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Notiziario Marketpress di Giovedì 12 Febbraio 2015
 
   
  IFIIT MONTHLY REPORT INDICE IFIIT DEL MESE FEBBRAIO 2015

 
   
  Milano, 12 febbraio 2015 - Quadro di sintesi dei dati rilevati nel mese. La propensione della base imprenditoriale ad investire in strumenti e soluzioni legate all’innovazione tecnologica comincia a mostrare segnali di ripresa. Anche se debolmente, l’Indice Ifiit torna a risalire e raggiunge quota 33,60 punti rispetto ai 32,80 del mese precedente. Si tratta di uno scatto morbido, ma abbastanza significativo dopo un anno piuttosto inconcludente. La base produttiva concorda sulla possibilità che l’economia europea e nazionale possa trovarsi alla vigilia di una ripresa grazie all’avvio di un nuovo ciclo, anche se il quadro internazionale permane incerto soprattutto per questioni geo-politiche. Il consolidamento della ripresa negli Stati Uniti in un quadro di tenuta della crescita mondiale e dei consumi asiatici, il minor costo delle materie prime e il piano di alleggerimento monetario avviato dalla Banca Centrale Europea sono i principali elementi su cui si basano le ragioni che inducono all’ottimismo. La vera sfida, secondo una parte del mondo produttivo, è costituita dai consumi interni, che potrebbero non riprendersi a breve, con l’effetto di costringere gli operatori stessi a ridurre al massimo i rischi degli investimenti e a considerare scenari solo su periodi a medio e a lungo termine (vedi approfondimento). I settori che in questa fase congiunturale segnalano i più alti livelli di fiducia sugli investimenti in innovazione tecnologica sono: le macchine utensili, la meccanica fine, la sicurezza, la domotica e il farmaceutico. Stabili i comparti della moda e dell’abbigliamento, il bancario-assicurativo, i servizi di telecomunicazione. Restano al di sotto della media i livelli di fiducia nel commercio al dettaglio, nell’edilizia (in risalita però quest’ultima rispetto ai mesi precedenti) e nelle attività legate alle microimprese, alle attività artigianali e professionali. Il 74% degli intervistati sostiene che il nostro Paese mantiene alto il gap di competitività digitale con gli altri Paesi più industrializzati. Il freno a mano delle banche e l’acceleratore sociale- Nell’ultima fase dell’anno 2014 le principali banche italiane hanno manifestato una grande cautela nell’erogazione di credito. I prestiti da parte degli istituti hanno subito una flessione che solo in parte si spiega con la presenza di una domanda debole e altalenante. Alcuni osservatori, come Prometeia e Scenari Economici, hanno sottolineato con diverse sfumature che l’esito del Comprehensive Assessment non è stato favorevole al sistema bancario italiano, impedendone – più che favorendone – l’allargamento del dinamismo del credito. Si consideri che l’attività di monitoraggio della Banca Centrale Europea sui 15 gruppi bancari che da novembre sono passati sotto la vigilanza dell’Eurotower di Francoforte (con la procedura denominata Srep: Supervision Review and Evaluation Process) sembra orientata alla richiesta di requisiti ancora più stringenti dal punto di vista patrimoniale, con l’effetto di calamitare capitali e risorse all’interno degli istituti stessi. A ciò si aggiunga che il decreto sulla riforma delle banche popolari messo a punto a metà gennaio 2015 indurrà i dieci istituti interessati a ripensare il loro modello organizzativo, a tagliare i costi, a ripensare le strategie e, soprattutto, a valutare gli indici di patrimonializzazione prima di operare ogni altra scelta. In questo quadro, nonostante la presenza del Quantitative easing annunciato dal presidente della Bce Mario Draghi lo scorso 22 gennaio, è altamente probabile che agli sportelli dei più grandi gruppi bancari il livello della prudenza sarà innalzato, con una possibile restrizione del credito sul breve periodo (le sofferenze bancarie nel frattempo sono salite a circa 180 miliardi di euro). La domanda di beni di investimento da parte delle imprese dovrà attendere ancora un po’ e sarà inevitabilmente più agganciata ai segnali della ripresa internazionale, al recupero dei profitti, al consolidamento della politica monetaria espansiva da parte della Bce e agli effetti di questi fattori sulla ripresa dei consumi. Diversi istituti di ricerca come Ref, Prometeia e Centro Studi Confindustria hanno stimato che sono almeno 12 – 13 i miliardi di euro che le famiglie italiane si ritroveranno in portafoglio nel 2015 a seguito del calo dei prezzi (energetici e generalizzati). Un reddito disponibile che in parte sarà destinato al risparmio (i timori legati al futuro restano ancora alti) e in parte sarà destinato all’acquisizione di beni durevoli (auto, casa, etc.). E’ dunque auspicabile che tutto ciò si traduca in un potenziale rilancio della spesa per consumi che potrebbe ossigenare una parte delle imprese. In questo scenario è possibile che gli operatori industriali possano irrobustire la propensione agli investimenti e alla messa in atto di piani di intervento organizzativo e produttivo a partire dalla metà dell’anno, in concomitanza con fattori congiunturali e istituzionali (applicazione Dl Competitività, nuova legge Sabatini, fondo di garanzia per Pmi, sgravi fiscali, oltre al pagamento dei debiti commerciali pregressi il cui valore ammonterebbe ad almeno 50 miliardi di euro, secondo Prometeia). Questo clima è condiviso da una parte degli intervistati del campione di Ifiit, che al momento non segnala una forte propensione ad investire, ma che si riserva di prendere in considerazione progetti di sviluppo tra qualche mese, non appena le condizioni appaiano più sicure.  
   
 

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