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Notiziario Marketpress di Mercoledì 21 Maggio 2014
 
   
  GIUSTIZIA EUROPEA: A PARERE DELL’AVVOCATO GENERALE MACIEJ SZPUNAR, UNO STATO MEMBRO NON PUÒ SUBORDINARE IL DIRITTO D’INGRESSO DI UN CITTADINO DI UNO STATO TERZO AL PREVIO OTTENIMENTO DI UN VISTO, LADDOVE QUESTI SIA GIÀ TITOLARE DI UNA «CARTA DI SOGGIORNO DI FAMILIARE DI UN CITTADINO DELL’UNIONE» RILASCIATA DA UN ALTRO STATO MEMBRO

 
   
   Lussemburgo, 21 maggio 2014 - Una direttiva dell’Unione prevede che il possesso di una carta di soggiorno in corso di validità dispensa i cittadini di Stati terzi, familiari di un cittadino dell’Unione, dall’obbligo di ottenimento di un visto d’ingresso. Tuttavia, gli Stati membri possono adottare le misure necessarie per negare, annullare o revocare qualsiasi diritto riconosciuto da tale direttiva in caso di abusi o di frodi, quali i matrimoni compiacenti. Qualsiasi misura di tal genere dev’essere proporzionata e soggetta alle garanzie procedurali previste. Il sig. Sean Ambrose Mccarthy possiede la doppia nazionalità, britannica e irlandese. È coniugato con una cittadina colombiana da cui ha avuto una figlia. La famiglia risiede, dal 2010, in Spagna ove possiede una casa. I coniugi Mccarthy possiedono parimenti una casa nel Regno Unito ove si recano regolarmente. La Sig.ra Helena Patricia Mccarthy è titolare di una «carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione» («carta di soggiorno») rilasciata dalle autorità spagnole. In base alle disposizioni britanniche in materia di immigrazione, i titolari di una carta di tal genere devono richiedere, per potersi recare nel Regno Unito, un permesso d’ingresso («titolo familiare See»), valido per una durata di sei mesi. Tale titolo familiare può essere rinnovato, a condizione che il suo titolare si rechi personalmente presso una rappresentanza diplomatica del Regno Unito all’estero e compili il formulario contenente dettagli relativi alle proprie risorse economiche ed alla propria situazione professionale. Ritenendo che tali disposizioni nazionali costituiscano violazione dei propri diritti di libera circolazione, la famiglia Mccarthy, nel 2012, ha presentato ricorso dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) (Regno Unito). Detto giudice chiede alla Corte di giustizia se, con riguardo alla direttiva ed al protocollo n. 20 , i cittadini di Stati terzi possano essere obbligati, in modo generale, all’obbligo di ottenimento di un visto al fine di poter fare ingresso sul territorio britannico, quando siano già titolari di una carta di soggiorno. Nelle conclusioni odierne, l’avvocato generale, Maciej Szpunar, esamina anzitutto l’applicabilità della direttiva alla situazione della famiglia Mccarthy. Suggerisce, a tal riguardo, di seguire un’interpretazione ampia della direttiva. A suo parere, la direttiva deve trovare applicazione nel caso in cui un cittadino dell’Unione, dopo aver esercitato il proprio diritto di libera circolazione ed abbia effettivamente soggiornato in un altro Stato membro, decida di spostarsi, con i propri familiari aventi nazionalità di uno Stato terzo, verso lo Stato membro di cui possieda la nazionalità. Tale interpretazione risulta avvalorata non solo con riguardo al ruolo svolto, allo stato attuale del diritto dell’Unione, dalla cittadinanza, bensì parimenti alla luce della pertinente giurisprudenza della Corte . Nell’ipotesi in cui la Corte non dovesse accogliere questa prima proposta, l’avvocato generale suggerisce di applicare la direttiva 2004/38, quantomeno, ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari muniti della nazionalità di uno Stato terzo che esercitino effettivamente la propria libertà di circolazione soggiornando in un altro Stato membro simultaneamente a spostamenti di breve durata verso lo Stato membro di cui i cittadini medesimi possiedano la nazionalità. Questa seconda proposta riguarda esclusivamente il diritto d’ingresso e di soggiorno di breve durata. L’avvocato generale esamina, poi, se e in qual misura la direttiva consenta ad uno Stato membro, al fine di far fronte a «sistematici abusi» nel rilascio delle carte di soggiorno, di esigere il previo rilascio di un visto d’ingresso, qualora tale obbligo generale e preventivo non si fondi sul previo accertamento di un abuso concreto. L’avvocato generale Szpunar osserva, a tal riguardo, che una misura di applicazione generale, come quella prevista dal Regno Unito, svuoterebbe di contenuto le garanzie procedurali previste dalla direttiva. A suo parere, la sospensione sistematica dei diritti riconosciuti dalla direttiva non dà né al giudice nazionale né alla Corte la possibilità di verificare se sussistano effettivamente i requisiti sulla base dei quali le autorità del Regno Unito hanno negato tale diritto alla famiglia Mccarthy. L’avvocato generale ritiene che gli elementi di prova dedotti dal Regno Unito non possano essere considerati quali prove concrete connesse al comportamento individuale della famiglia Mccarthy. A tal riguardo, rammenta che il comportamento di tale famiglia non ha costituito un abuso ai sensi della normativa dell’Unione e ricorda parimenti che una presunzione generale di frode non può essere sufficiente per giustificare una misura che pregiudichi gli obiettivi del Tfue. La valutazione nei confronti dei comportamenti abusivi spetta, in linea di principio, ai giudici nazionali, ma le loro valutazioni non devono in alcun caso compromettere l’uniformità e l’efficacia del diritto dell’Unione. Per quanto attiene al titolo familiare britannico, l’avvocato generale ritiene che questo equivalga, semplicemente, ad un obbligo di visto, contrario non solo alla direttiva, bensì parimenti agli obiettivi ed al sistema stesso di quest’ultima. Conseguentemente, qualora sussistano i requisiti che consentano ad un cittadino di uno Stato terzo familiare di un cittadino dell’Unione di beneficiare del diritto di libera circolazione sulla base del diritto dell’Unione, la relativa carta di soggiorno deve essere riconosciuta dagli Stati membri. A parere dell’avvocato generale Szpunar, consentire ad uno Stato membro di ignorare la carta di soggiorno rilasciata da un altro Stato membro, risulterebbe in contrasto con il principio di mutuo riconoscimento. Le autorità amministrative e giudiziarie di uno Stato membro sono, infatti, tenute a rispettare i certificati e gli analoghi atti rilasciati, in materia di stato civile delle persone, dalle competenti autorità degli altri Stati membri, salvo che la loro esattezza non risulti seriamente messa in dubbio da concreti indizi connessi al singolo caso concreto. Peraltro, accettare l’attuazione delle misure di applicazione generale previste dal Regno Unito equivarrebbe a consentire a tale Stato membro di eludere il diritto alla libera circolazione, tanto più che altri Stati membri potrebbero anch’essi adottare misure analoghe e sospendere unilateralmente l’applicazione della direttiva. L’avvocato generale Szpunar conclude che la direttiva non consente ad uno Stato membro di adottare una misura di applicazione generale come quella in esame nella specie (vale a dire, una misura consistente a negare la dispensa dal visto ai familiari di un cittadino dell’Unione, titolari di una valida carta di soggiorno rilasciata da un altro Stato membro), qualora tale misura sia di ordine preventivo e non si fondi sul previo accertamento di un abuso concreto. Infine, per quanto attiene al protocollo n. 20, l’avvocato generale rileva che questo non mira ad attribuire privilegi particolari al Regno Unito, bensì è stato adottato per tener conto del desiderio di detto Stato membro di mantenere, da un lato, i controlli alle frontiere nei confronti della maggior parte degli Stati membri e, dall’altro, la «zona di libero spostamento» esistente con l’Irlanda. I controlli alle frontiere sono, segnatamente, volti a verificare se le persone interessate siano legittimate a fare ingresso sul territorio del Regno Unito. Tuttavia, tale verifica non autorizza il Regno Unito a negare unilateralmente l’ingresso dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari titolari di una carta di soggiorno imponendo loro, in modo generale, di ottenere e di presentare alle sue frontiere un documento supplementare non previsto dal diritto dell’Unione.  
   
 

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