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Notiziario Marketpress di Lunedì 10 Marzo 2014
 
   
  COME TI ‘FIRMO’ LA CICATRICE E’ IL BIGLIETTO DA VISITA DEL CHIRURGO. LE TECNICHE PER FARLA DIVENTARE INVISIBILE E QUELLE PER PREVENIRE LE COMPLICANZE

 
   
   Roma, 10 marzo 2014 - L’intervento del professor Claudio Ligresti, chirurgo plastico di Asti, al V Congresso Co.r.te. Di Roma La cicatrice in chirurgia estetica è fondamentale, è la firma del chirurgo che ha eseguito l´intervento e come tale "deve" essere perfetta. In tal senso, il chirurgo estetico valuta prima dell´intervento, sempre con attenzione, le linee di incisione cutanee che corrisponderanno inevitabilmente con le cicatrici, immaginando anche la possibile reazione ai fili di sutura che quel paziente potrà avere. La cicatrice infatti può essere differente da un paziente all´altro, a seconda del tipo di pelle; ad esempio le pelli troppo scure o nere sono più a rischio di cicatrici ipertrofiche e di cheloidi, essendo più ricche di fibroblasti, le cellule deputate alla cicatrizzazione. Tali cellule possono essere presenti in modo esagerato determinando l´ipertrofia cicatriziale o ancor peggio il cheloide. Da ciò si deduce quale problema può nascere quando dopo un intervento di chirurgia estetica, la chirurgia del bello e delle persone sane, si ha una complicanza legata alla cicatrice che ne deriva! Il trattamento. Nella storia della chirurgia estetica sono state proposte varie metodologie di trattamento di cura e di prevenzione delle cicatrici patologiche. Fino a qualche anno fa si eseguivano dermoabrasioni con frese che, a velocità variabile, realizzavano la cosiddetta ‘dermoabrasione’, molto utilizzata ad esempio per le cicatrici da acne. Il paziente soffriva molto per il sanguinamento che ne derivava ed era costretto a lunghi periodi di convalescenza, con esiti non sempre soddisfacenti. Successivamente sono subentrati i laser, che hanno sostituito la dermoabrasione classica con la ‘fotodermoabrasione’ ovvero l´abrasione cutanea con un fascio di luce che ne determina l’esfoliazione a strati, quindi controllata, senza sanguinamento. Il laser a Co2 può, in qualche modo, essere sostituito dall’impiego di acidi speciali – i cosiddetti peeling – con forte potere abrasivo, in grado di determinare un´ustione di 2° grado. Questi acidi (ad esempio il tricloroacetico), sono molto efficaci se utilizzati da specialisti esperti. Il loro uso sconsiderato può al contrario danneggiare la cute in modo irreparabile. Un altro trattamento ancor oggi valido nei casi di cheloidi dolorosi è l´impiego di soluzioni a base di corticoidi diluiti, da iniettare con attenzione per evitare complicazioni quali l´atrofia sottocutanea o la comparsa di capillari circostanti. Va ricordato ancora l´uso della crioterapia, basata sul contatto della cicatrice con la superficie fredda di uno strumento che il medico applica per qualche minuto. Ne deriva in pratica è un´ustione con disepitelizzazione graduale e riparazione della cute, beneficiata da nuove cellule più sane, rispetto a quelle cicatriziali. La medicina rigenerativa applicata alle cicatrici. Le novità degli ultimi anni però sono rappresentate dalla medicina rigenerativa, vero exploit della scienza medica in molti settori, compreso quello dell´estetica. Si parla infatti di medicina biomolecolare, di bioingegneria tessutale con l’uso di materiali autologhi (dello stesso paziente) e coltivati o di origine animale o costruiti in laboratorio, capaci di stimolare i tessuti cutaneo, sottocutaneo, fasciale verso una guarigione anticipata. Alcuni di questi prodotti sono capaci di guidare le cellule deputate alla cicatrizzazione verso una cicatrice ‘ordinata’, cioè con scarsi rischi di divenire patologica, grazie ad una regolazione di alcuni fattori, quali ad esempio le metallo-proteasi, che possono incidere negativamente sulla cicatrizzazione stimolando esagerate quantità di citochinine infiammatorie e di conseguenza una disordinata produzione di fibre collagene, con relative cicatrici patologiche. Ma certamente ancor di più occorre ricordare i fattori di crescita, le cellule staminali che si trovano in soluzioni di derivazione ematica quali il Prp (plasma ricco di piastrine) e gli adipociti trapiantati. Il Prp. Si tratta di un emocomponente che si ottiene con un semplice prelievo ematico del paziente affetto da cicatrice patologica e viene iniettato in corrispondenza della cicatrice. Il suo meccanismo d´azione è semplice: stimola, attraverso l´azione di mediatori chimici cellulari, le cellule dei tessuti interessati dal processo cicatriziale, ‘invitandole’ a generare nuovi vasi sanguigni e nuove cellule, migliori e maggiormente in grado di produrre tessuti non patologici. Il trattamento è ripetibile, ambulatoriale e generalmente non è doloroso. La preparazione di tale emocomponenti viene effettuata presso i Centri Trasfusionali Ospedalieri o presso Ambulatori Medici abilitati all’uso di tale prodotto biologico. Il Prp viene ottenuto utilizzando apparecchiature sofisticate che possono, centrifugando il sangue prelevato dal paziente, produrre il Prp (plasma ricco di piastrine) contenente i fattori di crescita utili alla riparazione tessutale. I risultati sono visibili dopo alcune applicazioni, (almeno 3-4), che si effettuano in media a distanza di 2-3 settimane una dall’altra. A distanza di almeno 2-3 mesi dall’inizio del trattamento, è possibile rilevare una miglior consistenza della cute cicatriziale, con riduzione di ampiezza della stessa. Ma quando fare questa applicazione? In tutte le cicatrici? Anche in quelle recenti, ancora infiammate? Il problema è quando e come fare tale trattamento. Le cicatrici infiammate, arrossate e dolenti non devono essere trattate con tale terapia, essendo il Prp uno stimolo inizialmente di tipo infiammatorio che, soltanto in una seconda fase, determina una reazione positiva di ‘risveglio cellulare’. Tale metodica quindi va riservata a cicatrici ‘stanche’, da tempo un po’ assopite in una forma clinica di cicatrice stabilizzata in fase ormai di quiescenza, cioè non attiva. Il trapianto di grasso. E’ ogi un altro trattamento di grande richiamo, sotto forma di ‘lipofilling’. E´ un trapianto di cellule adipose prelevate al paziente con una miniliposuzione, preferibilmente in zone elettive (periombelicale, interno ginocchio) ed iniettate in sede di cicatrice. La sua azione è duplice: di riempimento nei casi di cicatrici atrofiche o avallate e di stimolo verso le altre cellule adipose presenti nel paziente. Questa metodica, occorre sia eseguita con ricovero,può essere effettuata anche in day hospital, in sala operatoria e in anestesia locale. Mentre il Prp ha essenzialmente un’azione ‘infiammatoria’ e di stimolo, il grasso trapiantato stimola le cellule adipose presenti nel sottocute ricevente a formare nuove cellule, senza determinare flogosi. Pertanto è una metodica attuabile anche in fase di cicatrizzazione recente, non ancora stabilizzata. Anch´essa è ripetibile ad intervalli di 2-3 mesi, per il riassorbimento fisiologico di parte del grasso trapiantato. Oggi queste due metodiche, Prp e lipofilling, spesso vengono utilizzate mixandole ed ottenendo una riduzione d´ampiezza della cicatrice ed un miglioramento globale della stessa. La prevenzione. Elemento essenziale per le cicatrici la prevenzione: protezione solare, attesa prima di riprendere una certa mobilità, uso di particolari ‘cerotti’ che mantengono stabile la cicatrice anche per lungo tempo (2-3 mesi). Sulle cicatrici ‘a rischio’ di diventare ipertrofiche, possono essere applicate delle membrane di silicone, molto usate nei centri ustionati, ma anche in vendita nelle farmacie in formati ridotti, utili per cicatrici di piccole dimensioni. Ad esse si associano anche pomate specifiche che possono diventare un discreto strumento per le cicatrici non eccessivamente ipertrofiche. Tali pomate o gel contengono varie molecole, quali ad esempio silicone, allantoina, urea, eparina, bisabololo. Va ricordato poi ai pazienti che hanno subito un intervento chirurgico, che la ripresa alle normali attività deve essere cauta e graduale; il paziente deve sempre seguire il consiglio del chirurgo, che valuterà tempi e modi per il recupero delle varie funzioni corporee. E’ impensabile , ad esempio fare una bella camminata di qualche chilometro dopo un intervento di lifting di cosce per eccesso di cute. Il movimento è concesso, ma con razionalità e nei modi nei tempi corretti. Lo stesso dicasi per l’igiene quotidiana: dopo un intervento chirurgico al seno, di mastoplastica estetica , la doccia o ancor peggio il bagno, possono essere autorizzati solo dal chirurgo e soltanto dopo l’avvenuta cicatrizzazione della ferita. Oggi esistono cerotti idrorepellenti che possono permettere di fare la doccia anche in una fase precoce della cicatrizzazione, ma occorre comunque avere tale presidio, saperlo applicare correttamente e verificare comunque che l’acqua non sia penetrata al di sotto. Forse quindi la cosa migliore è attendere la famosa settimana post-operatoria, con relativa rimozione punti, prima di bagnarsi! E’ anche molto importante la prevenzione di complicanze, quali macchie scure, iperemie ed arrossamenti permanenti delle cicatrici esposte prematuramente ai raggi solari o ancor peggio all’azione di raggi Uvb. E’ ormai certo che i raggi solari, prima di donare un aspetto rilassato attraverso l’abbronzatura, sono responsabili di fenomeni infiammatori legati al surriscaldamento della cute, a maggior ragione a livello di cicatrici recenti, che sono di per se infiammate; è necessario in questo caso fare prevenzione con una fotoprotezione alta, almeno 50C, per un periodo non inferiore a 3 mesi. Ovviamente molto dipende dal tipo di carnagione, dai pregressi fenomeni infiammatori avuti da quel paziente dopo interventi chirurgici, dalla sua storia clinica e dal tipo di intervento subito. Ancora più importante deve essere la foto protezione se l’area anatomica interessata ha ancora esiti visibili di emorragia, quali ecchimosi (lividi), che possono purtroppo trasformarsi in macchie definitive, se vengono esposte ai raggi solari. Quindi molta attenzione e soprattutto pazienza : il tempo è un grande amico della chirurgia e spesso riduce di un buon 50% alcuni problemi post-traumatici o post-chirurgici, che sembrano all’origine di tipo insormontabile.  
   
 

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