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Notiziario Marketpress di Giovedì 06 Febbraio 2014
 
   
  PROGETTO SIRNI: AI RAGGI X LA NUOVA IMPRENDITORIA POTENTINA

 
   
  Potenza, 6 febbraio 2014 - I giovani imprenditori in provincia di Potenza tendono a valorizzare contemporaneamente sia la tradizione locale che la modernità, portando avanti sia vocazioni produttive radicate nella cultura economica del territorio, sia elementi di “rottura” importanti. Hanno, in media, un titolo di studio elevato: il 17,3% ha il diploma di laurea, a fronte di un 15% italiano, e c’è un 1,2% di neo imprenditori con specializzazione post-laurea. Ciò rappresenta un patrimonio di competenze, capacità innovativa e di produzione di qualità che i neo imprenditori, con alto titolo di studio, possono potenzialmente mettere al servizio delle aziende che aprono. Lo si evince dallo studio del Progetto Sirni (Servizi Integrati per la Nuova Imprenditoria in provincia di Potenza) realizzato dalla Camera di Commercio di Potenza in collaborazione con l’Istituto “Guglielmo Tagliacarne”. Il Rapporto dimostra, dati alla mano, come il mercato del lavoro stia spontaneamente, e a prescindere dal ciclo di crisi, andando sempre più verso una destrutturazione delle forme tradizionali di impiego. Il lavoro dipendente si assottiglia - I lavoratori dipendenti in provincia di Potenza sono passati dai 96.000 del 2006 agli 88.000 censiti a settembre 2013, mentre le nuove assunzioni previste dalle imprese di dipendenti con contratto a tempo indeterminato sono diminuite dalle 2.390 unità del 2009 alle 1.103 del 2013, dimezzandosi praticamente nel giro di 4 anni. Un orizzonte estremamente ristretto, che alimenta la voglia dei giovani di fare da sé, di “mettersi in proprio” e di fare impresa, sfidando le difficoltà del ciclo economico recessivo in atto. In anni di profonda crisi, infatti, le nuove iscrizioni di imprese si aggirano nell’ordine 2.000 ogni anno nel Potentino e di queste, quelle aperte da giovani sono circa 700-800 all’anno. «La strada dell’autoimpiego è ancora troppo utilizzata come leva compensativa per le crescenti difficoltà di accedere al lavoro alle dipendenze da parte dei giovani che escono dal percorso formativo e che finiscono per alimentare, senza alternative valide, la fuga dei cervelli (e di forze produttive) che affligge la regione – commenta il presidente dell’Ente camerale, Pasquale Lamorte -. Va da sé che le Istituzioni debbano alimentare questi fermenti per colmare il gap di imprenditorialità che mantiene compresso verso il basso il tasso di crescita potenziale del territorio, sforzandosi di eliminare la burocrazia che spesso scoraggia chi vuole intraprendere e studiando opportune politiche di alternanza scuola-lavoro che disegnino traiettorie nuove per sostenere l’autoimprenditorialità. L’autoimpiego non deve essere più un ripiego, ma una scelta consapevole». Chi sono i nuovi imprenditori? Accanto ad un 42% del campione ha avviato un’impresa come risposta a difficoltà di ingresso nel mercato del lavoro in una posizione alle dipendenze, oppure come canale per trovare un primo impiego, c’è infatti un 57% che afferma di aver avviato l’impresa per vocazione imprenditoriale, ovvero come strada per il successo personale o economico e, più in generale, per l’autoaffermazione sociale. Altri dati emergono da questa “radiografia”, a partire dalla struttura anagrafica, che risente del fenomeno della cosiddetta “fuga dei cervelli”; l’età media dei nuovi imprenditori potentini tende ad essere leggermente superiore rispetto alla media nazionale: chi ha meno di 30 anni è il 22,8% del totale, a fronte del 28,1% nazionale. La provenienza professionale dei neo-imprenditori, inoltre, privilegia soprattutto chi, in precedenza, era già imprenditore o libero professionista o anche dirigente o quadro ed in misura minore chi era studente, e non attinge per niente dal bacino dei disoccupati, a differenza di ciò che avviene nel resto del Paese. Un certo dinamismo è manifestato dalla nuova imprenditoria femminile, anche se questa tipologia continua ad essere minoritaria, come nel resto del Paese (le imprese femminili sono il 30,4% delle nuove imprese iscritte alla Cciaa di Potenza, nel periodo 2011-terzo trimestre 2013, a fronte del 27,5% medio nazionale). La presenza di una popolazione immigrata numericamente poco significativa fa sì che l’imprenditoria di immigrati sia marginale, a differenza di altre aree del Sud. Quali i settori più interessanti? Rispetto ai settori interessati dal fenomeno della nuova imprenditoria giovanile, tra il 2012 e i primi nove mesi del 2013, tassi di iscrizione particolarmente elevati e superiori alla media nazionale in alcune attività di servizio, in particolare i servizi di informatica e comunicazione (6% nel 2012, 4,1% al terzo trimestre 2013), i servizi finanziari ed assicurativi (6,5% nel 2012, 8,6% nei primi nove mesi del 2013) e quelli immobiliari (3,4% nel 2012, 4,7% a settembre 2013). Per il resto, nel 2012 va segnalato il buon tasso di iscrizione di imprese agricole (4,4%, a fronte del 3,1% nazionale) che segnala anche una tendenza al ritorno verso l’attività primaria, specie da chi è stato espulso da altri cicli produttivi, ed alla crescita delle imprese nei servizi artistici, sportivi e di intrattenimento (7%, contro il 5,2% nazionale). Nei primi nove mesi del 2013, poi, va rilevato un alto tasso di iscrizione di imprese turistiche e di pubblici esercizi (4,7%, a fronte del 3,6% italiano). Le problematiche da limare - Fin qui le positività. Sull’altro piatto della bilancia, lo studio della Cdc sottolinea alcune problematiche: su tutte la sottocapitalizzazione e l’eccessiva semplicità degli assetti di governance ed organizzativi, a discapito di una corretta e consistente capacità di finanziamento dell’impresa stessa. Gran parte dei neo imprenditori intervistati ha avviato l’impresa con capitali propri o di parenti, mentre il ricorso al mercato del credito è marginale. Ciò ovviamente ha riflessi sulla competitività che si manifestano, ad esempio, con la modesta capacità delle nuove imprese del potentino di proiettarsi al di fuori di ambiti di mercato meramente localistici, assolutamente inadeguati a supportare lo sviluppo futuro delle nuove iniziative. In particolare, le imprese di nuova costituzione che si aprono precocemente ai mercati internazionali, gli unici ancora con una domanda in crescita, sono poco rilevanti in termini di incidenza sul totale. Le difficoltà finanziarie derivano da problemi di sottodimensionamento, sottocapitalizzazione, scarsa capacità di collaborare e fare rete, ma sono anche il riflesso di un mercato creditizio ingessato, in cui gli impieghi calano costantemente. La questione più scottante è proprio quella della carenza e del costo del credito bancario, in assenza di meccanismi agevolativi pubblici. Lo scarso ricorso, da parte dei disoccupati locali, al canale dell’autoimpiego suggerisce di rendere il più rapidamente possibile operativo l’attuale fondo regionale per il microcredito, al fine di dare uno sbocco finanziario ad iniziative di soggetti attualmente non bancabili. Occorre, inoltre, sviluppare strumenti di finanza innovativa che premino la redditività prospettica delle iniziative, non le garanzie reali che esse offrono, quali i fondi di venture capital regionali, o fondi per prestiti partecipativi o di finanza mezzanina, gestiti con criteri privatistici. Segue l’esigenza di semplificare le procedure amministrative. Occorre realmente potare le filiere procedurali, tramite task force inter-amministrazione dedicate al riesame di tutte le procedure inerenti l’apertura di una nuova impresa, che suggeriscano dove sia possibile snellire, creare zone a burocrazia zero dove sia possibile aprire un’impresa in autocertificazione. Da questo punto di vista, però, Potenza può vantare un felice primato, recentemente certificato dalla banca Mondiale: il Doing Business come “avvio d’Impresa” (che analizza procedure, tempi e costi per ottenere licenze, permessi e iscrizioni utili ad iniziare un’attività imprenditoriale) colloca Potenza al terzo posto in Italia, distinguendosi per i tempi con cui l’Ufficio del Registro della Camera di Commercio evade le richieste: due giorni. Ciò le consente di eseguire tutte le pratiche in 8 giorni. Milano (la migliore) lo fa in 6, Napoli (la peggiore) in 16. Infine, emerge dall’indagine l’esigenza di realizzare politiche attive del lavoro, che si concretizzino in esperimenti efficaci di transizione scuola/lavoro, in una formazione professionale legata ai fabbisogni effettivi del sistema produttivo, in un’offerta didattica migliore, in un sistema di orientamento professionale finalmente efficace, in linea con le prescrizioni comunitarie. Il Rapporto integrale è pubblicato sul sito www.Pz.camcom.it    
   
 

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