|
|
|
 |
  |
 |
|
Notiziario Marketpress di
Lunedì 22 Settembre 2014 |
|
|
  |
|
|
GIUSTIZIA EUROPEA: IL SALARIO MINIMO PRESCRITTO FRA I REQUISITI DI UN APPALTO PUBBLICO NON PUÒ ESSERE ESTESO AI LAVORATORI DI UN SUBAPPALTATORE STABILITO IN UN ALTRO STATO MEMBRO, QUANDO QUESTI ESEGUONO L´APPALTO ESCLUSIVAMENTE IN TALE ALTRO STATO
|
|
|
 |
|
|
Lussemburgo, 22 settembre 2014 - Una legge del Land Renania Settentrionale-vestfalia (Germania) prevede che taluni appalti pubblici di servizi possano essere aggiudicati solo a imprese che, al momento della presentazione dell´offerta, si siano impegnate a versare al loro personale una retribuzione oraria minima di Eur 8,62. Tale legge mira a garantire che ai lavoratori venga versata una congrua retribuzione per evitare sia il «dumping sociale» sia la penalizzazione delle imprese concorrenti che concedono una congrua retribuzione ai loro dipendenti. Nell´ambito di un bando di gara avente ad oggetto un appalto pubblico per la digitalizzazione di documenti e la conversione di dati per il suo servizio urbanistico, la città di Dortmund ha preteso, in applicazione di tale legge, che fosse garantito il salario minimo di Eur 8,62 ai lavoratori impiegati da un subappaltatore stabilito in un altro Stato membro (la Polonia) di cui l´offerente intendeva avvalersi e che eseguivano l´appalto esclusivamente in detto Stato. Nutrendo dubbi sulla compatibilità della normativa (come applicata dalla città di Dortmund) con il diritto dell´Unione e, in particolare, con la libera prestazione dei servizi, il giudice tedesco competente in materia di appalti pubblici, adito dalla Bundesdruckerei, un´impresa tedesca interessata a tale bando di gara, si è rivolta alla Corte di giustizia. Con sentenza odierna, la Corte risponde che, nel caso in cui, come nella fattispecie, un offerente intenda eseguire un appalto pubblico avvalendosi esclusivamente di lavoratori impiegati da un subappaltatore stabilito in uno Stato membro diverso da quello a cui appartiene l’amministrazione aggiudicatrice, la libera prestazione dei servizi non ammette che lo Stato membro a cui appartiene tale amministrazione aggiudicatrice obblighi il subappaltatore a versare ai lavoratori un salario minimo. La Corte constata innanzitutto che una tale normativa comporta una restrizione alla libera prestazione dei servizi. Infatti, l’imposizione di una retribuzione minima ai subappaltatori di un offerente stabiliti in un altro Stato membro, in cui le tariffe salariali minime sono inferiori, costituisce un onere economico supplementare, atto ad impedire, ostacolare o rendere meno attraente l’esecuzione delle loro prestazioni in tale altro Stato membro. La Corte osserva peraltro che una tale normativa può essere giustificata in linea di principio dall’obiettivo della protezione dei lavoratori. Tuttavia, nei limiti in cui si applica ai soli appalti pubblici, una tale normativa non è idonea a raggiungere detto obiettivo se non vi sono elementi che indichino che lavoratori attivi sul mercato privato non hanno bisogno della medesima protezione salariale di quelli operanti nell’ambito degli appalti pubblici. In ogni caso, la normativa nazionale in questione, nei limiti in cui il suo ambito di applicazione si estende a una situazione come quella di cui trattasi, appare sproporzionata. Imponendo, infatti, un salario minimo fisso che corrisponde sì a quello richiesto per assicurare ai lavoratori in Germania una retribuzione congrua con riferimento al costo della vita in tale Stato, ma che non ha alcun rapporto con il costo della vita nello Stato membro in cui le prestazioni relative all’appalto pubblico saranno effettuate (la Polonia) e che non consentirebbe, di conseguenza, ai subappaltatori stabiliti in quest’ultimo Stato membro di trarre un vantaggio concorrenziale dalle differenze esistenti tra le rispettive tariffe salariali, una siffatta normativa va oltre quanto è necessario per assicurare il raggiungimento dell’obiettivo della protezione dei lavoratori. |
|
|
|
|
|
<<BACK |
|
|
|
|
|
|
|