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Notiziario Marketpress di Lunedì 10 Marzo 2014
 
   
  INGEGNERIA TISSUTALE E CELLULE STAMINALI NELLA GESTIONE DELLE FERITE CUORE, SISTEMA NERVOSO CENTRALE E TESSUTI MUSCOLO-SCHELETRICI SONO ANCORA IN FASE DI STUDIO, MA È IL FEGATO A DARE NEI TRIAL I RISULTATI PIÙ PROMETTENTI E INCORAGGIANTI

 
   
  Roma, 10 marzo 2014 - L’intervento del Professor Sandro Giannini, direttore della clinica ortopedica dell´Istituto Rizzoli di Bologna, al V Congresso Co.r.te. Di Roma Quello dell’ingegneria tissutale è un settore ancora considerato futuribile, eppure ha festeggiato lo scorso anno il suo 25° compleanno. In questo quarto di secolo i ricercatori hanno lavorato con una serie quasi infinita di combinazioni tra biomateriali, fattori di crescita e cellule staminali da utilizzare per lo sviluppo di prodotti per la riparazione tissutale. Tra i tessuti ‘Frankenstein’ attualmente oggetto di trial clinici con le cellule staminali mesenchimali ci sono il muscolo cardiaco, il fegato, il sistema nervoso centrale e i tessuti muscolo-scheletrici (Kramer et al. Clinical perspective of mesenchymal stem cells. Stem cell International 2012). Al momento, i risultati più promettenti a livello di ricerca, sono stati ottenuti sul fegato. Molti di questi prodotti hanno superato la fase preclinica e sono attualmente oggetto di verifiche di sicurezza e di efficacia in trial clinici di fase I-iii. La maggior parte dei trial in corso sono in fase I-ii, hanno cioè come oggetto la dimostrazione della sicurezza più che dell’efficacia di questi prodotti. Per ‘efficacia’ invece, nella maggior parte degli studi si intende la rigenerazione del tessuto che ha ricevuto un trauma o che è degenerato. La maggior parte di questi studi clinici viene condotto presso centri universitari in Europa e negli Stati Uniti, anche se ultimamente il numero di trial condotti in Asia e in particolare in Cina, sta aumentando. E l’Italia non sta a guardare: in una recente review, su 4.749 studi clinici censiti, ben 158 erano italiani (Li et al The global landscape of stem cells clinical trials. Regenerative Medicine 2014). Per quanto riguarda l’impiego delle cellule staminali, questo diventerà sempre più comune man mano che si otterranno dimostrazioni inconfutabili di efficacia in trial clinici randomizzati per patologie prive attualmente di prospettive terapeutiche. Il tempo necessario perché le cellule staminali diventino oggetto comune nella pratica clinica sarà inversamente proporzionale agli investimenti che verranno fatti nel prossimo decennio in questo settore. La transizione dalla ricerca scientifica alla pratica clinica è sicuramente un indicatore di maturità del settore. Per avere una dimensione, sicuramente in difetto, del numero di trial clinici in atto in Europa al 2011, possiamo citare il sondaggio a carattere volontario effettuato su 126 gruppi, in cui risultavano 1.759 pazienti arruolati in trial clinici (Martin I. Et al. The Survey on Cellular and Engineered Tissue therapies in Europe in 2011, Tissue Engineering 2014). Alla ricerca delle migliori fonti di staminali. Nonostante le numerose evidenze sull’efficacia di queste cellule e il numero di trial clinici in costante aumento, rimangono ancora senza una chiara risposta una serie di domande, quali se sia preferibile usare le cellule staminali di origine midollare o quelle prelevate dal tessuto adiposo. Come è noto dalla letteratura scientifica le cellule staminali sono presenti in quasi tutti i tessuti dell’adulto, ma il numero di cellule che è possibile isolare e le caratteristiche delle stesse variano molto da tessuto a tessuto; pertanto, resta da definire qual è la migliore fonte di cellule staminali per le diverse applicazioni. Le fonti più promettenti di cellule staminali mesenchimali sono il midollo e il tessuto adiposo. Entrambi i tessuti hanno delle caratteristiche peculiari e delle criticità. Il midollo è la fonte elettiva delle cellule staminali mesenchimali, da un punto di vista storico, visto che è stato individuato come sorgente di staminali già nel lontano 1966 (Friedenstein et al. J Emrbyol Exp Morhol 1966); il tessuto adiposo invece è stato scoperto come sorgente di staminali mesenchimali solo in epoca molto più recente, nel 2001 (Zuk, Tissue Engineering 2001). Oggi molti ricercatori preferiscono utilizzare le cellule staminali di derivazione dal grasso principalmente perché il tessuto adiposo in alcuni individui è presente in quantità notevole e quindi non esistono i limiti di ‘materia prima’ presenti invece con il midollo; dal grasso è possibile estrarre quantità notevoli di cellule staminali mesenchimali. Il numero di cellule che si può ottenere da un tessuto è sicuramente un aspetto da tenere in considerazione; va però tenuto anche presente che le cellule derivate da midollo hanno una maggior osteogenicità, mentre quelle da tessuto adiposo sono più ‘vocate’ ad indurre l’angiogenesi; di conseguenza la scelta della sorgente deve essere suggerita anche per il ruolo richiesto alle cellule staminali nella specifica applicazione clinica di interesse. Oltre a midollo e tessuto adiposo, soprattutto in ambito di ricerca sono sempre di più gli studi che utilizzano i tessuti di origine fetale come sorgente di staminali. Prelevare staminali dalla placenta e dal cordone ombelicale non è difficile e non presenta implicazioni etiche; le cellule derivate da questi tessuti presentano inoltre una maggiore staminalità. Nonostante queste caratteristiche favorevoli tuttavia l’impiego di cellule staminali derivate da questi tessuti è ancora limitato. Staminali autologhe o non autologhe? Questo è il problema. Attualmente, la maggior parte delle applicazioni di cellule staminali prevede l’uso di cellule autologhe (cioè derivate dallo stesso soggetto sul quale verranno poi utilizzato a scopo terapeutico); resta ancora da definire bene il ruolo delle cellule di origine allogenica (cioè prelevate da un donatore diverso dal ricevente). Nonostante l’uso autologo sia al momento preponderante, i trial che utilizzano cellule non autologhe è in costante aumento; questo trend fa supporre che ci siano risultati sufficienti per ritenere sicure anche le staminali non autologhe nella pratica clinica. Un aspetto molto importante è infatti la possibilità di utilizzare cellule provenienti da un donatore universale. Le cellule staminali mesenchimali infatti non presentano sulla loro membrana cellulare i complessi di istocompatibilità e quindi hanno un peculiare privilegio immunologico che permette loro di ‘nascondersi’ alla risposta immunitaria nell’individuo ricevente. La possibilità di utilizzare trapianti allogenici è particolarmente importante nel caso in cui le cellule del paziente non siano utilizzate o disponibili al momento dell’impianto. La ‘dose’ giusta di staminali da utilizzare e come procurarsene una quantita’ sufficiente. Un aspetto molto rilevante per i trial clinici sulle staminali riguarda il concetto di ‘dose minima efficace’ delle cellule staminali, il cui meccanismo di azione non è ancora stato definito completamente. In alcuni trial clinici le cellule staminali vengono ottenute mediante l’utilizzo di sistemi di concentrazione, in una procedura comunemente detta a ‘single-step’ (una procedura che prevede che le cellule vengano prelevate, isolate e impiantate in un unico intervento); in altri, le cellule staminali mesenchimali vengo espanse ex-vivo. L’espansione viene effettuata seminando le cellule prelevate in laboratorio all’interno di apposite camere di coltura, tenute in un incubatore che simula le condizioni del corpo. Man mano che il numero delle cellule cresce, queste vengono seminate in una superficie di coltura maggiore, fino a raggiungere il numero desiderato.  
   
 

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