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Notiziario Marketpress di Martedì 08 Luglio 2014
 
   
  GIUSTIZIA EUROPEA: STABILENDO LA DURATA MASSIMA DI UN ANNO PER I CONTRATTI DEI MARITTIMI A TEMPO DETERMINATO STIPULATI IN SUCCESSIONE E PREVEDENDO UNA SANZIONE NELL’IPOTESI DEL LORO USO ABUSIVO, LA NORMATIVA ITALIANA SODDISFA I PRINCIPI DEL DIRITTO DELL’UNIONE

 
   
   Lussemburgo, 8 luglio 2014 - In Italia, i contratti di lavoro dei marittimi sono disciplinati dal codice della navigazione . Questo codice stabilisce come pari a un anno la durata massima dei contratti a tempo determinato e impone di menzionare la data di inizio e di scadenza del contratto. Qualsiasi contratto concluso per una durata superiore a un anno è trasformato in contratto a tempo indeterminato. Nell’ipotesi in cui diversi contratti siano conclusi per un tempo determinato o per viaggi precisi, il lavoro è considerato come ininterrotto quando tra i due contratti decorre un termine massimo di 60 giorni. Questi rapporti di lavoro non sono soggetti pertanto alla normativa che è stata adottata specificamente per recepire l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso tra le organizzazioni sindacali generali . Questo accordo quadro determina i principi generali e le prescrizioni minime relative al lavoro a tempo determinato e fissa un quadro generale destinato a garantire la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato. I sigg. Maurizio Fiamingo, Leonardo Zappalà, Francesco Rotondo e le altre parti in causa sono marittimi iscritti nel registro della gente di mare. Successivamente al 2001, essi sono stati assunti dalla Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) in base a una successione di contratti a tempo determinato conclusi per uno o più viaggi e per un massimo di 78 giorni. I marittimi in questione erano imbarcati su traghetti per effettuare un tragitto tra la Sicilia e la Calabria (Messina/villa San Giovanni, Messina/reggio Calabria). Essi hanno lavorato al servizio della Rfi per meno di un anno, e ogni volta tra due contratti è intercorso un periodo inferiore a 60 giorni. Ritenendo che i loro contratti di lavoro a tempo determinato fossero stati risolti illegalmente, i citati marittimi hanno adito un giudice italiano chiedendo la declaratoria di nullità dei contratti e la loro trasformazione in rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Essi chiedono anche di essere reintegrati e di essere risarciti del danno sofferto. Investita della controversia in ultimo grado, la Corte di cassazione chiede alla Corte di giustizia se l’accordo quadro si applichi al lavoro marittimo e se consenta una normativa nazionale la quale (i) prevede che i contratti a tempo determinato debbono indicare la durata del contratto (ma non il loro termine), (ii) considera come giustificazione oggettiva la mera indicazione del viaggio o dei viaggi da effettuare e (iii) prevede la trasformazione di una successione di contratti a tempo determinato in un rapporto a tempo indeterminato nel caso in cui il lavoratore sia stato impiegato ininterrottamente per più di un anno (tenendo presente che rapporto di lavoro si considera ininterrotto quando i contratti sono separati da un intervallo pari o inferiore a 60 giorni) . Nella sua odierna sentenza, la Corte ricorda anzitutto che l’ambito d’applicazione dell’accordo quadro concerne l’insieme dei «lavoratori a tempo determinato», indipendentemente dalla qualità pubblica o privata del datore di lavoro, e che i contratti dei marittimi non sono esclusi da questo accordo quadro. La Corte constata pertanto che lavoratori come quelli in questione nel caso di specie (ossia lavoratori i quali, occupati come marittimi in base a una successione di contratti a tempo determinato, effettuano su traghetti un tragitto tra due porti situati in un medesimo Stato membro) rientrano nella sfera d’applicazione dell’accordo quadro, in quanto quest’ultimo non esclude nessun settore in particolare. La Corte aggiunge che la convenzione sul lavoro marittimo del 2006 («Clm 2006»), la quale figura in allegato alla direttiva sul lavoro marittimo , non si applica ai marittimi occupati su battelli che navigano esclusivamente nelle acque interne (come nel caso di specie). La Clm 2006 però, al pari delle altre disposizioni dell’Unione relative al settore marittimo, non contiene norme destinate a garantire l’applicazione del divieto di discriminazione ai lavoratori a tempo determinato o a prevenire gli abusi derivanti dall’uso di una successione di contratti a tempo determinato. Da ciò deriva che, ai marittimi si applica qualsiasi altra disposizione dell’Unione più specifica o che offra una tutela più elevata. Tale è il caso dell’accordo quadro. Peraltro, la Corte dichiara che, poiché l’accordo quadro non contiene nessuna disposizione in merito alle formule che devono comparire nei contratti a tempo determinato, l’Italia era legittimata, in base al diritto dell’Unione, a prevedere nella propria normativa che debba essere menzionata solo la durata del contratto (e non il suo termine). La Corte ricorda poi che l’accordo quadro si basa sull’idea che uno degli elementi di maggiore importanza per la tutela dei lavoratori è la stabilità del posto di lavoro. Al fine di prevenire l’uso abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, l’accordo quadro impone agli Stati membri di prevedere o le ragioni obiettive che giustifichino il rinnovo del contratto o la durata massima totale dei contratti o ancora il numero di possibili rinnovi del contratto. Viceversa, esso non li obbliga a prevedere la trasformazione di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato e non prescrive le condizioni in presenza delle quali si può fare uso di contratti a tempo indeterminato, purché il diritto nazionale − a prescindere dalla misura scelta − prevenga in modo efficace l’uso abusivo di contratti a tempo determinato. Le autorità nazionali devono adottare pertanto misure proporzionate, energiche e dissuasive per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro. Secondo la Corte, la normativa italiana soddisfa questi requisiti, poiché prevede sia una misura preventiva (durata massima di un anno per i contratti a tempo determinato stipulati in successione) sia una sanzione in caso di abuso (trasformazione dei contratti a tempo determinato stipulati in successione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando un lavoratore è stato occupato ininterrottamente dallo stesso datore di lavoro per più di un anno). Quando sono chiamati a pronunciarsi su una successione di contratti a tempo determinato, i giudici nazionali devono esaminare le circostanze del caso di specie, prendendo in considerazione il numero di contratti successivi conclusi con la stessa persona o per lo svolgimento di un medesimo lavoro, in modo da escludere qualsiasi uso abusivo di contratti del genere da parte del datore di lavoro. La Corte sottolinea parimenti che un abuso potrebbe essere constatato qualora la durata massima fosse calcolata in funzione non del numero di giorni di calendario coperti dai contratti, bensì del numero di giornate lavorative effettivamente prestate dal lavoratore (segnatamente quando quest’ultimo numero sia nettamente inferiore al primo a causa della debole frequenza dei tragitti).  
   
 

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