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Notiziario Marketpress di Lunedì 04 Novembre 2013
 
   
  PROVINCE, SAITTA: “QUALE SINDACO DEMOCRATICO ACCETTERÀ DI GUIDARE PER LEGGE E SENZA VOTO LE CITTÀ METROPOLITANE FINO AL 2017?”

 
   
   Torino, 4 ottobre 2013 - Il Consiglio provinciale di Torino ha approvato il 30 ottobre all’unanimità la richiesta di “aprire un confronto serio con il Governo, insieme alle Regioni e ai Comuni di grandi e piccole dimensioni per una razionale riforma del sistema delle autonomie che deve partire da un riassetto delle funzioni amministrative nel rispetto del principio di sussidiarietà previsto dall’art. 118 della Costituzione”. La mozione chiede anche “di evitare che la città metropolitana nasca in modo antidemocratico e autoritario, prevedendo che il Sindaco metropolitano sia per legge fino al 2017 il sindaco del comune capoluogo”. “Sono convinto che sinceri democratici come Fassino e Renzi, Pisapia o Emiliano non potranno accettare di diventare per legge e senza il passaggio delle urne fino al 2017 i sindaci di città metropolitane che congloberanno decine, a volte centinaia di altri Comuni per i quali non sono stati eletti” commenta il presidente della Provincia di Torino Antonio Saitta. Di seguito la mozione approvata Consiglio Provinciale Di Torino - All. N. 477 al punto f bis) dell´o.D.g. - Mozione Approvata Dal Consiglio Provinciale Avente Quale Oggetto: “Disegno Di Legge Costituzionale Per Il Riordino Dei Livelli Intermedi Di Governo”. N. Protocollo: 42970/2013 - Premesso che · le Province costituiscono un ente territoriale riconosciuto dalla Costituzione, così come le Regioni e i Comuni; · l’appartenenza ad una Provincia costituisce un elemento di identità riconosciuta; · gran parte delle Province italiane sono nate come territori univocamente identificabili e come forma organizzativa ben prima della costituzione dello Stato italiano; · il Presidente, la Giunta e il Consiglio provinciale sono organi, oltre che di gestione, di rappresentanza democratica; · quantomeno nelle Regioni del nord Italia, alle Province sono attribuite funzioni di gestione, spesso in via esclusiva, di deleghe rilevanti quali la viabilità, i trasporti, l’edilizia scolastica superiore, l’agricoltura, l’ambiente, le politiche attive del lavoro; · le Province italiane gestiscono ben 125.000 chilometri di strade extraurbane, 5.000 edifici scolastici per 120.000 classi frequentate da circa 2.500.000 allievi, oltre 850 Centri per l’impiego; · le funzioni che riguardano l’erogazione di servizi, il coordinamento e la pianificazione di area vasta non possono essere svolte su scala territoriale comunale o di piccole aggregazioni di Comuni, e neppure da un soggetto di legislazione e programmazione e, molto spesso di grandi dimensioni, come la Regione; · il modello organizzativo del Piemonte, che prevede la delega da parte della Regione alle Province di gran parte delle funzioni gestionali e operative, è un modello di democrazia e di efficienza e costituisce una valida ipotesi di riforma applicabile all’intero territorio nazionale; · i costi complessivi di gestione e funzione delle Province rappresentano circa l’1,35% della spesa pubblica del Paese (Fonte: banca dati Siope); · la spesa per gli amministratori provinciali ammontava nel 2011 allo 0,9% della spesa complessiva di funzionamento delle Province (fonte: banca dati Siope); · l’abolizione delle Province comporterebbe un aumento della spesa pubblica, pari ad almeno il 25% in più, frutto del passaggio del personale delle Province (circa 56.000 dipendenti) alle Regioni e del trasferimento delle competenze di area vasta ai Comuni; · il trasferimento delle funzioni e delle risorse oggi gestite dalla Province, pari a circa 11 miliardi di euro (fonte: banca dati Siope), avrebbe un forte impatto sui bilanci e sull’organizzazione delle Regioni e dei Comuni, già oggi gravati dalle difficili condizioni di sostenibilità dei loro obiettivi in termini di Patto di stabilità interno; · a seguito della mancata conversione in Legge dello Stato del Decreto Legge 5 novembre 2012, n. 188, il legislatore statale ha sostanzialmente congelato il processo relativo al riordino delle Province e il collegato processo di istituzione delle Città metropolitane, non risolvendo però situazioni di grave incertezza istituzionale presenti sul territorio; · con sentenza del 3 luglio 2013, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni contenute nel Dl 201/2011 e nel Dl 95/2012 in tema di riordino delle Province e di istituzione delle Città metropolitane, “per violazione – come si legge nel comunicato della stessa Corte – dell’articolo 77 della Costituzione, in relazione agli articoli 117, 2° comma, lett. P) e 133, 1° comma, Cost., in quanto il decreto-legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica quale quella prevista dalle norme censurate”; · nella seduta del 5 luglio 2013, il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge costituzionale con cui disciplinare ex novo e a regime il complessivo riassetto delle Province e delle Città metropolitane, ma non ha certamente dissipato dubbi e incertezze ancora presenti; · il sopracitato ddl prevede: a) l’abolizione delle Province e la conseguente soppressione dei relativi riferimenti contenuti negli articoli 114, 117, 118, 119, 120 della Costituzione; b) la configurazione delle Città metropolitane quali enti di governo delle aree metropolitane, di cui lo Stato definisce le funzioni fondamentali, le modalità di finanziamento e l’ordinamento; c) la soppressione delle Province entro sei mesi dall’entrata in vigore della Legge costituzionale e l’individuazione da parte dello Stato e delle Regioni, sulla base di criteri e requisiti generali definiti con Legge statale, delle forme e delle modalità di esercizio delle relative funzioni; · nella relazione illustrativa al ddl si riconosce l’esigenza di prevedere forme flessibili di organizzazione delle funzioni di area vasta, in un contesto caratterizzato da una varietà di situazioni che potrebbe rendere inefficaci soluzioni uniformi; considerato che · se, per un verso, è da valutare in termini positivi la scelta di rivedere in modo complessivo l’assetto dei livelli intermedi di Governo tra Regioni e Comuni, così come la decisione di coinvolgere le Regioni nella regolamentazione delle funzioni attualmente in capo alle Province, per altro verso non è consentito alle stesse singole Regioni di incidere sui contenuti della Legge statale alla quale si rinvia, con il conseguente rischio che i criteri fissati dal legislatore statale finiscano per essere talmente stringenti da pregiudicare le esigenze di differenziazione in base alle peculiarità delle diverse realtà regionali; · il ruolo che compete alle Regioni di distribuire le funzioni fra i diversi livelli di Governo del territorio secondo criteri di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza e, più in generale, di assicurarne l’effettivo svolgimento, rende imprescindibile la determinazione da parte delle stesse Regioni dell’assetto dei livelli di Governo degli enti intermedi di area vasta; · in una realtà come quella del Piemonte - sia per le dimensioni territoriali, sia per l’articolazione istituzionale esistente – deve essere prevista l’elezione diretta, fatte salve le esigenze legate ai risparmi di spesa; · è necessario che in una Regione con quasi 4,5 milioni di abitanti e più di 1.200 Comuni sia preservato un livello intermedio di Governo che renda gestibile il sistema dei servizi sui singoli territori provinciali; · le Regioni debbano avere un ruolo anche nella definizione dell’ordinamento delle Città metropolitane e nell’individuazione delle relative aree; il Consiglio provinciale di Torino impegna il Presidente della Giunta ad attivarsi presso il Governo e il Parlamento, in accordo con la Giunta e il Consiglio regionale del Piemonte, affinché: 1. Venga impedito di svuotare le funzioni delle Province, enti costituzionalmente costitutivi della Repubblica; 2. Non venga negato ai cittadini il diritto di scegliere direttamente i propri rappresentanti negli organi provinciali; 3. Si eviti che la città metropolitana nasca in modo antidemocratico e autoritario, prevedendo addirittura che il Sindaco metropolitano sia per legge, fino al 2017, il sindaco del comune capoluogo; 4. Venga impedita la creazione di un sistema istituzionale di area vasta con ruolo determinante del comune capoluogo tale da rendere marginale il resto del territorio; 5. Si apra un confronto serio con il Governo, insieme alle Regioni e ai Comuni, di grandi e piccole dimensioni, per una razionale riforma del sistema delle autonomie che non può che partire da un riassetto delle funzioni amministrative nel rispetto del principio di sussidiarietà previsto dall’art. 118 della Costituzione, approvando una Carta delle Autonomie che sia premessa per riorganizzare, semplificare e garantire effettiva autonomia sul piano politico, amministrativo e finanziario, con un ruolo attivo e di garanzia delle Regioni. Torino, 30 ottobre 2013  
   
 

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