza è applicata
anche in altri tipi di cancro, ad esempio in quello del polmone, del rene e del
pancreas, ma non vi sono ancora chiare evidenze scientifiche che la
raccomandino in questi casi.
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