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Notiziario Marketpress di Lunedì 03 Marzo 2014
 
   
  MOTORE SANITÀ: IL NUOVO PATTO STATO-REGIONI: TRA TAGLI ED EFFICIENZA

 
   
  Milano, 3 marzo 2014 - La continuità assistenziale dall’intensità di cura all’assistenza territoriale, quale risposta alle nuove necessità sanitarie, è un tema di grande interesse per la Sanità che pertanto la promuove nel Piano sanitario nazionale. Questo tema, attualissimo, si è affrontato nella giornata di ieri a Milano, presso il Centro congressi della Fondazione Cariplo, nel suggestivo Palazzo Confalonieri, in occasione del convegno “Il nuovo patto Stato-regioni: tra tagli ed efficienza”. Sul tavolo di confronto si sono riuniti i massimi esperti della Sanità italiana e giornalisti del settore che hanno affrontato i temi sensibili del convegno, sviluppati in quattro workshop. Nella mattinata sono state presentate le differenti strategie regionali mentre nel pomeriggio si è svolta una tavola rotonda sulle criticità. Ad aprire i lavori è stato Mario Mantovani, Assessore alla Salute della Regione Lombardia che ha spiegato: «La Sanità lombarda, al pari di quella di tutto il nostro Paese, si trova oggi dinnanzi ad una nuova sfida; quella di saper coniugare contemporaneamente i bisogni emergenti dell’attuale società, continuando a garantire ai pazienti prestazioni appropriate e di qualità, con le esigenze di bilancio, che in questo così delicato momento storico politico, sono variabili significative nell’azione di ogni pubblica amministrazione. Da qui l’esigenza e l’opportunità d’avviare un proficuo momento di confronto tra le diverse strategie regionali finora messe in campo. In questa prospettiva, quella di oggi è senza dubbio un’occasione di crescita particolarmente positiva. Regione Lombardia, da sempre considerata un modello d’eccellenza in ambito sanitario, non solo all’interno del panorama nazionale ma europeo, intende, pertanto, continuare a giocare un ruolo da protagonista nella costruzione di una Sanità moderna, il cui tratto distintivo dovrà comunque rimanere il prendersi cura del malato». I Quattro Workshop Di Motore Sanita’ Il primo workshop - “Obiettivi del Patto” – ha aperto lo scenario della futura rete ospedaliera, nonché la continuità ospedale-territorio, il fondamentale e strategico ruolo dei Medici di Medicina Generale nel trattamento delle cronicità ed, infine, il tema del rapporto pubblico/privato. Come è possibile una rete ospedaliera più moderna e più efficiente? Domenico Mantoan, Direttore Generale della Sanità della Regione Veneto ha spiegato. «La crisi del finanziamento del Sistema sanitario nazionale, molto più della normativa europea sulla mobilità transfrontaliera, impone un ripensamento del ruolo e dell’organizzazione degli ospedali. L’accesso al ricovero ospedaliero così come lo abbiamo conosciuto nel passato non può più essere considerato una misura del fabbisogno di assistenza. Il Patto per la salute dovrà necessariamente declinare un nuovo modello di ospedale articolato per gerarchie funzionali finalizzate al percorso assistenziale del paziente, bacini di utenza, volumi di attività, qualità dei processi di presa in carico nell’acuzie e di buon esito dei trattamenti». Il direttore generale della Sanità della Regione Veneto ha proseguito. «Questi cambiamenti saranno sostenuti da una revisione dei ruoli e delle carriere professionali dei medici e del personale sanitario e saranno sostenibili solo a fronte di un’attivazione h 24 per 7 giorni su 7 del territorio, che renda possibile la tempestiva dimissione e contestuale presa in carico da parte del territorio di pazienti anche non autosufficienti, complessi o con bassa aspettativa di vita che non beneficerebbero ulteriormente delle cure ospedaliere, ed in particolare di quelle in regime ordinario. Tutto ciò va declinato all’interno del Regolamento ospedali previsto dalla Legge 135/2012, che dovrà essere inserito nel Patto per la Salute». Questa la situazione nella Regione Veneto. «Lo standard del Veneto (3,0 posti letto per acuti +0,5 posti letto per lungodegenza e riabilitazione +1,2 posti letto in strutture di ricovero intermedie per ogni mille abitanti) è reso credibile da una incisiva e più che decennale politica di deospedalizzazione, che porta oggi il Veneto ad avere a livello nazionale consumo di risorse di ricovero ospedaliero ordinario tra i più contenuti in assoluto – spiega Domenico Mantoan -. Non è da trascurare – ha concluso Mantoan - l’impatto a breve termine sull’attività ospedaliera che possono avere le iniziative di prevenzione come lo screening del colon-retto». Per Federsanità resta fondamentale la stretta collaborazione tra istituzioni, medici e pazienti. Roberto Messina, Presidente di Federanziani ha commentato: «Partendo dall’ottima notizia della riconferma del Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, riteniamo fondamentale una sempre più stretta collaborazione in materia di sanità tra istituzioni, medici e pazienti, con il comune obiettivo di tutelare il diritto alla salute, e con uno sguardo ad un Servizio sanitario nazionale sempre più sostenibile». Sul rapporto sanità e terza età Emanuela Baio, Responsabile Relazioni Istituzionali Federanziani si è così espressa «Nel sistema sanitario il mondo degli anziani rappresenta la priorità ed anche se non lo fosse per scelta lo è per forza perché oggi l’invecchiamento della popolazione e, all’interno della popolazione anziana, soprattutto le cronicità - che rappresentano il 70 per cento della spesa sanitaria - costitutiscono una priorità per il sistema sanitario. L’importanza di una associazione come Federanziani sta proprio nel creare un rapporto di incontro e anche scontro con le istituzioni, ma innanzitutto di incontro per cercare di far sì che gli anziani siano coinvolti e quindi diventino l’elemento principe del cambiamento dentro il sistema sanitario. Oggi la frase di Giuseppe Tomasi Di Lampedusa, che diceva “Facciamo che tutto cambi affinché nulla cambi”, non può più sopravvivere perché oggi il nostro sistema sanitario ha bisogno di cambiare, lo deve fare per forza o per scelta, io spero che lo faccia per scelta e Federanziani si impegna affinché gli anziani aiutino il sisema a cambiare per scelta. I medici di medicina generale che lavorano in gruppo per rispondere meglio al bisogno dell’anziano e le farmacie, dispensatori di farmaci ma anche di servizi, sono i due tasselli fondamentali del sistema sanitario nazionale che Federanziani propone come elementi di razionalizzazione e quindi, in termini concreti, di risparmio per il servizio sanitario stesso. Se 3 milioni e 200mila anziani scegliessero di andare, per esempio, nelle farmacie che offrono anche dei servizi e scegliessero il medico di medicina generale che lavora in gruppo contribuirebbero in modo determinante a far cambiare il sistema sanitario, cambia in questo caso non per scelta ma per forza, noi vogliamo invece che insieme lo facciamo per scelta». Il ruolo del Medico di medicina generale nel trattamento delle cronicità lo ha approfondito in un lungo ed interessante intervento Roberto Venesia, Segretario Regionale Nazionale Fimmg Piemonte, che guarda ad una riorganizzazione delle cure primarie senza sprecare risorse, ma perseguendo gli obiettivi dell´appropriatezza e dell´economicità. Come? «Fimmg ha da tempo colto la ineluttabile necessità di un profondo cambiamento della organizzazione del lavoro e degli obbiettivi della Medicina generale per rispondere da un lato alla evoluzione dei determinati della salute come invecchiamento della popolazione, aumento della cronicità, complessità e fragilità e, dall’altro, alla necessità di rimodulare l’organizzazione in funzione di un non-aumento o addirittura riduzione di finanziamento del Sistema sanitario nazionale. Questi cambiamenti sono stati definiti nel progetto di Rifondazione della Medicina generale formulato da Fimmg già nel 2007 e poi accolti nella Legge “Balduzzi”. Parimenti è emersa la costatazione che una riorganizzazione incisiva della Medicina generale inevitabilmente richiede ed influenza la riorganizzazione complessiva dell’area delle cure primarie e dell’intero territorio». Ecco il punto di svolta secondo Roberto Venesia: le associazioni funzionali territoriali (Aft) e ciò che ne conseguirebbe. «Che significa portare i medici ad un lavoro di squadra, inizialmente funzionale (associazioni funzionali territoriali) utilizzando una rete informatica per la condivisione delle informazioni cliniche, definendo le modalità di integrazione tra assistenza primaria e continuità assistenziale, ma delineando anche le nuove modalità di lavoro di un medico di medicina generale a doppio incarico, che deve garantire nello stesso arco temporale attività legate al ciclo di fiducia ed attività orarie assistenziali o professionali in attesa di poter definire nel nuovo accordo collettivo nazionale un “ruolo unico” rispetto al quale ogni singolo medico di medicina generale svolgerà sia attività a ciclo di fiducia sia attività oraria raggiungendo la “piena occupazione” e quindi svolgendo attività esclusiva». Cosa occorrerà fare successivamente? «Dotare i medici di medicina generale delle associazioni funzionali territoriali di sedi comuni – ha proseguito Roberto Venesia -; di personale di studio appositamente formato a supportare il medico di medicina generale nella sua attività, compresa la nuova modalità di medicina di iniziativa e quindi con profilo professionale che preveda sia competenze tecnico-organizzative sia competenze socio-assistenziali quale è la nuova figura dell’assistente di studio del medico di famiglia, appositamente inserita nel contratto collettivo nazionale di lavoro degli studi professionali; di tecnologia diagnostica di primo livello, specialmente quella connessa con i percorsi di gestione della complessità e cronicità, in cui la strumentazione sia in grado di colloquiare con il cloud della rete clinica delle associazioni finzionali territoriali e di supportare una attività di consulenza specialistica anche in modalità di telemedicina per mettere i medici di medicina generale della “squadra” in grado di lavorare strutturalmente insieme per garantire risposte ai bisogni di salute sia completando in prima persona i percorsi di cura più semplici, sia coordinando i percorsi più complessi». Quale obiettivo ha questa riorganizzazione? «Tale riorganizzazione ha come obbiettivo quello di mettere la Medicina generale in condizione di garantire la tutela complessiva della salute della popolazione, nel rispetto del rapporto di fiducia medico-paziente e del diritto alla libera scelta del cittadino, facendosi carico h24 della domanda di salute del cittadino ed in particolare di modificare il “modus operandi” della medicina generale, passando da una medicina di attesa ad una medicina di iniziativa che opera per percorsi diagnostici terapeutici assistenziali, per la gestione proattiva della cronicità, complessità ed in genere del paziente fragile. Relativamente alla medicina di iniziativa «andrà individuato il modello organizzativo che più si confà alle realtà territoriali e alle caratteristiche della Medicina generale. Parimenti l’intera area delle cure primarie deve rimodularsi individuando nei cittadini assistiti dalle associazioni funzionali territoriali i gruppi di pazienti intorno ai quali ricondurre tutte le risposte, adottando la modalità di lavoro in Team multiprofessionale (unità complesse di cure primarie - Uccp)». Che cos’è l’unità complessa di cura primaria? «La Uccp rappresenta il team multi professionale funzionale del Primary Care e segna il punto di raccordo della medicina generale con le altre figure territoriali, in primis infermieri ed assistenti sociali, questi ultimi fondamentali per realizzare la vera integrazione tra sociale e sanitario. Le sedi delle unità complesse di cure primarie, saranno strutture territoriali del Distretto/asl come i gruppi di cura primari (Gcp), le case della salute o altre strutture. Queste potranno essere “semplici” costituendo la sede della sola unità complessa di cure primarie o “complesse” potendo ospitare nella stessa struttura altri servizi dell’azienda (ad esempio Sert, Dsm, riabilitazione, uffici amministrativi) ed anche letti di cure intermedie». Sul tema della sostenibilità del sistema e sul rapporto pubblico/privato si è espressa Mariella Enoc, Vicepresidente Fondazione Cariplo: «Nella riorganizzazione sanitaria le strutture private devono diventare più sfidanti». Ed ha approfondito. «In una fase di riorganizzazione sanitaria non possiamo dimenticare il rapporto pubblico-privato che svolge una sua peculiarità. In questo rapporto, a mio avviso le strutture private devono diventare più sfidanti e non semplicemente soggetti di secondo piano, perché possono aprire le loro porte ad esperimenti sul territorio. Tutto questo perché il privato deve e può agire, a differenza del pubblico, con maggiore libertà nel creare dei modelli. Diversamente continuerà ad essere visto come un vorace mangiatore di risorse non valutando ciò che invece può fare in senso positivo per il cittadino. Oggi non dimentichiamoci che nella crisi e nella povertà di salute che esiste molte strutture private stanno dando ai cittadini - per eliminare anche il gravoso problema delle liste di attesa - la possibilità di curarsi sostenendo costi molto bassi e questo vuol dire diminuire la spesa pubblica e dare un buon servizio ai cittadini». Nel corso del secondo workshop - “La medicina del territorio” - si è parlato di “Medicina di iniziativa” - intesa come “modello assistenziale di gestione delle malattie croniche che punta prima di tutto sulla prevenzione, sull’educazione”, sulla diagnosi precoce e sulla continuità delle cure. Si approfondirà il tema delle strutture territoriali nelle regioni; verranno presentati inoltre il modello Creg ed il Disease Management. Ed, infine, porte aperte sull’ “Health Aging” e il ruolo fondamentale della prevenzione nella “terza età” auspicato dall’Unione Europea. La medicina di iniziativa e la continuità delle cure è stato il tema portato al tavolo di confronto da Giovanni Daverio, Direttore Generale Famiglia, Solidarietà Sociale e Volontariato Regione Lombardia. «Il tema della cronicità - e parlano i numeri - è un tema significativo. In Regione Lombardia abbiamo 3 milioni di persone con patologia cronica a cui si aggiungono anche circa 500-600 mila persone che associano al concetto di cronicità il concetto di dipendenza, che passa attraverso la necessità di un accompagnamento che queste persone devono avere nel loro percorso di cronicità, accompagnamento che ovviamente deve anche supportare la famiglia; non dimentichiamo che le persone, a livello generale ma anche nel nostro sistema regionale, sono ancora per il 50% a carico della famiglia. Quindi organizzare la cronicità significa considerare oltre il diritto alla salute anche il diritto alla fragilità che caratterizzano le persone anziane, in particolare, ma anche le persone con disabilità. La scienza riesce ad ottenere risultati assolutamente significativi: abbiamo bambini piccoli che dovranno essere accompagnati per l´intera vita in un percorso di cronicità in senso lato aiutando in questo famiglia. Riflettere su queste cose significa organizzare un´attività in cui vengano favorite una serie di opportunità, funzioni anche di case manager all´interno delle diverse istituzioni e realtà in un rapporto che coinvolga le tante risorse che nel nostro territorio regionale sono rilevanti e che garantiscano l´assistenza significativa a questi episodi». Fabio Rizzi, Presidente della terza Commissione Sanità e Politiche Sociali della Regione Lombardia ha spiegato la valenza del presidio socio sanitario territoriale. «La grande scommessa è creare la rete tra ospedali e territorio». Ed ha approfondito. «La sanità lombarda a livello regionale è riconosciuta come una eccellenza nell’ambito dell’assistenza ospedaliera, mentre invece abbiamo una scopertura a livello territoriale con una disintegrazione dei servizi vicini alla persona. La grossa scomessa del nostro futuro è quella di creare la rete tra ospedali e territorio in maniera ribaltata, partendo cioè dal territorio per sgravare l’ospedale specialistico o superspecialistico di tutta una serie di attività che non gli competono. E’ di questi giorni, e continua a ripetersi, il problema dei pronto soccorso intasati e delle difficoltà a dimettere da parte dei reparti fondamentalmente perché sono molto carenti le strutture sia postacute e subacute e riabilitative ma anche quelle di filtro nei confronti del pronto soccorso. La grande scommessa è la creazione dei presidi socio-sanitari territoriali che devono filtrare la patologia media, bassa e bassissima intensità – i codici bianchi e verdi - lasciando quindi ai pronto soccorso ospedalieri la loro vocazione riferita davvero all’emergenza ed urgenza – e contemporaneamente devono ricevere le dimissioni protette da parte degli ospedali, molto più comode e molto più vicino al paziente. Per fare questo ovviamente non può esserci una presa in carico unica ed assoluta né da parte della medicina territoriale né da parte dell’ospedale ma questi presidi, che devono essere gestiti dalla medicina territoriale, devono vedere una fortissima implementazione da parte degli specialisti ospedalieri. Questa è l’occasione per completare l’altro anello che deve essere l’unione tra la rete sanitaria e la rete sociale e sociosanitaria che ormai non possono più continuare a viaggiare su binari paralleli perché a livello territoriale sopratuttto le due tematiche sono una unica tematica». Claudio Zanon, Direttore scientifico di Motore Sanità ha parlato del fondamentale ruolo della prevenzione. «L´aspettativa di vita in Italia è di circa 80 anni, ma incominciamo ad ammalarci di qualche malattia cronica a 55 anni. Di fatti viviamo i 25 ultimi anni della nostra vita da ammalati con un decadimendo progressivo delle condizioni fisiche e cognitive. L´obiettivo è quindi vivere più a lungo ma vivere il più possibile da sani. L´obiettivo è ottenibile reindirizzando maggiori risorse anche verso la prevenzione primaria e secondaria, migliorando gli stili di vita, attuando i suggerimenti dell’Unione Europea sull´invecchiamento in salute, e non trattando come patologia a proprie spese o a carico del servizio sanitarionazionale quello che malattia non è. Ricordiamoci che oggi in Europa gli over 65 sono 75 milioni e nel 2050 saranno 150 milioni! Se non attuiamo il concetto della compressione della morbidità, se non garantiamo un sistema equo e solidale e se reindirizziamo le risorse verso ciò che è veramente significativo per la salvaguardia della salute e del benessere, il sistema nei prossimi anni non sarà più sostenibile. Se non attuiamo il concetto della compressione della morbidità, se non garantiamo un sistema equo e solidale e se reindirizziamo le risorse verso ciò che è veramente significativo per la salvaguardia della salute e del benessere, il sistema nei prossimi anni non sarà più sostenibile». Terzo workshop Nel contesto della “Rete ospedaliera”, in particolare sui parametri di efficienza e riorganizzazione i massimi esperti hanno avanzato proposte sul modello “hub and spoke” e l’intensità di cura; sulla formazione, ricerca ed efficienza; ci si interrogherà sulla qualità, sugli esiti ed aree territoriali e sul numero di posti letto sul territorio nazionale; e ancora si approfondirà lo scenario dei policlinici e gli ospedali di insegnamento. La formazione, la ricerca e l’efficienza sono i temi che sono stati affrontati da Fabrizio Oleari, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità. «In tutti i Paesi industrializzati sono rintracciabili, in tema di salute, due comuni linee di tendenza: da una parte, infatti, sono indubbi i grandi progressi ottenuti dai sistemi di presa in carico (che hanno portato a risultati importanti come la riduzione della mortalità legata alle patologie oppure l’allungamento della speranza di vita alla nascita); dall’altra, però, alcune dinamiche ampiamente consolidate (dalla transizione demografica, all’incidenza crescente delle malattie non trasmissibili; dalla emergenza o riemergenza delle malattie infettive, al passaggio alla cronicità di talune malattie prima a decorso acuto o subacuto; eccetera) costringono gli stessi sistemi di presa in carico a ripensare i modelli e gli strumenti da loro adottati, per tener conto sia delle nuove forme di espressione che la domanda di salute assume, sia delle nuove e più efficaci possibilità di intervento che gli sviluppi della conoscenza – momento dopo momento – propongono. E’ del tutto evidente, allora, come anche in campo sanitario ricerca ed innovazione siano i volani principali della competitività. In particolare, la ricerca sanitaria, secondo le previsioni del decreto legislativo 502 del 1992, deve rispondere al fabbisogno conoscitivo e operativo dell’Servizio sanitario nazionale e, proprio a ragione di ciò, il Piano sanitario nazionale ne definisce gli obiettivi e i settori principali di indagine, alla cui coerente realizzazione è chiamata a contribuire l’intera comunità scientifica nazionale. Su un altro versante, invece, la necessità di rimodulare costantemente i percorsi assistenziali e di meglio orientarli sul paradigma della cronicità (anche per ricercare nuove e più efficienti modalità di impiego dei fattori produttivi) sta facendo assumere un valore inimmaginabile fino a pochi anni fa a pratiche quali il technology assessment, le valutazioni di efficacia delle pratiche cliniche e le valutazioni di impatto economico connesse alle scelte clinico-organizzative. Sia nel campo della ricerca (storicamente consolidato nel nostro Paese, ancorchè disperso in mille rivoli), che nel campo dell’innovazione (al contrario, di recente introduzione come autonoma categoria concettuale) si stanno facendo decisivi passi in avanti e si sono costruiti modelli, la cui esperienza è un riferimento anche per l’estero. Riconosciuti tali meriti, non si deve, però, tacere sulla necessità di superare i punti deboli ancora presenti e, dunque, non si può non evidenziare l’esigenza - prima fra tutte - che il complesso del “Sistema-italia” abbandoni una visione parcellizzata dei problemi da affrontare e che sappia far rete (al suo interno, nello spazio europeo e a livello internazionale) più di quanto già oggi non faccia. Produrre sapere ed innovazione non è, però, un fattore di per sé sufficiente ad assicurare il successo se lo stesso sapere e la stessa innovazione non vengono correttamente introdotti nelle attività sanitarie. Da questa banale osservazione, discende la sottolineatura sull’importanza vitale delle buone pratiche. In questo senso, va rimarcato che il capitale umano è la risorsa più “potente” che una qualsiasi organizzazione possieda. Far esprimere al meglio tale risorsa aumentandone l’attitudine ad operare sulla base delle evidenze clinico-organizzative rappresenta, perciò, un interesse di Sistema, in quanto sinonimo di appropriatezza ed efficienza e, cioè, in quanto garanzia, dal punto di vista dell’interesse della domanda, della migliore presa in carico (tra quelle disponibili) del problema di salute e, dal punto di vista dell’interesse gestionale, dell’uso più adeguato alle circostanze delle risorse disponibili». Luciano Flor, Direttore Generale Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della Provincia Autonoma di Trento ha presentato a Motore Sanità il modello della rete ospedaliera del Trentino. «Partendo dal presupposto che la scelta politica è stata quella di mantenere gli ospedali periferici, per poter sostenere qualità ed economicità abbiamo dovuto studiare dei modelli che facessero dei nostri ospedali una rete ospedaliera vera. Noi non abbiamo più ospedali ma abbiamo sedi ospedaliere di un unico ospedale che stiamo integrando con diversi strumenti, da quelli organizzativi a queli tecnologici a quelli norrmativi. Sosteniamo i professionisti perché lavorino per curare al meglio le persone nella sede più idonea anche se questa non è l’ospedale più vicimo a casa. Stiamo ottenendo buoni risultati e abbiamo avuto dalla riorganizzazione indicatori positivi anche in termini di spesa. Quando lavoriamo cerchiamo di trovare soluzioni che siano applicabili su tutto il nostro territorio. Penso alle esperienze nell’ambito della informatizzazione del nostro sistema sanitario: quando abbiamo visto che funzionavano abbiamo preteso che l’estensione fosse del 100%, che significa che tutti i medici di medicina generale, tutte le farmacie, tutte le strutture convenzionate sono collegate con il sistema informatizzato di cui dispone l’azienda sanitaria, e questo vale anche per tutti i professionisti territoriali, ospedalieri eccetera. Il nostro sistema ospedaliero è una rete e lo strumento informatico è lo strumento indispensabile per fare la rete. Un altro esempio di rete è l’organizzazione dipartimentale in cui i dipartimenti sono tutti e solo a valenza provinciale, non sono di sede negli ospedali: cerchiamo di superare il concetto di area geografica e di organizzazione di servizio per passare a funzioni aziendali». Il Quarto workshop - “Ci sarà nel futuro una sanità europea?” – ha approfondito i seguenti temi: un possibile modello europeo tra Beveridge e Bismarck; il cross border (un’occasione o un problema?), la qualità delle cure e i rimborsi (Drg comunitari?) e la rete europea dei grandi ospedali. L’intervento di Stefano Carugo, Commissione Sanità Regione Lombardia, è stato focalizzato sull’apertura del wellfare alle frontiere europee e del mondo come occasione di opportunità anche lavorative e di completamento del nostro sistema lombardo. «Noi abbiamo un problema sostanziale: l’Europa è il più grande paese vecchio con il suo alto numero di anziani, con la crisi economica e la bassa natalità, e purtroppo in Europa i sistemi sanitari sono diversi da paese a paese. Si sta cercando a livello europeo, ed è anche uno degli scopi della giornata di oggi, di armonizzare i vari sistemi sanitari. La normativa Borg che consente ai pazienti di migrare da uno stato all’altro dell’Unione è una occasione unica per fornire i nostri pazienti di un sistema sanitario europeo sempre più efficace, efficiente e migliore». E’ possibile rivoluzionare il fututo della sanità Europea, secondo Oreste Rossi, della Commissione Sanità Pubblica del Parlamento Europeo che è intervenuto sul tema della “Qualità delle cure e rimborsi: Drg comunitari?”. «L´obiettivo delle nuove regole Ue è creare il giusto equilibrio fra sostenibilità dei sistemi sanitari e protezione dei diritti dei pazienti, che ricevono cure mediche al di fuori del loro paese di residenza. Spetta ora agli Stati Membri garantire questo equilibrio e fare in modo che non ci siano ulteriori "sforbiciate" ai fondi per la sanità pubblica. L´assistenza sanitaria sicura costituisce la chiave di volta di un sistema ospedaliero di qualità e anche un diritto fondamentale riconosciuto per i cittadini europei. Per questo i pazienti si aspettano che sia compiuto ogni sforzo per garantire la loro sicurezza, nelle strutture sanitarie dell´Unione. Mi auguro che questo sia solo il punto di partenza per rivoluzionare il futuro della sanità in Europa». Angelo Lino Del Favero Presidente di Federsanità Anci guarda invece ad una rete per i grandi ospedali europei. Possibile? «Il Servizio Sanitario Nazionale – ha spiegato - sta vivendo una profonda crisi dal punto di vista economico-finanziario: i costi crescono rapidamente e le risorse oggi disponibili potrebbero non essere in grado, nel prossimo futuro, di sostenere la crescente domanda (secondo la Banca Mondiale, la spesa pubblica per i Servizi Sanitari nell’Unione Europea potrebbe salire dall’8% del Pil del 2000 al 14% nel 2030 continuando a crescere anche oltre). Una situazione che è comune alla gran parte dei Paesi europei. In poche parole il Servizio Sanitario Nazionale, creato in un periodo di relativa prosperità (era il 1978), ispirato al principio fondante di solidarietà, pone oggi la questione urgente della sua sostenibilità. Il problema cruciale, infatti, è far quadrare i bilanci, ridurre la spesa, ridisegnare i servizi senza danneggiare le basi sulle quali è stato creato, ovvero l’universalità, l’equità e la qualità del servizio. Oggi siamo di fronte ad una grande sfida: la Direttiva europea 2011/24/Ue, che ha sancito il diritto dei cittadini di recarsi in un altro paese dell’Unione per sottoporsi a trattamenti sanitari, offre l’opportunità di trasformare un obbligo di legge in un’occasione di sviluppo, promuovendo le eccellenze e l’alta specializzazione e creando così attrazione rispetto agli ospedali hub per accordi transfrontalieri su qualità, tariffe e prestazioni. Una rete dei grandi ospedali europei sarebbe auspicabile da una parte per promuovere esempi di buona pratica clinica e organizzativa, documentati e valutati, che possano essere trasferiti ad altri ospedali, dall’altra per facilitare ed incoraggiare la cooperazione e lo scambio di esperienze e iniziative tra ospedali aderenti». Sul contributo dell’industria farmaceutica per una crescita sostenibile si è espresso Massimo Scaccabarozzi, Presidente Farmindustria. «La sostenibilità della spesa in Italia dipende dalla crescita del Pil. Crescita possibile solo se si punta sul contributo dei settori che hanno più alta produttività e Ricerca e Innovazione. Come ad esempio l´industria farmaceutica, primo settore per competitività, come sottolineato dall´Istat e capace di esportare il 70% della produzione, pari a 19 miliardi. E contribuisce in maniera decisiva alla ricerca. Vivere più anni e in migliore salute oggi è possibile anche grazie ai risultati ottenuti con la ricerca e l´innovazione farmaceutica. In Italia dal 1951 ogni 4 mesi se ne è guadagnato uno di vita in più, un fenomeno dovuto per il 40% ai farmaci. La sfida che ci attende è rafforzare il network pubblico-privato per offrire cure sempre più efficaci e rimanere competitivi a livello internazionale nello studio di nuovi medicinali». Infine sul futuro della Sanità Europea e la ricerca indipendente Silvio Garattini, Direttore Istituto Mario Negri – Milano ha spiegato. «La Sanità europea si otterrà a piccole tappe, ma una reale integrazione europea che porti ad un Servizio Sanitario Europeo è un problema che richiederà un’altra generazione. La relazione si concentrerà perciò sulla ricerca indipendente. Oggi l’industria farmaceutica ha in pratica il monopolio nello sviluppo di nuovi farmaci, nonché nell’informazione. Il monopolio ha creato molte distorsioni che tendono a facilitare l’approvazione di farmaci che sono molto simili fra loro mentre mancano farmaci che rispondano alle reali necessità degli ammalati. Per questo è necessario attivare la ricerca indipendente con il fine di realizzare confronti fra farmaci per stabilire i reciproci benefici-rischi, determinare le dosi ottimali e i tempi di trattamento, aumentare la ricerca sulla farmacovigilanza. E’ anche necessario introdurre cambiamenti nella legislazione europea almeno in tre direzioni: rendere possibile l’accesso ai dati, rendere obbligatorio il valore aggiunto, aggiungere uno studio clinico controllato indipendente per l’autorizzazione dei nuovi farmaci».  
   
 

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